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Carlo Collodi: Le avventure di Pinocchio

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Carlo Collodi Le avventure di Pinocchio

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Nelle veglie poi della sera, si esercitava a leggere e a scrivere. Aveva comprato nel vicino paese per pochi centesimi un grosso libro, al quale mancavano il frontespizio e l'indice, e con quello faceva la sua lettura. Quanto allo scrivere, si serviva di un fuscello temperato a uso penna; e non avendo né calamajo né inchiostro, lo intingeva in una boccettina ripiena di sugo di more e di ciliege.

Fatto sta, che con la sua buona volontà d'ingegnarsi, di lavorare e di tirarsi avanti, non solo era riuscito a mantenere quasi agiatamente il suo genitore sempre malaticcio, ma per di più aveva potuto mettere da parte anche quaranta soldi per comprarsi un vestitino nuovo.

Una mattina disse a suo padre:

— Vado qui al mercato vicino, a comprarmi una giacchettina, un berrettino e un pajo di scarpe. Quando tornerò a casa — soggiunse ridendo — sarò vestito così bene, che mi scambierete per un gran signore. -

E uscito di casa, cominciò a correre tutto allegro e contento. Quando a un tratto sentì chiamarsi per nome: e voltandosi, vide una bella lumaca che sbucava fuori dalla siepe.

— Non mi riconosci? — disse la Lumaca.

— Mi pare e non mi pare…

— Non ti ricordi di quella Lumaca, che stava per cameriera con la Fata dai capelli turchini? non ti rammenti di quella volta, quando scesi a farti lume e che tu rimanesti con un piede confitto nell'uscio di casa?

— Mi rammento di tutto — gridò Pinocchio. - Rispondimi subito, Lumachina bella: dove hai lasciato la mia buona Fata? che fa? mi ha perdonato? si ricorda sempre di me? mi vuol sempre bene? è molto lontana di qui? potrei andare a trovarla? -

A tutte queste domande, fatte precipitosamente e senza ripigliar fiato, la Lumaca rispose con la sua solita flemma:

— Pinocchio mio! La povera Fata giace in un fondo di letto allo spedale!…

— Allo spedale?…

— Pur troppo. Colpita da mille disgrazie, si è gravemente ammalata, e non ha più da comprarsi un boccon di pane.

— Davvero?… Oh! che gran dolore che mi hai dato! Oh! povera Fatina! povera Fatina! povera Fatina!… Se avessi un milione, correrei a portarglielo… Ma io non ho che quaranta soldi… eccoli qui: andavo giusto a comprarmi un vestito nuovo. Prendili, Lumaca, e va' a portarli subito alla mia buona Fata.

— E il tuo vestito nuovo?…

— Che m'importa del vestito nuovo? Venderei anche questi cenci che ho addosso, per poterla ajutare! Va', Lumaca, e spicciati: e fra due giorni ritorna qui, ché spero di poterti dare qualche altro soldo. Finora ho lavorato per mantenere il mio babbo: da oggi in là, lavorerò cinque ore di più per mantenere anche la mia buona mamma. Addio, Lumaca, e fra due giorni ti aspetto. -

La Lumaca, contro il suo costume, cominciò a correre come una lucertola nei grandi solleoni d'agosto.

Quando Pinocchio tornò a casa, il suo babbo gli domandò:

— E il vestito nuovo?

— Non m'è stato possibile di trovarne uno che mi tornasse bene. Pazienza!… Lo comprerò un'altra volta. -

Quella sera Pinocchio, invece di vegliare fino alle dieci, vegliò fino alla mezzanotte sonata: e invece di far otto canestri di giunco, ne fece sedici.

Poi andò a letto e si addormentò. E nel dormire, gli parve di vedere in sogno la Fata, tutta bella e sorridente, la quale, dopo avergli dato un bacio, gli disse così:

— «Bravo Pinocchio! In grazia del tuo buon cuore, io ti perdono tutte le monellerie che hai fatto fino a oggi. I ragazzi che assistono amorosamente i propri genitori nelle loro miserie e nelle loro infermità, meritano sempre gran lode e grande affetto, anche se non possono esser citati come modelli d'ubbidienza e di buona condotta. Metti giudizio per l'avvenire, e sarai felice». -

A questo punto il sogno finì, e Pinocchio si svegliò con tanto d'occhi spalancati.

Ora immaginatevi voi quale fu la sua meraviglia quando, svegliandosi, si accòrse che non era più un burattino di legno: ma che era diventato, invece, un ragazzo come tutti gli altri. Dètte un'occhiata all'intorno e invece delle solite pareti di paglia della capanna, vide una bella camerina ammobiliata e agghindata con una semplicità quasi elegante. Saltando giù dal letto, trovò preparato un bel vestiario nuovo, un berretto nuovo e un pajo di stivaletti di pelle, che gli tornavano una vera pittura.

Appena si fu vestito, gli venne fatto naturalmente di mettere le mani nelle tasche e tirò fuori un piccolo portamonete d'avorio, sul quale erano scritte queste parole: «La Fata dai capelli turchini restituisce al suo caro Pinocchio i quaranta soldi e lo ringrazia tanto del suo buon cuore.» Aperto il portafoglio, invece dei 40 soldi di rame, vi luccicavano quaranta zecchini d'oro, tutti nuovi di zecca.

Dopo andò a guardarsi allo specchio, e gli parve d'essere un altro. Non vide più riflessa la solita immagine della marionetta di legno, ma vide l'immagine vispa e intelligente di un bel fanciullo coi capelli castagni, cogli occhi celesti e con un'aria allegra e festosa come una pasqua di rose.

In mezzo a tutte queste meraviglie, che si succedevano le une alle altre, Pinocchio non sapeva più nemmeno lui se era desto davvero o se sognava sempre a occhi aperti.

— E il mio babbo dov'è? - gridò tutt'a un tratto: ed entrato nella stanza accanto trovò il vecchio Geppetto sano, arzillo e di buon umore, come una volta, il quale, avendo ripreso subito la sua professione d'intagliatore, stava appunto disegnando una bellissima cornice ricca di fogliami, di fiori e di testine di diversi animali.

— Levatemi una curiosità, babbino: ma come si spiega tutto questo cambiamento improvviso? — gli domandò Pinocchio saltandogli al collo e coprendolo di baci.

— Questo improvviso cambiamento in casa nostra è tutto merito tuo — disse Geppetto.

— Perché merito mio?…

— Perché quando i ragazzi, di cattivi diventano buoni, hanno la virtù di far prendere un aspetto nuovo e sorridente anche all'interno delle loro famiglie.

— E il vecchio Pinocchio di legno dove si sarà nascosto?

— Eccolo là — rispose Geppetto: e gli accennò un grosso burattino appoggiato a una seggiola, col capo girato sur una parte, con le braccia ciondoloni e con le gambe incrocicchiate e ripiegate a mezzo, da parere un miracolo se stava ritto.

Pinocchio si voltò a guardarlo; e dopo che l'ebbe guardato un poco, disse dentro di sé con grandissima compiacenza:

— Com'ero buffo, quand'ero un burattino! e come ora son contento di esser diventato un ragazzino perbene!…

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