Ora avvenne che un bel giorno, mentre camminava verso la scuola, incontrò un branco dei soliti compagni, che, andandogli incontro, gli dissero:
– Sai la gran notizia?
– No.
– Qui nel mare vicino è arrivato un Pescecane.
– Davvero?… Che sia quel medesimo Pescecane di quando affogò il mio povero babbo?
– Noi andiamo alla spiaggia per vederlo. Vuoi venire anche tu?
– Io no: io voglio andare a scuola.
– Che t’importa della scuola? Alla scuola ci anderemo domani. Con una lezione di più o con una di meno, si rimane sempre gli stessi somari.
– E il maestro che dirà?
– Il maestro si lascia dire. È pagato apposta per brontolare tutti i giorni.
– E la mia mamma?
– Le mamme non sanno mai nulla – risposero quei malanni.
– Sapete che cosa farò? – disse Pinocchio. – Il Pescecane voglio vederlo per certe mie ragioni… ma anderò a vederlo dopo la scuola.
– Povero giucco! – ribattè uno del branco. – Che credi che un pesce di quella grossezza voglia star lì a fare il comodo tuo? Appena s’è annoiato, piglia il dirizzone per un’altra parte.
– Quanto tempo ci vuole di qui alla spiaggia? – domandò il burattino.
– Fra un’ora, siamo andati e tornati.
– Dunque, via! e chi più corre, è più bravo! – gridò Pinocchio.
Dato così il segnale della partenza, quel branco di modelli, coi loro libri e i loro quaderni sotto il braccio, si messero a correre attraverso ai campi: e Pinocchio era sempre avanti a tutti: pareva che avesse le ali ai piedi.
Di tanto in tanto [114], voltandosi indietro, canzonava i suoi compagni rimasti a una bella distanza, e nel vederli ansanti, trafelati, polverosi e con tanto di lingua fuori, se la rideva proprio di cuore. Lo sciagurato non sapeva a quali paure e a quali orribili disgrazie andava incontro!..
27. Gran combattimento fra Pinocchio e i suoi compagni: uno de’ quali essendo rimasto ferito, Pinocchio viene arrestato dai carabinieri
Giunto che fu sulla spiaggia, Pinocchio dette subito una grande occhiata sul mare; ma non vide nessun Pescecane. Il mare era tutto liscio.
– O il Pescecane dov’è? – domandò, voltandosi ai compagni.
– Sarà andato a far colazione – rispose uno di loro, ridendo.
– O si sarà buttato sul letto per fare un sonnellino – aggiunse un altro, ridendo più forte che mai.
Da quelle risposte sconclusionate, Pinocchio capì che i suoi compagni gli avevano fatto una brutta celia, disse loro con voce di bizza:
– E ora? che sugo ci avete trovato a darmi ad intendere la storiella del Pescecane?
– Il sugo c’è sicuro!.. – risposero in coro quei monelli.
– E sarebbe?
– Quello di farti perdere la scuola e di farti venire con noi. Non ti vergogni a mostrarti tutti i giorni così preciso alla lezione? Non ti vergogni a studiar tanto, come fai?
– E se io studio, che cosa ve ne importa?
– A noi ce ne importa moltissimo, perché ci costringi a fare una brutta figura [115]col maestro…
– Perché?
– Perché gli scolari che studiano, fanno sempre scomparire quelli, come noi, che non hanno voglia di studiare. E noi non vogliamo scomparire!
– E allora che cosa devo fare per contentarvi?
– Devi prendere a noia, anche tu, la scuola, la lezione e il maestro, che sono i nostri tre grandi nemici.
– E se io volessi seguitare a studiare?
– Noi non ti guarderemo più in faccia, e alla prima occasione ce la pagherai!..
– In verità mi fate quasi ridere – disse il burattino.
– Ehi, Pinocchio! – gridò allora il più grande di quei ragazzi. – Non venir qui a fare lo smargiasso: non venir qui a far tanto il galletto [116]! Ricordati che tu sei solo e noi siamo sette.
– Sette come i peccati mortali – disse Pinocchio con una gran risata.
– Pinocchio! chiedici scusa dell’offesa… o se no, guai a te!..
