— No — rispose Heather interdetta.
— Risposta esatta. Ma non perché ti è impossibile saperlo. Bensì perché il gatto non è “né” vivo “né” morto. La povera bestia è infatti una sovrapposizione di fronti d’onda, una combinazione di entrambe le possibilità. Soltanto l’atto di aprire il contenitore e osservarne il contenuto può indurre uno dei fronti d’onda a trasformarsi in realtà concreta. Così avviene nella meccanica quantistica: le cose rimangono indeterminate finché non vengono osservate.
— Fin qui mi pare di aver capito.
— Bene. Supponiamo ora che io, senza dirti nulla, guardi per conto mio nel contenitore: vedo che il gatto è vivo, e richiudo. Poco dopo arrivi tu e, ignara della mia precedente sbirciata, apri a tua volta il contenitore e guardi dentro. Che cosa vedi?
— Un gatto vivo.
— Precisamente. Il fatto che io abbia compiuto la mia osservazione, dunque, plasma la realtà anche per te. Qui siamo di fronte a uno dei problemi fondamentali della meccanica quantistica: perché l’osservazione compiuta da una determinata persona rende contemporaneamente concreta una certa realtà anche per tutti gli altri? Ed ecco la risposta. Perché, ora è chiaro, facciamo tutti parte della supermente, quindi l’osservazione effettuata da una specifica persona è, in realtà, effettuata da tutti. Praticamente, per funzionare, la meccanica quantistica richiede l’esistenza della supermente.
Heather appariva debitamente impressionata. — Molto interessante. — Poi, dopo una breve esitazione, gli rivolse la domanda suprema: — E adesso… che facciamo?
— Lo diremo al mondo — rispose Kyle.
— Dobbiamo proprio?
— Certo. Hanno tutti il diritto di sapere.
— Ma cambierà ogni cosa — obiettò Heather. — Ogni cosa. La civiltà come la conosciamo cesserà di esistere.
— Se non lo facciamo noi, ci penserà qualcun altro.
— Forse. Ma può anche darsi che nessun altro riesca a trovare la soluzione.
— No, è inevitabile. Non capisci? Tu l’hai risolto il problema dei messaggi, quindi ormai questa conoscenza appartiene all’inconscio collettivo. Non ci vorrà molto prima che appaia in sogno a qualcuno.
— Ma immagina quanta gente vorrà sfruttarla per il proprio tornaconto… per spiare nei segreti altrui, per rubare i pensieri… Il tessuto sociale ne verrà sconvolto.
Kyle si accigliò. — Mi rifiuto di credere che i Centauri abbiano voluto insegnarci a costruire qualcosa che ci porterebbe all’autodistruzione. Perché prendersi il disturbo? Non rappresentiamo certo una minaccia, per loro.
— Figuriamoci — convenne Heather.
— E allora vuotiamo il sacco. Immediatamente.
— Oggi è sabato — osservò Heather. — Fine settimana, piena estate… inutile illudersi che siano molti i giornalisti scientifici al lavoro. Di convocare una conferenza stampa, quindi, neanche se ne parla fino a lunedì. E per garantirci una buona affluenza dobbiamo dare un preavviso di almeno un giorno o due.
Kyle annuì. — D’accordo, ma… pensa se qualcun altro annunciasse la scoperta proprio in questi due o tre giorni…
Heather ci rifletté. — Be’, dovesse succedere, posso sempre chiamare in causa l’archivio della supermente e dire: occhio, gente, lì c’è la prova che ci sono arrivata prima io. — Tacque. Poi, stringendosi un poco nelle spalle, soggiunse: — Questo, comunque, è un modo di veder le cose decisamente vecchio stile. Nel mirabile mondo nuovo che ci apprestiamo a creare non credo proprio che il concetto di primato avrà più alcun senso.
Heather trascorse tutta la domenica esplorando lo psicospazio. Kyle e Becky fecero lo stesso alternandosi alla struttura di Mullin Hall, dove in effetti a manovrare la porta cubica bisognava essere in due.
