Carlo Collodi - Le avventure di Pinocchio
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E per l'appunto cadde così male, che restò col capo conficcato nel fango della strada e con le gambe ritte su in aria.
Alla vista di quel burattino, che sgambettava a capo fitto con una velocità incredibile, il Serpente fu preso da una tal convulsione di risa, che ridi, ridi, ridi, alla fine, dallo sforzo del troppo ridere, gli si strappò una vena sul petto: e quella volta morì davvero.
Allora Pinocchio ricominciò a correre per arrivare a casa della Fata avanti che si facesse buio. Ma lungo la strada, non potendo più reggere ai morsi terribili della fame, saltò in un campo coll'intenzione di cogliere poche ciocche d'uva moscadella. Non l'avesse mai fatto!
Appena giunto sotto la vite, crac. .. sentì stringersi le gambe da due ferri taglienti, che gli fecero vedere quante stelle c'erano in cielo.
Il povero burattino era rimasto preso a una tagliuola appostata là da alcuni contadini per beccarvi alcune grosse faine, che erano il flagello di tutti i pollai del vicinato.
Capitolo XXI
Pinocchio è preso da un contadino, il quale lo costringe a far da can di guardia a un pollajo.
Pinocchio, come potete figurarvelo, si dètte a piangere, a strillare, a raccomandarsi: ma erano pianti e grida inutili, perché lì all'intorno non si vedevano case e dalla strada non passava anima viva.
Intanto si fece notte.
Un po' per lo spasimo della tagliuola che gli segava gli stinchi, e un po' per la paura di trovarsi solo e al buio in mezzo a quei campi, il burattino principiava quasi a svenirsi; quando a un tratto, vedendosi passare una lucciola di sul capo, la chiamò e le disse:
— O Lucciolina, mi faresti la carità di liberarmi da questo supplizio?…
— Povero figliuolo! — replicò la Lucciola, fermandosi impietosita a guardarlo. - Come mai sei rimasto colle gambe attanagliate fra codesti ferri arrotati?
— Sono entrato nel campo per cogliere due grappoli di quest'uva moscadella, e…
— Ma l'uva era tua?
— No…
— E allora chi t'ha insegnato a portar via la roba degli altri?…
— Avevo fame…
— La fame, ragazzo mio, non è una buona ragione per potersi appropriare la roba che non è nostra…
- È vero, è vero! — gridò Pinocchio piangendo — ma un'altra volta non lo farò più. -
A questo punto il dialogo fu interrotto da un piccolissimo rumore di passi, che si avvicinavano. Era il padrone del campo che veniva in punta di piedi a vedere se qualcuna di quelle faine, che gli mangiavano di nottetempo i polli, fosse rimasta presa al trabocchetto della tagliuola.
E la sua maraviglia fu grandissima quando, tirata fuori la lanterna di sotto al pastrano, s'accòrse che, invece di una faina, c'era rimasto preso un ragazzo.
— Ah, ladracchiolo! — disse il contadino incollerito — dunque sei tu che mi porti via le galline?
— Io no, io no! — gridò Pinocchio, singhiozzando. - Io sono entrato nel campo per prendere soltanto due grappoli d'uva!
— Chi ruba l'uva è capacissimo di rubare anche i polli. Lascia fare a me, che ti darò una lezione da ricordartene per un pezzo. -
E aperta la tagliuola, afferrò il burattino per la collottola e lo portò di peso fino a casa, come si porterebbe un agnellino di latte.
Arrivato che fu sull'aia dinanzi alla casa, lo scaraventò in terra: e tenendogli un piede sul collo, gli disse:
— Oramai è tardi e voglio andare a letto. I nostri conti li aggiusteremo domani. Intanto, siccome oggi m'è morto il cane che mi faceva la guardia di notte, tu prenderai subito il suo posto. Tu mi farai da cane di guardia. -
Detto fatto, gl'infilò al collo un grosso collare tutto coperto di spunzoni di ottone, e glielo strinse in modo, da non poterselo levare passandoci la testa di dentro. Al collare c'era attaccata una lunga catenella di ferro: e la catenella era fissata nel muro.
