Cita rimase un poco in silenzio. — E il succo del discorso sarebbe?…
— Il succo del discorso è che forse bisogna possedere una particolare intuizione per comprendere… ma comprendere davvero, a fondo… la meccanica quantistica. Lo sai che persino Einstein non ci si trovò mai a suo agio? Qualcuno che la capisce sul serio, fra gli specialisti, sembra esserci, a meno che non sappia fingere molto bene. Avevo sempre pensato di poterci arrivare anch’io, a un certo punto tutte le tessere avrebbero combaciato, e invece niente. Non ho mai sviluppato il terzo occhio.
— Forse dovrebbe procurarsi una sezione di geode all’istituto di Geologia.
— Forse… — borbottò Kyle. — Il fatto è che ho l’impressione di non accettarla fino in fondo, la meccanica quantistica, di non crederci completamente.
— Però Democrito ha comunicato davvero con almeno una realtà alternativa. Il che parrebbe confermare l’ipotesi multimondo.
— Proprio qui sta il problema — ribatté Kyle. — Questo genere di calcolo quantico si basa appunto sull’ipotesi multimondo, ma parliamoci chiaro, fin dove possiamo ritenerla plausibile? Secondo me, non tutti gli universi concepibili esistono, bensì soltanto quelli che hanno almeno qualche probabilità di concretizzarsi.
— Per esempio? — domandò Cita.
— Be’, non si è mai sentito dire che qualcuno sia stato colpito in pieno e ucciso da una meteora, però “potrebbe” accadere. Quindi, esiste un universo nel quale io sono morto ieri in seguito a un incidente del genere? E un altro in cui sono morto allo stesso modo l’altroieri? E un terzo in cui sono morto così il giorno prima? E un quarto, un quinto, un sesto in cui tale sorte è toccata non a me bensì a mio fratello? E un settimo, un ottavo, un nono in cui a tutti e due è capitato di ricevere una meteora in testa?
Cita rispose senza esitare. — No.
— Perché no?
— Perché le meteore sono oggetti inanimati, privi di volontà. In ogni universo, la Terra è colpita esattamente dalle stesse meteore.
— D’accordo — ammise Kyle. — Ma supponiamo che oggi una meteora cada… non so… diciamo in Antartide. Dunque, io in Antartide non ci sono mai andato e non ho intenzione di andarci, ma esiste qualche universo parallelo nel quale invece ci sono andato e in cui mi è successo di rimanere ucciso da quella meteora? E in tal caso, non dovrebbero forse esistere almeno sette miliardi di universi, in ciascuno dei quali muoia per analogo accidente meteorico, durante un’escursione al Polo Sud, una delle persone attualmente viventi?
— Sembrerebbero un po’ troppi, tutti questi universi paralleli… — commentò Cita.
— Esatto. Nel qual caso dobbiamo ipotizzare l’intervento di una specie di processo selettivo che distingua fra universi concepibili e universi plausibili, fra gli universi che ci è semplicemente lecito immaginare e quelli che hanno invece qualche ragionevole possibilità di esistere davvero. Ciò potrebbe spiegare perché dall’esperimento abbiamo ottenuto soltanto due fattori.
— Credo che la sua interpretazione sia corretta, e inoltre… — Cita s’interruppe.
— Continua — sollecitò Kyle.
— Credo anche di avere capito dove vuole arrivare. Kyle rimase sorpreso. Non era sicuro neppure lui di dove volesse arrivare.
— E cioè?
— All’etica dell’ipotesi multimondo.
Kyle si soffermò a riflettere. — Sai, penso che tu abbia ragione. Supponiamo che io trovi in un portafogli smarrito una SmartCash sprotetta con dentro un migliaio di dollari… Supponiamo poi che il portafogli contenga anche una patente di guida dalla quale io possa dedurre nome e indirizzo del legittimo proprietario.
Cita, che aveva fra l’altro sul proprio quadro comandi una doppia serie di LED incrociati, in modo da poter attivare la barra verticale o quella orizzontale per indicare assenso o diniego, fece di sì.