Per Heather era come nuotare in un limpido, incontaminato lago celato fra remote montagne sapendo che nessuno prima di lei era mai giunto sin lì, nessuno prima di lei ne aveva mai ammirato la bellezza, si era mai immerso nelle sue acque, aveva mai sondato le sue profondità.
Ma come in ogni altro paesaggio, anche il più incantevole e soave, la vita presente in superficie affondava le sue radici nella morte, i nuovi germogli si facevano largo attraverso una coltre di materia organica in decomposizione. Sebbene fossero molte le persone vive la cui mente Heather desiderava esplorare, ve n’erano anche innumerevoli altre non più al mondo con le quali avrebbe voluto entrare in contatto… e poi, far visita a quella sorta di urne funerarie dava meno l’idea di un’intrusione, di una violazione dell’intimità.
Kyle aveva trascorso poco tempo nell’oscuro archivio della mente di Mary, e quanto a Heather, non si era ancora avventurata a scandagliare nessuno degli esagoni spenti. Ma il momento era giunto. E dove andare lo sapeva già.
Non avrebbe avuto bisogno di cercare a lungo. Doveva solo accedere alla propria locazione traslandovi agevolmente dall’esagono che aveva identificato come Kyle, evocare quindi dai suoi stessi ricordi una precisa immagine della destinazione prescelta, e infine raggiungere, con una ulteriore oscillazione…
Josh Huneker.
Morto ormai da ventitré anni.
Non che il ricordo del giovane suicida l’avesse mai perseguitata. Anzi, in tutto quel tempo rare volte le era avvenuto di rammentarlo, sebbene in prospettiva egli avesse esercitato sulla sua vita un influsso di enorme importanza. Era stato lui, infatti, a farle conoscere le affascinanti prospettive del progetto SETI, e quindi, se non fosse stato per la loro relazione, adesso lei non si sarebbe trovata qui.
Ma gli imperscrutabili disegni del destino l’avevano condotta sino a quel punto… E se davvero esisteva un precedente messaggio alieno, un messaggio che lei non conosceva, un messaggio ancora ignoto a qualunque persona vivente, bene, doveva trovarlo e scoprirne il contenuto.
Non c’era più bisogno di un elaboratore quantico per violare il segreto di Huneker… o qualunque altro segreto al mondo, se è per questo. Persino il silenzio definitivo di una tomba non era più impenetrabile.
Traslò nella mente di Huneker.
Diversa da tutte quelle incontrate sinora. Gelida e pietrificata, niente immagini, niente sensazioni, nessuna attività cerebrale. Parve a Heather di trovarsi alla deriva su un mare silenzioso, nero come l’inchiostro, in una notte senza luna e senza stelle.
Ma l’archivio giaceva lì. Quel che Josh era stato, e qualunque cosa l’avesse tormentato, si trovava conservato lì.
Si immaginò com’era allora. Più giovane, più snella, e se non proprio irresistibilmente graziosa, provvista però di un entusiasmo, di un fervore, di una vivacità che la facevano brillare di luce propria.
Il ricordo riaffiorò all’istante.
Si vide come l’aveva veduta lui tanti anni prima: carnagione rosea e delicata; capigliatura corta e sbarazzina, bionda all’epoca; tre anellini d’argento infilzati (Toronto: terra di nuove esperienze!) lungo la curva dell’orecchio sinistro.
Non l’aveva amata davvero.
Il che non la sorprese più di tanto. Josh era un giovane assistente bello e idealista e pieno d’ingegno; e lei gli si era praticamente gettata fra le braccia. Josh aveva provato per lei, questo sì, un affetto sincero e anche genuina attrazione fisica. Ma purtroppo nutriva ormai la convinzione di essere destinato a percorrere una strada diversa.
Confuso, lacerato, disperato, aveva deciso di uccidersi. Anzi, l’aveva programmato lucidamente, altrimenti non si sarebbe certo portato dietro l’arsenico.
E come il suo idolo Alan Turing, aveva mangiato una mela avvelenata. Assaggiato la conoscenza proibita.
Heather non si era mai accorta di quale angoscia lo stesse rodendo, di quanto egli si stesse tormentando su che fare di lei, e di se stesso.
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