— Se questa notte — disse il contadino — cominciasse a piovere, tu puoi andare a cuccia in quel casotto di legno, dove c'è sempre la paglia che ha servito di letto per quattr'anni al mio povero cane. E se per disgrazia venissero i ladri, ricordati di stare a orecchi ritti e di abbaiare. -
Dopo quest'ultimo avvertimento, il contadino entrò in casa chiudendo la porta con tanto di catenaccio: e il povero Pinocchio rimase accovacciato sull'aia più morto che vivo, a motivo del freddo, della fame e della paura. E di tanto in tanto cacciandosi rabbiosamente le mani dentro al collare, che gli serrava la gola, diceva piangendo:
— Mi sta bene!… Pur troppo mi sta bene! Ho voluto fare lo svogliato, il vagabondo… ho voluto dar retta ai cattivi compagni, e per questo la fortuna mi perseguita sempre. Se fossi stato un ragazzino per bene, come ce n'è tanti; se avessi avuto voglia di studiare e di lavorare, se fossi rimasto in casa col mio povero babbo, a quest'ora non mi troverei qui, in mezzo ai campi, a fare il cane di guardia alla casa di un contadino. Oh se potessi rinascere un'altra volta!… Ma oramai è tardi, e ci vuol pazienza!… -
Fatto questo piccolo sfogo, che gli venne proprio dal cuore, entrò dentro il casotto e si addormentò.
Capitolo XXII
Pinocchio scuopre i ladri, e in ricompensa di essere stato fedele vien posto in libertà.
Ed era già più di due ore che dormiva saporitamente; quando verso la mezzanotte fu svegliato da un bisbiglio e da un pissi-pissi di vocine strane, che gli parve di sentire nell'aia. Messa fuori la punta del naso dalla buca del casotto, vide riunite a consiglio quattro bestiuole di pelame scuro, che parevano gatti. Ma non erano gatti: erano faine, animaletti carnivori, ghiottissimi specialmente d'uova e di pollastrine giovani. Una di queste faine, staccandosi dalle sue compagne, andò alla buca del casotto e disse sottovoce:
— Buona sera, Melampo.
— Io non mi chiamo Melampo — rispose il burattino.
— O dunque chi sei?
— Io sono Pinocchio.
— E che cosa fai costì?
— Faccio il cane di guardia.
— O Melampo dov'è? dov'è il vecchio cane, che stava in questo casotto?
- È morto questa mattina.
— Morto? Povera bestia!… Era tanto buono!… Ma giudicandoti dalla fisonomia, anche te mi sembri un cane di garbo.
— Domando scusa, io non sono un cane!…
— O chi sei?
— Io sono un burattino.
— E fai da cane di guardia?
— Pur troppo: per mia punizione!…
— Ebbene, io ti propongo gli stessi patti, che avevo col defunto Melampo: e sarai contento.
— E questi patti sarebbero?
— Noi verremo una volta la settimana, come per il passato, a visitare di notte questo pollaio, e porteremo via otto galline. Di queste galline, sette le mangeremo noi, e una la daremo a te, a condizione, s'intende bene, che tu faccia finta di dormire e non ti venga mai l'estro di abbaiare e di svegliare il contadino.
— E Melampo faceva proprio così? - domandò Pinocchio.
— Faceva così, e fra noi e lui, siamo andati sempre d'accordo. Dormi dunque tranquillamente, e stai sicuro che prima di partire di qui, ti lasceremo sul casotto una gallina bell'e pelata per la colazione di domani. Ci siamo intesi bene?
— Anche troppo bene!… - rispose Pinocchio: e tentennò il capo in un certo modo minaccioso, come se avesse voluto dire: — Fra poco ci riparleremo!… -
Quando le quattro faine si credettero sicure del fatto loro, andarono difilato al pollaio, che rimaneva appunto vicinissimo al casotto del cane; e aperta a furia di denti e di unghioli la porticina di legno, che ne chiudeva l'entrata, vi sgusciarono dentro, una dopo l'altra. Ma non erano ancora finite d'entrare, che sentirono la porticina richiudersi con grandissima violenza.
Quello che l'aveva richiusa era Pinocchio; il quale, non contento di averla richiusa, vi posò davanti per maggior sicurezza una grossa pietra, a guisa di puntello.
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