Carlo Collodi - Le avventure di Pinocchio
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Entrarono in una colombaia deserta, dove c'era soltanto una catinella piena d'acqua e un cestino ricolmo di vecce.
Il burattino, in tempo di vita sua, non aveva mai potuto patire le vecce: a sentir lui, gli facevano nausea, gli rivoltavano lo stomaco: ma quella sera ne mangiò a strippapelle, e quando l'ebbe quasi finite, si voltò al Colombo e gli disse:
— Non avrei mai creduto che le vecce fossero così buone!
— Bisogna persuadersi, ragazzo mio, — replicò il Colombo — che quando la fame dice davvero e non c'è altro da mangiare, anche le vecce diventano squisite! La fame non ha capricci né ghiottonerie! -
Fatto alla svelta un piccolo spuntino, si riposero in viaggio, e via! La mattina dopo arrivarono sulla spiaggia del mare.
Il Colombo posò a terra Pinocchio, e non volendo nemmeno la seccatura di sentirsi ringraziare per aver fatto una buona azione, riprese subito il volo e sparì.
La spiaggia era piena di gente che urlava e gesticolava, guardando verso il mare.
— Che cos'è accaduto? — domandò Pinocchio a una vecchina.
— Gli è accaduto che un povero babbo, avendo perduto il figliuolo, gli è voluto entrare in una barchetta per andare a cercarlo di là dal mare; e il mare oggi è molto cattivo e la barchetta sta per andare sott'acqua…
— Dov'è la barchetta?
— Eccola laggiù, diritta al mio dito — disse la vecchia, accennando una piccola barca che, veduta a quella distanza, pareva un guscio di noce con dentro un omino piccino piccino.
Pinocchio appuntò gli occhi da quella parte, e dopo aver guardato attentamente, cacciò un urlo acutissimo gridando:
— Gli è il mi' babbo! gli è il mi' babbo! -
Intanto la barchetta, sbattuta dall'infuriare dell'onde, ora spariva fra i grossi cavalloni, ora tornava a galleggiare: e Pinocchio, ritto sulla punta di un alto scoglio, non finiva più dal chiamare il suo babbo per nome, e dal fargli molti segnali colle mani e col moccichino da naso e perfino col berretto che aveva in capo.
E parve che Geppetto, sebbene fosse molto lontano dalla spiaggia, riconoscesse il figliuolo, perché si levò il berretto anche lui e lo salutò e, a furia di gesti, gli fece capire che sarebbe tornato volentieri indietro; ma il mare era tanto grosso, che gl'impediva di lavorare col remo e di potersi avvicinare alla terra.
Tutt'a un tratto venne una terribile ondata, e la barca sparì. Aspettarono che la barca tornasse a galla; ma la barca non si vide più tornare.
— Pover'omo — dissero allora i pescatori, che erano raccolti sulla spiaggia; e brontolando sottovoce una preghiera, si mossero per tornarsene alle loro case.
Quand'ecco che udirono un urlo disperato, e voltandosi indietro, videro un ragazzetto che, di vetta a uno scoglio, si gettava in mare gridando:
— Voglio salvare il mio babbo! -
Pinocchio, essendo tutto di legno, galleggiava facilmente e nuotava come un pesce. Ora si vedeva sparire sott'acqua, portato dall'impeto dei flutti, ora riappariva fuori con una gamba o con un braccio, a grandissima distanza dalla terra. Alla fine lo persero d'occhio e non lo videro più.
— Povero ragazzo! — dissero allora i pescatori, che erano raccolti sulla spiaggia; e brontolando sottovoce una preghiera, tornarono alle loro case.
Capitolo XXIV
Pinocchio arriva all'isola delle «Api industriose» e ritrova la Fata.
Pinocchio, animato dalla speranza di arrivare in tempo a dare aiuto al suo povero babbo, nuotò tutta quanta la notte.
E che orribile nottata fu quella! Diluviò, grandinò, tuonò spaventosamente e con certi lampi, che pareva di giorno.
Sul far del mattino, gli riuscì di vedere poco distante una lunga striscia di terra. Era un'isola in mezzo al mare.
