Array Карло Коллоди - Приключения Пиноккио / Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino

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Приключения Пиноккио / Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino: краткое содержание, описание и аннотация

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В книгу вошел сокращенный и упрощенный текст знаменитой сказки Карло Коллоди (1826–1890) «Приключения Пиноккио», повествующей об удивительных приключениях деревянного мальчика. Текст сказки сопровождается комментариями и упражнениями на понимание прочитанного, в конце книги расположен словарь, облегчающий чтение. Книга может быть рекомендована всем, кто продолжает изучать итальянский язык (уровень 2 – для продолжающих нижней ступени).

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– Alla fine siete cascate nelle mie mani! Potrei punirvi, ma no! Mi contenterò, invece, di portarvi domani all’oste del vicino paese, il quale vi spellerà e vi cucinerà a uso lepre dolce e forte.

Quindi, avvicinatosi a Pinocchio, cominciò a fargli molte carezze, e, fra le altre cose, gli domandò:

– Com’hai fatto a scoprire il complotto di queste quattro ladroncelle? E dire che Melampo, il mio fido Melampo, non s’era mai accorto di nulla!..

Il burattino, allora, avrebbe potuto raccontare quel che sapeva; ma ricordatosi che il cane era morto, pensò subito dentro di sé: – A che serve accusare i morti?… I morti son morti, e la miglior cosa che si possa fare è quella di lasciarli in pace!..

– All’arrivo delle faine sull’aia, eri sveglio o dormivi? – continuò a chiedergli il contadino.

– Dormivo – rispose Pinocchio – ma le faine mi hanno svegliato coi loro chiacchiericci, e una è venuta al casotto per dirmi: “Se prometti di non abbaiare, e di non svegliare il padrone, noi ti regaleremo una pollastra pelata!..” Capite, eh? Perché bisogna sapere che io sono un burattino, che avrò tutti i difetti di questo mondo: ma non avrò mai quello di star di balla e di reggere il sacco [102]alla gente disonesta!

– Bravo ragazzo! – gridò il contadino, battendogli su una spalla. – Cotesti sentimenti ti fanno onore: e per provarti la mia grande soddisfazione, ti lascio libero fin d’ora di tornare a casa.

23. Pinocchio piange la morte della bella Bambina dai capelli turchini: poi trova un Colombo, che lo porta sulla riva del mare, e lì si getta nell’acqua per andare in aiuto del suo babbo Geppetto

Appena Pinocchio non sentì più il peso durissimo e umiliante di quel collare intorno al collo, si pose a scappare attraverso ai campi, e non si fermò un solo minuto finché non ebbe raggiunta la strada maestra, che doveva ricondurlo alla Casina della Fata.

Arrivato sulla strada maestra, si voltò in giù a guardare nella pianura, e vide benissimo il bosco, dove aveva incontrato la Volpe e il Gatto: vide, fra mezzo agli alberi, la cima di quella Quercia grande, ma, guarda di qui, guarda di là, non gli fu possibile di vedere la piccola casa della bella Bambina dai capelli turchini.

Allora ebbe una specie di tristo presentimento, e datosi a correre con quanta forza gli rimaneva nelle gambe, si trovò in pochi minuti sul prato, dove era una volta la Casina bianca. Ma c’era, invece, una piccola pietra di marmo, sulla quale si leggevano queste dolorose parole:

QUI GIACE

LA BAMBINA DAI CAPELLI TURCHINI

MORTA DI DOLORE

PER ESSERE STATA ABBANDONATA DAL SUO

FRATELLINO PINOCCHIO

Come rimanesse il burattino, quand’ebbe compitate alla peggio quelle parole, lo lascio pensare a voi. Cadde a terra, e coprendo di mille baci quel marmo, dette in un grande scoppio di pianto. Pianse tutta la notte, e la mattina dopo, sul far del giorno, piangeva sempre.

E piangendo diceva: “O Fatina mia, perché sei morta?… perché, invece di te, non sono morto io, che sono tanto cattivo, mentre tu eri tanto buona?… E il mio babbo dove sarà? O Fatina mia, dimmi dove posso trovarlo, ché voglio stare sempre con lui, e non lasciarlo più! più! più!.. O Fatina mia, dimmi che non è vero che sei morta!.. se vuoi bene al tuo fratellino, ritorna viva come prima!.. Non ti dispiace a vedermi solo, abbandonato da tutti?… Ora che ho perduto te e il mio babbo, chi mi darà da mangiare? Dove anderò a dormire la notte? Oh! sarebbe meglio, cento volte meglio, che morissi anch’io! Sì, voglio morire! ih! ih! ih!..”

