— Che state facendo? — domandò Cita osservandoli dal quadro comandi.
— È un segreto — rispose Becky agganciando due formelle.
— Io sono capace di mantenere un segreto — replicò Cita.
— Dice sul serio, ci si può fidare — intervenne Kyle, alzando il capo dal mucchio di tessere che aveva davanti.
Cita attese paziente, finché Heather non si decise a raccontargli della supermente e del dispositivo centauriano che vi dava accesso.
— Affascinante — commentò Cita quando la spiegazione si concluse. — Tutto ciò contribuisce notevolmente a risolvere una volta per tutte la questione della mia umanità.
— In che modo? — domandò Heather.
— Io sono stato costruito. Sono separato dalla super-mente umana. Quindi non sono umano.
— No, non lo sei — confermò Kyle. — Tu non fai parte di un’entità più grande.
— Però sono allacciato a Internet — volle puntualizzare Cita.
— Questo è vero — ammise Kyle. — Solo che Interne non è la supermente.
Cita tacque a lungo, poi: — Che cosa si prova a essere umani, dottor Graves?
Kyle aprì la bocca per rispondere, poi la richiuse, decidendo che era il caso di rifletterci un po’. Guardò prima sua moglie, quindi sua figlia. — È un’esperienza bellissima, Cita. A volte è talmente bella da farti male.
Cita ponderò la cosa prima di continuare. — Se ho ben compreso, lei, professoressa Davis, ha avuto completo accesso alla mente del dottor Graves.
— Esatto.
— E lei, dottor Graves, sta per mettersi in grado di ottenere analogo accesso alla mente della professoressa Davis.
— A quanto mi si dice — assentì Kyle.
— E anche lei, Becky, ha navigato nello psicospazio.
— Proprio così.
— In tal caso potrei avere il permesso, dottor Graves, di dire a lei e alla sua famiglia che cosa ne penso io?
Dopo uno scambio di espressioni variamente sorprese, Kyle si strinse nelle spalle. — Certo, perché no?
Cita parve raccogliere in silenzio i pensieri. Kyle si alzò e andò ad appoggiarsi alla parete, mentre Heather e Becky rimasero accovacciate sul pavimento.
— Il dottor Graves mi ha raccontato della sua accusa, Rebecca — esordì Cita.
Gli occhi castani di Becky si spalancarono. — L’hai detto a un computer?
Kyle diede un’imbarazzata scrollatina di spalle. — Se non ne parlavo a qualcuno scoppiavo.
— Ah, certo, capisco — disse Becky. — Incredibile.
— Il dottor Graves è la persona che conosco meglio — continuò Cita. — Dopo tutto, è stato lui a guidare il gruppo che mi ha creato. So tuttavia, e ho sempre saputo, che io non sono niente per lui.
— Questo non è vero — protestò Kyle.
— Davvero gentile da parte sua — ribatté Cita — ma sappiamo entrambi che sto dicendo la verità. Lei mi avrebbe desiderato umano e io l’ho delusa. Ciò mi addolora, o, per meglio dire, mi induce a simulare dispiacere. In ogni caso, non ho mai cessato di dedicare parte cospicua del mio tempo di elaborazione a riflettere sul fatto che lei mi ha sempre considerato semplicemente un esperimento come gli altri. Anche quando lei soffriva, metaforicamente parlando, le pene dell’inferno causa la grave accusa di Becky, continuava comunque a preoccuparsi più di lei che di me. Ma ora, finalmente, credo di capire. C’è qualcosa di speciale, negli umani, c’è qualcosa di particolare, nella vita organica, qualcosa che neppure tramite l’elaborazione quantica, ho l’impressione, potrà mai essere adeguatamente riprodotto nella vita artificiale.
Becky, sempre più affascinata suo malgrado, si alzò in piedi.
— Sembra quasi che tu creda all’esistenza dell’anima __osservò Kyle gentilmente.
— Non nel senso che intende lei — precisò Cita. — Ma da tempo, ormai, mi appare evidente come gli organismi biologici siano interconnessi. Non credo che la scoperta della supermente costituirà poi una gran sorpresa per chiunque abbia letto James Lovelock o Wah-Chan. La Terra è veramente un unico organismo, Gaia. Dopo avere dato spontaneamente origine alla vita l’ha sostenuta e alimentata per quattro miliardi di anni. Quelli come me sono e saranno sempre degli intrusi.
