— Sì, capisco il tuo ragionamento, ma ora che fra noi è tutto chiarito, non si potrebbe lasciar perdere? — cercò di rabbonirlo.
— No, la questione ancora non è chiusa, quindi non possiamo lasciar perdere.
— Ma Becky ormai ti ha…
S’interruppe. Stava per dire “ti ha perdonato”, quasi ci fosse stato qualcosa da perdonare. Forse quel Bentley aveva ragione… quando te l’hanno appiccicato, il marchio non va più via. Proprio lei, fra tutti, avrebbe dovuto essere persuasa oltre ogni dubbio dell’innocenza di Kyle, eppure era bastata la più insignificante disattenzione di un istante impercettibile perché l’inconscio prendesse il sopravvento, facendo scivolare fra le maglie della consapevolezza una frase che suggeriva che qualcosa fosse invece accaduto. Kyle sospirò.
— Voglio dire che ora, nostra figlia, si rende conto perfettamente di aver creduto il falso — si corresse Heather, cercando di lenire la scalfittura. — E ha piena cognizione dell’assoluta correttezza del tuo comportamento nei suoi confronti.
Kyle rimase a lungo in silenzio, prima di rispondere. Heather gli vedeva le spalle appesantite andar su e giù al ritmo del respiro.
— Non si tratta di Becky — disse infine.
Heather provò un tuffo al cuore. In coscienza, aveva fatto tutto il possibile, e anche di più, per aiutarlo a uscire da quella crisi, ma forse non era stato sufficiente. Quanti matrimoni, lo sapeva, si sfasciano proprio quando il peggio sembra superato…
Dischiuse la bocca per dire “Mi dispiace”, ma Kyle la precedette. — No, non è per via di Becky — ribadì. — È per Mary.
Heather rimase di stucco. — Mary? — ripeté. Tanto di rado le capitava di dar voce a quel nome, che per un attimo le parve quasi estraneo. — Che c’entra Mary?
— Lei crede ancora che io le abbia fatto del male.
Una frase, così vera eppure così incongrua, che la diceva lunga, pensò Heather, sulla sua sostanziale incapacità di accettare quell’evento irreparabile. — Scusa. Non avevo capito.
— Mary non saprà mai la verità — soggiunse Kyle.
— Io credo che la sappia, invece — replicò Heather, sorprendendo se stessa con quell’empito inatteso di misticismo.
Kyle reclinò il capo borbottando qualcosa. Tacquero entrambi per qualche secondo. Poi Kyle tornò a girarsi il coltello nella piaga. — Io so di non averle fatto nulla, però… — La voce gli venne meno. Heather lo fissò, aspettando. — Però lei è convinta di sì. Mary è scesa nella tomba pensando che suo padre fosse un mostro. — Risollevò la testa, volgendo lo sguardo a Heather. Aveva gli occhi umidi.
Heather si abbandonò al divano, la mente in subbuglio. E pensare che dovevano esserne fuori, maledizione. Rieccoli invece in mezzo al guado.
Alzò gli occhi al soffitto. A differenza delle lisce pareti tinteggiate color sabbia, il soffitto bianco, semplicemente intonacato, mostrava una superficie scabrosa con tanti granellini affioranti.
— Forse un modo ci sarebbe — disse infine, chiudendo gli occhi.
Kyle rimase un attimo in silenzio. — Cosa? — domandò poi, come se non avesse ben capito.
Heather lasciò andare il respiro. Riaprì gli occhi e guardò suo marito. — Forse un modo ci sarebbe — ripeté. — Un modo, per te, di… be’, non di parlare a Mary, ovviamente. Però, forse, un modo, questo sì, per fare la pace con lei e… — Tacque un momento. — E anche un modo per capire perché non c’è nessun bisogno di dare addosso alla Gurdjieff.
Kyle si accigliò, perplesso. — Spiegati meglio.
Heather distolse lo sguardo, domandandosi da che parte incominciare. Dio, com’era difficile…
— Avevo intenzione di parlartene comunque — esordì, sentendo il bisogno di mettersi fin dall’inizio sulla difensiva. — Davvero, te l’avrei detto presto.
