Carlo Collodi - Le avventure di Pinocchio

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Le avventure di Pinocchio: краткое содержание, описание и аннотация

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Quando ritornò in sé da quello sbigottimento, non sapeva raccapezzarsi, nemmeno lui, in che mondo si fosse. Intorno a sé c'era da ogni parte un gran buio: ma un buio così nero e profondo, che gli pareva di essere entrato col capo in un calamaio pieno d'inchiostro.

Stette in ascolto e non sentì nessun rumore: solamente di tanto in tanto sentiva battersi nel viso alcune grandi buffate di vento. Da principio non sapeva intendere da dove quel vento uscisse: ma poi capì che usciva dai polmoni del mostro. Perché bisogna sapere che il Pesce-cane soffriva moltissimo d'asma, e quando respirava, pareva proprio che soffiasse la tramontana.

Pinocchio, sulle prime, s'ingegnò di farsi un po' di coraggio: ma quand'ebbe la prova e la riprova di trovarsi chiuso in corpo al mostro marino, allora cominciò a piangere e a strillare; e piangendo diceva:

— Aiuto! aiuto! Oh povero me! Non c'è nessuno che venga a salvarmi?

— Chi vuoi che ti salvi, disgraziato?… — disse in quel buio una vociaccia fessa di chitarra scordata.

— Chi è che parla così? - domandò Pinocchio, sentendosi gelare dallo spavento.

— Sono io! sono un povero Tonno, inghiottito dal Pesce-cane insieme con te. E tu che pesce sei?

— Io non ho che veder nulla coi pesci. Io sono un burattino.

— E allora, se non sei un pesce, perché ti sei fatto inghiottire dal mostro?

— Non son io, che mi son fatto inghiottire: gli è lui che mi ha inghiottito! Ed ora che cosa dobbiamo fare qui al buio?…

— Rassegnarsi e aspettare che il Pesce-cane ci abbia digeriti tutti e due!…

— Ma io non voglio esser digerito! — urlò Pinocchio, ricominciando a piangere.

— Neppure io vorrei esser digerito — soggiunse il Tonno — ma io sono abbastanza filosofo e mi consolo pensando che, quando si nasce Tonni, c'è più dignità a morir sott'acqua che sott'olio!…

— Scioccherie! — gridò Pinocchio.

— La mia è un'opinione — replicò il Tonno — e le opinioni, come dicono i Tonni politici, vanno rispettate!

— Insomma… io voglio andarmene di qui… io voglio fuggire…

— Fuggi, se ti riesce!…

- È molto grosso questo Pesce-cane che ci ha inghiottiti? — domandò il burattino.

— Figurati che il suo corpo è più lungo di un chilometro senza contare la coda. -

Nel tempo che facevano questa conversazione al buio, parve a Pinocchio di veder lontan lontano una specie di chiarore.

— Che cosa sarà mai quel lumicino lontano lontano? — disse Pinocchio.

— Sarà qualche nostro compagno di sventura, che aspetterà come noi il momento di esser digerito!…

— Voglio andare a trovarlo. Non potrebbe darsi il caso che fosse qualche vecchio pesce capace d'insegnarmi la strada per fuggire?

— Io te l'auguro di cuore, caro burattino.

— Addio, Tonno.

— Addio, burattino: e buona fortuna.

— Dove ci rivedremo?…

— Chi lo sa?… E meglio non pensarci neppure! -

Capitolo XXXV

Pinocchio ritrova in corpo al Pesce-cane… chi ritrova? Leggete questo capitolo e lo saprete.

Pinocchio, appena che ebbe detto addio al suo buon amico Tonno, si mosse brancolando in mezzo a quel bujo, e camminando a tastoni dentro il corpo del Pesce-cane, si avviò un passo dietro l'altro verso quel piccolo chiarore che vedeva baluginare lontano lontano.

E nel camminare sentì che i suoi piedi sguazzavano in una pozzanghera d'acqua grassa e sdrucciolona, e quell'acqua sapeva di un odore così acuto di pesce fritto, che gli pareva d'essere a mezza quaresima.