Intanto passò su per aria un grosso Colombo, il quale soffermatosi, a ali distese, gli gridò da una grande altezza:

– Dimmi, bambino, che cosa fai costaggiù?

– Non lo vedi? piango! – disse Pinocchio alzando il capo verso quella voce.

– Dimmi – soggiunse allora il Colombo – non conosci per caso fra i tuoi compagni, un burattino, che ha nome Pinocchio?

– Pinocchio?… Hai detto Pinocchio? – ripetè il burattino saltando subito in piedi. – Pinocchio sono io!

Il Colombo, a questa risposta, si calò velocemente e venne a posarsi a terra. Era più grosso di un tacchino.

– Conoscerai dunque anche Geppetto! – domandò al burattino.

– È il mio povero babbo! Ti ha forse parlato di me? Mi conduci da lui? ma è sempre vivo? rispondimi per carità; è sempre vivo?

– L’ho lasciato tre giorni fa sulla spiaggia del mare.

– Che cosa faceva?

– Si fabbricava una piccola barchetta, per traversare l’Oceano. Quel pover’uomo sono più di quattro mesi che gira per il mondo in cerca di te: ora ha voluto cercarti nei paesi lontani del nuovo mondo.

– Quanto c’è di qui alla spiaggia? – domandò Pinocchio.

– Più di mille chilometri.

– Mille chilometri? O Colombo mio, che bella cosa potessi avere le tue ali!..

– Se vuoi venire, ti ci porto io.

– Come?

– A cavallo sulla mia groppa. Sei peso dimolto?

– Son leggiero come una foglia.

E lì, senza stare a dir altro, Pinocchio saltò sulla groppa al Colombo; e messa una gamba di qui e l’altra di là, come fanno i cavallerizzi.

Il Colombo prese l’aire [103]e in pochi minuti arrivò col volo tanto in alto, che toccava quasi le nuvole. Giunto a quell’altezza straordinaria, il burattino ebbe la curiosità di voltarsi in giù a guardare: e fu preso da tanta paura che, per evitare il pericolo di venir di sotto, si avviticchiò colle braccia al collo della sua piumata cavalcatura.

Volarono tutto il giorno. Sul far della sera [104], il Colombo disse:

– Ho una gran sete!

– E io una gran fame! – soggiunse Pinocchio.

– Fermiamoci a questa colombaia pochi minuti; e dopo ci rimetteremo in viaggio, per essere domattina all’alba sulla spiaggia del mare.

Entrarono in una colombaia deserta, dove c’era soltanto una catinella piena d’acqua e un cestino ricolmo di vecce.

Il burattino, in tempo di vita sua, non aveva mai potuto patire le vecce, ma quella sera ne mangiò a strippapelle [105], e quando l’ebbe quasi finite, si voltò al Colombo e gli disse:

– Non avrei mai creduto che le vecce fossero così buone!

– Bisogna persuadersi, ragazzo mio, – replicò il Colombo – che quando non c’è altro da mangiare, anche le vecce diventano squisite! La fame non ha capricci né ghiottonerie!

Fatto alla svelta [106]un piccolo spuntino, si riposero in viaggio, e via! La mattina dopo arrivarono sulla spiaggia del mare.

Il Colombo posò a terra Pinocchio e riprese subito il volo e sparì.

La spiaggia era piena di gente che urlava e gesticolava, guardando verso il mare.

– Che cos’è accaduto? – domandò Pinocchio a una vecchina.

– Gli è accaduto che un povero babbo, avendo perduto il figliolo, gli è voluto entrare in una barchetta per andare a cercarlo di là dal mare; e il mare oggi è molto cattivo e la barchetta sta per andare sott’acqua…

– Dov’è la barchetta?

– Eccola laggiù, diritta al mio dito – disse la vecchia, accennando una piccola barca che, veduta a quella distanza, pareva un guscio di noce con dentro un omino piccino.

Pinocchio appuntò gli occhi da quella parte, e dopo aver guardato attentamente, cacciò un urlo [107]acutissimo gridando:

– Gli è il mi’ babbo! gli è il mi’ babbo!

Intanto la barchetta ora spariva fra i grossi cavalloni, ora tornava a galleggiare: e Pinocchio, ritto sulla punta di un alto scoglio, non finiva più dal chiamare il suo babbo per nome, e dal fargli molti segnali colle mani e perfino col berretto che aveva in capo.

E parve che Geppetto riconoscesse il figliolo, perché si levò il berretto anche lui e lo salutò e, a furia di gesti, gli fece capire che sarebbe tornato volentieri indietro; ma il mare era tanto grosso, che gl’impediva di lavorare col remo e di potersi avvicinare alla terra.

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