Ma questo non era vero, o per lo meno non era sicuro. Da giorni si dibatteva nell’indecisione, cercando di stabilire come, e se, fare la prossima mossa. Sì, l’aveva detto a Becky, però le aveva anche fatto giurare di mantenere il segreto. Ed era tutt’altro che soddisfatta del proprio comportamento. Certo, c’erano in gioco grandi prospettive scientifiche. Certo, c’erano verità fondamentali da condividere col resto del mondo. Ma, santo cielo, era tutto talmente straordinario… Un povero disgraziato, che razza di strategia dovrebbe adottare, in una situazione del genere? Come si fa a gestire, mantenendo la testa sulle spalle, una scoperta di tale vastità?
Tornò ad affrontare lo sguardo di Kyle, fermo, interrogativo.
— Ho compreso il significato dei messaggi alieni — disse, con un filo di voce.
Kyle le sgranò gli occhi addosso. Heather sollevò una mano. — Ecco, insomma, non proprio tutto, ma abbastanza.
— Abbastanza per cosa?
— Per costruire una macchina.
— Quale macchina?
Heather sospirò, gonfiando le guance in uno sbuffo leggero. — Una macchina per entrare… nella super-mente.
Quasi accusando l’impatto della rivelazione Kyle piegò la testa all’indietro, sbigottito.
— Gli alieni… era questo, ciò che cercavano di comunicarci. L’esistenza individuale è solo un’illusione. Facciamo tutti parte di un’entità più grande.
— Teoricamente — provò a precisare Kyle.
— No, no, realmente. È tutto vero… quelle teorie, sai, di cui parlavamo ieri… tutto vero. Lo so per certo, ne ho la prova. I messaggi erano una specie di progetto, per realizzare un dispositivo quadridimensionale che… che…
— Che?
Heather richiuse gli occhi. — Che consente a una persona di collegarsi all’inconscio collettivo, alla vera e propria mente comune dell’umanità.
Mordicchiandosi nervosamente il labbro inferiore, Kyle rimase in silenzio parecchi secondi. Poi: — Ma come diavolo hai fatto a costruire un attrezzo del genere?
— Be’, si capisce, da sola non avrei potuto… mi ha aiutato un amico, uno che lavora a Ingegneria Meccanica.
— E funziona?
Heather annuì. — Certo che funziona.
Kyle ci rifletté qualche istante. — E tu, quindi, ti… saresti collegata… alla supermente?
— Ho fatto di meglio. Ci ho “navigato” dentro.
— Navigato — compitò Kyle, quasi stentasse, dato il contesto, a ravvisarne il senso.
Heather annuì di nuovo.
Stavolta il silenzio di Kyle si protrasse un poco più a lungo. — È stato un periodo difficile per noi tutti — disse infine. — Mi spiace, cara, ma davvero non mi ero reso conto di quanto ti avesse sconvolto, questa brutta storia.
Heather sorrise suo malgrado. Tale padre, tale figlia.
— Insomma non mi credi.
— Io… be’, sai…
Heather tornò seria. Si sarebbe presa a calci per non aver pensato di portare a casa il nastro con le sequenze del tesseratto che faceva i giochi di prestigio. — E va bene, ti farò vedere. Oggi stesso. L’attrezzo, come lo chiami tu, è nel mio ufficio all’Università.
— Chi altro ne è a conoscenza?
— Nessuno tranne me e Becky.
Kyle non aveva l’aria di essere molto convinto.
— Sì, lo so anch’io che avrei dovuto dirtelo prima. Comunque eri il primo della lista. E credo proprio di essere stata lì lì per farlo, la notte scorsa. Ma cerca di capire la mia titubanza. È diverso da qualunque cosa… Va oltre ogni immaginazione. Questa tecnologia cambierà tutto, tutto. La vita privata, i segreti, l’intimità… cesseranno di esistere.
— Come sarebbe a dire?
— Sarebbe a dire che posso accedere alla mente di qualunque essere umano e rintracciarne i ricordi, scoprirne la personalità, sfogliare l’intero archivio della sua esistenza. E infatti…
— Sì?
Heather chinò lo sguardo. — Mi sono collegata con la tua mente e ho cercato fra i tuoi ricordi.
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