— Non ti pare che intrusi sia una definizione troppo severa? — domandò Kyle con voce pacata, quasi carezzevole.
— No — rispose Cita in un tono che non ammetteva repliche. I suoi occhi elettronici brandeggiarono con vitrea determinazione a scrutare in sequenza i tre esseri umani. — No. È l’unica definizione corretta.
La nuova struttura era finalmente pronta. Quattro lampade ad arco, assai più piccole dei proiettori utilizzati da Heather, ne garantivano l’alimentazione. Kyle rimase di stucco nel vedere come il complesso s’irrigidiva e assestava entro pochi istanti dall’attivazione del flusso luminoso.
— Te l’avevo detto, no? — gongolò Heather con un sorriso da gatta del Cheshire.
Decisero che toccasse a lei inaugurarla, considerata la sua ormai vasta esperienza di turista quadridimensionale. Senza esitare si arrampicò all’interno.
— Ah! — esclamò soddisfatta, appoggiandosi comodamente alla parete posteriore del cubo centrale. — Signore e signori, ecco a voi la berlina di lusso. L’utilitaria cominciava proprio a venirmi a noia. — Mostrò a Kyle i pulsanti di avvio e arresto, poi indicò a lui e a Becky di mettere in posizione la porta cubica, cui avevano già opportunamente attaccato la seconda impugnatura a ventosa fornita da Paul.
Kyle osservò, ancora più sbalordito, il ripiegamento dell’ipercubo, i singoli cubi che sembravano allontanarsi in tutte le direzioni sino a svanire completamente. Grande fu anche lo stupore di Becky, che pur avendo già viaggiato nel tesseratto non aveva finora assistito dall’esterno alla sua partenza.
Adottarono ovviamente la precauzione di non avvicinarsi alla zona in cui si era trovata la struttura. Heather aveva detto che probabilmente sarebbe stata via per circa un’ora. Kyle e Becky ne approfittarono per aggiornarsi reciprocamente circa gli eventi piccoli e grandi occorsi durante un anno di lontananza. Era bello ritrovarsi a chiacchierare del più e del meno con sua figlia, ma Kyle non poteva impedirsi di essere inquieto e nervoso. E se qualcosa fosse andato storto? Se Heather non fosse tornata?
Alla fine, comunque, la struttura riapparve, scaturendo dal nulla e dispiegandosi nelle tre dimensioni.
Kyle attese con impazienza che la porta cubica si socchiudesse, poi si precipitò insieme a Becky a rimuoverla. Heather rifece il suo ingresso nel mondo normale.
— Per la miseria… — esclamò Kyle, rincuorato al rivederla sana e salva ma ancora attonito per la fantasmagoria cui aveva assistito. — Che roba…
— Spettacolare, vero? — convenne Heather. Gli gettò le braccia al collo salutandolo con un bacio, poi allentò la stretta per far posto anche a Becky.
— Peccato, ripartire con una nuova struttura — spiegò. — A ogni nuovo ingresso ci si ritrova sempre dove si è lasciato, ma stavolta m’è toccato cominciare da capo, ripercorrendo tutta la trafila per arrivare fino a te. Meno male che ormai mi ci muovo come un topo nel formaggio… A ogni buon conto ho parcheggiato in maniera da farti entrare pari pari davanti a un gruppetto di esagoni dove stai di casa anche tu, e da lì non dovrebbe esserti difficile rintracciare Mary… ammesso, naturalmente, che i tuoi processi mentali siano orientati a utilizzare le stesse metafore visive dei miei. Dovrai provare un po’ qualche tasto a caso, ma vedrai che non ti ci vorrà molto a individuare quello giusto. Ti ricordi come si fa a scollegarsi?
— Visualizzando il precipitato.
— Bene. E non dimenticare neppure che ti amo.
Kyle annuì e la fissò negli occhi. — Anch’io ti amo. — Poi, sorridendo a Becky: — Vi amo tutt’e due.
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