— Bene — continuò Kyle. — Secondo l’ipotesi multimondo, tutto ciò che può, nell’ambito del possibile, svolgersi in due maniere, si svolge effettivamente in due maniere. C’è quindi un universo nel quale restituisco il denaro alla persona che l’ha perduto, ma c’è anche un universo in cui lo tengo per me. Allora, se debbono comunque esistere necessariamente due universi, perché mai non potrei essere io quello che si tiene i soldi?
— Interessante domanda. Pur senza mettere in dubbio la sua onestà, una simile alternativa sembrerebbe ricadere entro il novero delle possibilità. Sospetto comunque che i suoi scrupoli morali si spingano ben oltre e che lei si stia interrogando sulla vicenda di Rebecca. Anche se in questo universo non l’ha molestata, lei si domanda se esista un qualche altro concepibile universo nel quale, invece, il fatto è veramente accaduto.
Kyle si lasciò andare contro la spalliera della sedia. Cita aveva ragione. Una volta tanto, quella maledetta macchina aveva proprio ragione.
Che insidioso labirinto, la mente umana! Basta una semplice accusa per scatenarla persino contro se stessa.
Esisteva effettivamente, un simile universo? Un universo in cui lui aveva potuto davvero insinuarsi dopo mezzanotte in camera di sua figlia e compiere su di lei quegli atti mostruosi?
Non qui, naturalmente. Non in questo universo. Ma in un altro… uno in cui forse non aveva ottenuto la cattedra, in cui era stato travolto dalle circostanze dell’esistenza, in cui beveva più di quanto avrebbe dovuto, in cui lui e Heather stavano ancora lottando per scongiurare lo spettro della miseria… oppure un universo in cui erano divorziati già da tempo, o lui era rimasto vedovo e la sua sessualità non aveva trovato uno sfogo normale.
Poteva esistere, un simile universo? Potevano i ricordi di Becky, sebbene falsi in questo universo, essere l’effettivo riflesso di un’altra realtà? Poteva forse Becky avere avuto accesso, tramite chissà quale aberrazione quantica, ai ricordi formatisi in un mondo parallelo, così come un elaboratore quantico estrae informazioni da altre direttrici temporali?
Oppure l’idea stessa che egli avesse potuto abusare di sua figlia era assolutamente inverosimile, inconcepibile, impossibile… come una meteora presa in testa al Polo Sud?
Kyle si alzò e fece una cosa che non aveva mai fatto prima. Mentì a Cita.
— No — disse. — No, questa volta sei completamente in errore.
Uscì dal laboratorio e le luci si spensero automaticamente dietro di lui.
Forse, pensò qualcuno, i Centauri avevano semplicemente saltalo un turno perché quel giorno lassù da loro era festa, oppure per indicare una sorta di punteggiatura entro il messaggio complessivo. In tal caso, il prossimo messaggio sarebbe giunto alle 18.36 del giorno seguente, venerdì 28 luglio.
Heather aveva trascorso gran parte delle trentuno ore d’intervallo a districarsi coi giornalisti; i messaggi alieni erano balzati improvvisamente, dal rango subalterno d’informazione specialistica, alle prime pagine dei notiziari di tutto il mondo. E adesso la CBC stava trasmettendo in diretta dall’ufficio di Heather.
I cronisti avevano provveduto ad applicare col nastro adesivo un grosso orologio digitale sopra il monitor della padrona di casa. C’erano tre telecamere: una puntata su Heather, una sull’orologio e una sullo schermo del monitor.
Sull’orologio era in corso il conto alla rovescia. Mancavano ormai due minuti al momento previsto per l’arrivo del messaggio.
— Professoressa Davis — domandò con gradevole accento giamaicano la giornalista dalla pelle scura — che cosa sta pensando? Quali sono le sue sensazioni mentre noi tutti siamo qui in attesa di un altro messaggio dalle stelle?
Pur essendo apparsa in TV altre cinque volte nel corso delle ultime trentuno ore, Heather doveva ancora trovare una risposta soddisfacente. — In realtà non lo so — disse, cercando di non fissare direttamente la telecamera come da istruzioni. — Mi sento come se avessi perduto un amico. Non ho mai capito che cosa mi stesse dicendo, però lui c’era, un giorno dopo l’altro. Potevo contare su di lui. Potevo aver fiducia in lui. Adesso l’incanto è rotto.
Читать дальше