E più andava avanti, e più il chiarore si faceva rilucente e distinto: finché, cammina cammina, alla fine arrivò: e quando fu arrivato… che cosa trovò? Ve lo do a indovinare in mille: trovò una piccola tavola apparecchiata, con sopra una candela accesa infilata in una bottiglia di cristallo verde, e seduto a tavola un vecchiettino tutto bianco, come se fosse di neve o di panna montata, il quale se ne stava lì biascicando alcuni pesciolini vivi, ma tanto vivi, che alle volte mentre li mangiava, gli scappavano perfino di bocca.

A quella vista il povero Pinocchio ebbe un'allegrezza così grande e così inaspettata, che ci mancò un ette non cadesse in delirio. Voleva ridere, voleva piangere, voleva dire un monte di cose; e invece mugolava confusamente e balbettava delle parole tronche e sconclusionate. Finalmente gli riuscì di cacciar fuori un grido di gioja, e spalancando le braccia e gettandosi al collo del vecchietto, cominciò a urlare:

— Oh! babbino mio! finalmente vi ho ritrovato! Ora poi non vi lascio più, mai più, mai più!

— Dunque gli occhi mi dicono il vero? — replicò il vecchietto, stropicciandosi gli occhi — Dunque tu se' proprio il mi' caro Pinocchio?

— Sì, sì, sono io, proprio io! E voi mi avete digià perdonato, non è vero? Oh! babbino mio, come siete buono!… e pensare che io, invece… Oh! ma se sapeste quante disgrazie mi son piovute sul capo e quante cose mi sono andate a traverso! Figuratevi che il giorno che voi, povero babbino, col vendere la vostra casacca, mi compraste l'Abbecedario per andare a scuola, io scappai a vedere i burattini, e il burattinajo mi voleva mettere sul fuoco perché gli cocessi il montone arrosto, che fu quello poi che mi dètte cinque monete d'oro, perché le portassi a voi, ma io trovai la Volpe e il Gatto, che mi condussero all'Osteria del Gambero Rosso, dove mangiarono come lupi, e partito solo di notte incontrai gli assassini che si messero a corrermi dietro, e io via, e loro dietro, e io via, e loro sempre dietro, e io via, finché m'impiccarono a un ramo della Quercia Grande, dovecché la bella Bambina dai capelli turchini mi mandò a prendere con una carrozzina, e i medici, quando m'ebbero visitato, dissero subito: — «Se non è morto, è segno che è sempre vivo» — e allora mi scappò detta una bugia, e il naso cominciò a crescermi e non mi passava più dalla porta di camera, motivo per cui andai con la Volpe e col Gatto a sotterrare le quattro monete d'oro, che una l'avevo spesa all'Osteria, e il pappagallo si messe a ridere, e viceversa di duemila monete non trovai più nulla, la quale il Giudice quando seppe che ero stato derubato, mi fece subito mettere in prigione, per dare una soddisfazione ai ladri, di dove, col venir via, vidi un bel grappolo d'uva in un campo, che rimasi preso alla tagliola e il contadino di santa ragione mi messe il collare da cane perché facessi la guardia al pollajo, che riconobbe la mia innocenza e mi lasciò andare, e il Serpente, colla coda che gli fumava, cominciò a ridere e gli si strappò una vena sul petto, e così ritornai alla casa della bella Bambina, che era morta, e il Colombo vedendo che piangevo mi disse: — «Ho visto il tu' babbo che si fabbricava una barchettina per venirti a cercare» — e io gli dissi — «Oh! se avessi l'ali anch'io» — e lui mi disse — «Vuoi venire dal tuo babbo?» — e io gli dissi — «Magari! ma chi mi ci porta?» — e lui mi disse — «Ti ci porto io» — e io gli dissi — «Come?» — e lui mi disse — «Montami sulla groppa» — e così abbiamo volato tutta la notte, poi la mattina tutti i pescatori che guardavano verso il mare mi dissero — «C'è un pover'omo in una barchetta che sta per affogare» — e io da lontano vi riconobbi subito, perché me lo diceva il core, e vi feci segno di tornare alla spiaggia…

— Ti riconobbi anch'io — disse Geppetto — e sarei volentieri tornato alla spiaggia: ma come fare? Il mare era grosso e un cavallone m'arrovesciò la barchetta. Allora un orribile Pesce-cane che era lì vicino, appena che m'ebbe visto nell'acqua corse subito verso di me, e tirata fuori la lingua, mi prese pari pari, e m'inghiottì come un tortellino di Bologna.

— E quant'è che siete chiuso qui dentro? — domandò Pinocchio.

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