Allora fece di tutto per arrivare a quella spiaggia: ma inutilmente. Le onde, rincorrendosi e accavallandosi, se lo abballottavano fra di loro, come se fosse stato un fuscello o un filo di paglia. Alla fine, e per sua buona fortuna, venne un'ondata tanto prepotente e impetuosa, che lo scaraventò di peso sulla rena del lido.
Il colpo fu così forte che, battendo in terra, gli crocchiarono tutte le costole e tutte le congiunture: ma si consolò subito col dire:
— Anche per questa volta l'ho scampata bella! -
Intanto a poco a poco il cielo si rasserenò; il sole apparve fuori in tutto il suo splendore, e il mare diventò tranquillissimo e buono come un olio.
Allora il burattino distese i suoi panni al sole per rasciugarli, e si pose a guardare di qua e di là se per caso avesse potuto scorgere su quella immensa spianata d'acqua una piccola barchetta con un omino dentro. Ma dopo aver guardato ben bene, non vide altro dinanzi a sé che cielo, mare e qualche vela di bastimento, ma così lontana lontana, che pareva una mosca.
— Sapessi almeno come si chiama quest'isola! — andava dicendo. - Sapessi almeno se quest'isola è abitata da gente di garbo, voglio dire da gente che non abbia il vizio di attaccare i ragazzi ai rami degli alberi! ma a chi mai posso domandarlo? a chi, se non c'è nessuno?… -
Quest'idea di trovarsi solo, solo, solo, in mezzo a quel gran paese disabitato, gli messe addosso tanta malinconia, che stava lì lì per piangere; quando tutt'a un tratto vide passare, a poca distanza dalla riva, un grosso pesce, che se ne andava tranquillamente per i fatti suoi, con tutta la testa fuori dell'acqua.
Non sapendo come chiamarlo per nome, il burattino gli gridò a voce alta, per farsi sentire:
— Ehi, signor pesce, che mi permetterebbe una parola?
— Anche due — rispose il pesce, il quale era un Delfino così garbato, come se ne trovano pochi in tutti i mari del mondo.
— Mi farebbe il piacere di dirmi se in quest'isola vi sono dei paesi dove si possa mangiare, senza pericolo d'esser mangiati?
— Ve ne sono sicuro — rispose il Delfino. - Anzi, ne troverai uno poco lontano di qui.
— E che strada si fa per andarvi?
— Devi prendere quella viottola là, a mancina, e camminare sempre diritto al naso. Non puoi sbagliare.
— Mi dica un'altra cosa. Lei che passeggia tutto il giorno e tutta la notte per il mare, non avrebbe incontrato per caso una piccola barchettina con dentro il mi' babbo?
— E chi è il tuo babbo?
— Gli è il più babbo buono del mondo, come io sono il figliuolo più cattivo che si possa dare.
— Colla burrasca che ha fatto questa notte — rispose il Delfino — la barchetta sarà andata sott'acqua.
— E il mio babbo?
— A quest'ora l'avrà inghiottito il terribile pesce-cane, che da qualche giorno è venuto a spargere lo sterminio e la desolazione nelle nostre acque.
— Che è grosso dimolto questo pesce-cane? — domandò Pinocchio, che di già cominciava a tremare dalla paura.
— Se gli è grosso!… - replicò il Delfino. - Perché tu possa fartene un'idea, ti dirò che è più grosso di un casamento di cinque piani, ed ha una boccaccia così larga e profonda, che ci passerebbe comodamente tutto il treno della strada ferrata colla macchina accesa.
— Mamma mia! — gridò spaventato il burattino; e rivestitosi in fretta e furia, si voltò al Delfino e gli disse:
— Arrivedella, signor pesce: scusi tanto l'incomodo e mille grazie della sua garbatezza. -
Detto ciò, prese subito la viottola e cominciò a camminare di un passo svelto: tanto svelto, che pareva quasi che corresse. E a ogni più piccolo rumore che sentiva, si voltava subito a guardare indietro, per la paura di vedersi inseguire da quel terribile pesce-cane grosso come una casa di cinque piani e con un treno della strada ferrata in bocca.
Dopo aver camminato più di mezz'ora, arrivò a un piccolo paese detto «il paese delle Api industriose». Le strade formicolavano di persone che correvano di qua e di là per le loro faccende: tutti lavoravano, tutti avevano qualche cosa da fare. Non si trovava un ozioso o un vagabondo, nemmeno a cercarlo col lumicino.
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