– Cucù! – fece il burattino, in segno di canzonatura.
– Pinocchio! la finisce male!..
– Cucù!
– Ora il cucù te lo darò io! – gridò il più ardito di quei monelli.
E nel dir così gli appiccicò un pugno nel capo.
Ma fu botta e risposta; perché il burattino rispose subito con un altro pugno: e lì, da un momento all’altro, il combattimento diventò generale.
Pinocchio, sebbene fosse solo, si difendeva come un eroe. Dove i suoi piedi potevano arrivare e toccare, ci lasciavano sempre un livido per ricordo.
Allora i ragazzi pensarono bene di metter mano ai proiettili; e sciolti i fagotti de’ loro libri di scuola, cominciarono a scagliare contro di lui i Sillabari , le Grammatiche , i Racconti del Thouar, il Pulcino della Baccini e altri libri scolastici: ma il burattino, che era d’occhio svelto, faceva sempre civetta [117]a tempo, sicché i volumi andavano tutti a cascare nel mare.
I pesci, credendo che quei libri fossero roba da mangiare, correvano a frotte a fior d’acqua [118]; ma dopo avere abboccata qualche pagina o qualche frontespizio, la risputavano subito.
Intanto il combattimento s’inferociva sempre più, quand’ecco che un grosso Granchio, che era uscito fuori dall’acqua e s’era adagio adagio arrampicato fin sulla spiaggia, gridò:
– Smettetela, birichini che non siete altro! Queste guerre manesche raramente vanno a finir bene. Qualche disgrazia accade sempre!..
Povero Granchio! Fu lo stesso che avesse predicato al vento [119]. Anzi quella birba di Pinocchio gli disse:
– Chetati, Granchio dell’uggia! Va’ piuttosto a letto!..
In quel frattempo i ragazzi occhiarono lì a poca distanza il fagotto dei libri del burattino, e se ne impadronirono.
Fra questi libri, v’era un volume rilegato in cartoncino grosso, colla costola e colle punte di cartapecora. Era un Trattato di Aritmetica .
Uno di quei monelli agguantò quel volume, e lo scagliò con quanta forza aveva nel braccio: ma invece di cogliere il burattino, colse nella testa uno dei compagni; il quale diventò bianco, e non disse altro che queste parole:
– O mamma mia, aiutatemi… perché muoio!..
Poi cadde disteso sulla rena del lido.
Alla vista di quel morticino, i ragazzi spaventati si dettero a scappare.
Ma Pinocchio rimase lì; e sebbene per il dolore e per lo spavento, anche lui fosse più morto che vivo, nondimeno corse a inzuppare il suo fazzoletto nell’acqua del mare e si pose a bagnare la tempia del suo povero compagno di scuola. E lo chiamava per nome e gli diceva:
– Eugenio!.. povero Eugenio mio!.. apri gli occhi, e guardami!.. Perché non mi rispondi? Apri gli occhi, Eugenio… Se tieni gli occhi chiusi, mi farai morire anche me… O Dio mio! come farò ora a tornare a casa?… Con che coraggio potrò presentarmi alla mia buona mamma? Che sarà di me?… Oh! quant’era meglio, mille volte meglio che fossi andato a scuola!.. Perché ho dato retta a questi compagni?… E il maestro me l’aveva detto!.. e la mia mamma me l’aveva ripetuto: – Guardati dai cattivi compagni! – Ma io sono un testardo! E dopo mi tocca a scontarle… Dio mio! Che sarà di me?
E Pinocchio continuava a piangere, quando sentì a un tratto un rumore sordo di passi che si avvicinavano.
Si voltò: erano due carabinieri.
– Che cosa fai costì sdraiato per terra? – domandarono a Pinocchio.
– Assisto questo mio compagno di scuola.
– Che gli è venuto male?
– Par di sì!..
– Altro che male! – disse uno dei carabinieri, chinandosi e osservando Eugenio da vicino. – Questo ragazzo è stato ferito in una tempia: chi è che l’ha ferito?
– Io no! – balbettò il burattino.
– Se non sei stato tu, chi è stato dunque che l’ha ferito?
– Io no! – ripetè Pinocchio.
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