«Ti prego!» esclamò Corky, impaziente. «Stento a credere alle mie orecchie. "Lasciando da parte l'autenticità del meteorite?" Ma il meteorite è irrefutabile. Anche se il pavimento oceanico ha la stessa età del meteorite, possiamo scommetterci le palle che non presenta crosta di fusione, contenuto di nichel anomalo e condri. Ti stai arrampicando sui vetri.»
Tolland sapeva che Corky aveva ragione, e in effetti immaginare i fossili come creature marine li rendeva in certo qual modo assai meno affascinanti, più consueti.
«Mike» intervenne Rachel «come mai nessuno degli scienziati della NASA ha pensato che quei fossili potessero essere creature marine? Anche, eventualmente, di mari di altri pianeti?»
«Per due ragioni, credo. I campioni di fossili pelagici, quelli cioè del pavimento oceanico, presentano invariabilmente una mescolanza di molte specie. Tutto ciò che vive nei milioni di metri cubi di acqua che ricoprono il fondo degli oceani finisce per morire e precipitare, il che significa che il pavimento oceanico diventa una sorta di cimitero per specie che vivono a ogni profondità, pressione e temperatura. Il campione di Milne, invece, era pulito, una sola specie. Ricordava, semmai, gli esemplari che si rinvengono nei deserti. Una nidiata di animali sepolti da una tempesta di sabbia, per esempio.»
Rachel annuì. «E la seconda ragione che ha fatto loro ipotizzare la terra piuttosto che il mare?»
Tolland si strinse nelle spalle. «Istinto. Gli scienziati hanno sempre creduto che lo spazio, se popolato, sarebbe stato popolato da insetti. E, da quanto abbiamo osservato, c'è molta più polvere e roccia che acqua.»
Rachel divenne silenziosa.
«Anche se…» aggiunse Tolland «ammetto che ci sono parti profonde del pavimento oceanico che gli oceanografi chiamano "zone morte". Non le conosciamo bene, ma sono aree in cui le correnti e le fonti di cibo sono tali che non vi sopravvive praticamente nulla, solo pochissime specie di saprofagi. Quindi, da questo punto di vista, immagino che non si possa neppure escludere un fossile di una sola specie.»
Corky era chiaramente spazientito. «Ehi, hai presente la crosta di fusione? Il livello medio di contenuto di nichel? I condri? Ma perché perdiamo tempo a discutere?»
Tolland non rispose.
Rachel si rivolse a Corky. «A proposito del contenuto di nichel, spiegami di nuovo una cosa. La concentrazione di nichel nelle rocce terrestri è molto alta oppure molto bassa, mentre nei meteoriti si presenta a livello medio.»
Corky accennò di sì con il capo. «Esatto.»
«E in questo campione rientra esattamente nei valori previsti.»
«Molto vicino, sì.»
Rachel era sbalordita. «Un momento! Vicino? Che significa?»
Corky appariva esasperato. «Come ho già spiegato, la composizione minerale dei meteoriti è molto varia. Quando vengono trovati nuovi meteoriti, noi scienziati dobbiamo regolarmente aggiornare i calcoli riguardo a quello che viene considerato un contenuto di nichel accettabile.»
Rachel osservava il campione con occhi sgranati. «Dunque, questo meteorite vi ha costretto a riconsiderare quello che voi giudicate un contenuto di nichel accettabile per un meteorite perché cadeva al di fuori della finestra media stabilita?»
«Solo per poco» replicò Corky.
«Come mai nessuno ne ha parlato?»
«È irrilevante. L'astrofisica è una scienza dinamica, continuamente aggiornata.»
«Durante un'analisi di importanza eccezionale?»
«Senti» sbottò infine Corky «posso assicurarti che il contenuto di nichel in quel campione è molto più vicino a quello che si ritrova in qualunque altro meteorite rispetto a quello che si ritrova in una qualsiasi roccia terrestre.»
Rachel si rivolse a Tolland. «Tu lo sapevi?»
Michael annuì con riluttanza. Al momento, non era parsa una questione degna di nota. «Mi è stato detto che questo meteorite mostrava un contenuto di nichel leggermente più alto, ma la cosa non sembrava preoccupare gli specialisti della NASA.»
«E a buona ragione!» intervenne Corky. «La prova mineralogica, in questo caso, è costituita non dal fatto che il contenuto di nichel è sicuramente coerente con quello di un meteorite, ma piuttosto dal fatto che è sicuramente diverso da quello che si riscontra sulla Terra.»
Rachel scosse la testa. «Scusa tanto, ma nel mio lavoro questa è proprio la logica fallace che finisce per far morire la gente. Sostenere che una roccia non è simile a quelle terrestri significa non che è un meteorite, ma soltanto che è diversa da tutte quelle finora trovate sulla Terra.»
«Che diamine di differenza c'è?»
«Nessuna, se hai visto tutte le rocce della Terra.»
Corky fece una breve pausa. «Okay» disse infine «lascia perdere il contenuto di nichel, se ti rende nervosa. Abbiamo pur sempre una crosta di fusione impeccabile e i condri.»
«Certo. Due su tre non è male» affermò Rachel, impassibile.
La sede centrale della NASA, un mastodontico parallelepipedo di vetro, era situata al numero 300 di E Street, a Washington. L'edificio era percorso da una rete di oltre trecento chilometri di cavi per trasmissione dati e conteneva migliaia di tonnellate di computer. Vi lavoravano millecentotrentaquattro dipendenti pubblici che controllavano il budget annuo dell'agenzia, quindici miliardi di dollari, e le operazioni quotidiane delle dodici basi NASA disseminate per la nazione.
Malgrado l'ora tarda, Gabrielle non fu sorpresa di vedere l'atrio del palazzo pieno di gente: una convergenza di giornalisti e inviati dei media entusiasti e personale NASA ancora più entusiasta. L'entrata sembrava un museo, dominata da modelli di enormi dimensioni di navicelle spaziali e satelliti appesi all'alto soffitto. Le troupe televisive, disseminate per tutto il pavimento di marmo, riprendevano i dipendenti NASA che arrivavano con gli occhi sbarrati dalla meraviglia.
Gabrielle passò in rassegna la folla ma non vide nessuno che assomigliasse al direttore della missione PODS, Chris Harper. Metà delle persone nell'atrio aveva il pass della stampa e l'altra metà portava al collo il badge con fotografia dei dipendenti della NASA. Gabrielle non aveva né l'uno né l'altro. Individuò una giovane con il cartellino NASA e le corse incontro.
«Salve, sto cercando Chris Harper!»
La donna la guardò in modo strano, come se il suo viso le risultasse familiare ma non riuscisse a collocarlo con precisione. «Ho visto passare il dottor Harper parecchio tempo fa. Credo che stesse per salire. Ma ci conosciamo?»
«Non credo. Come si arriva di sopra?» chiese Gabrielle, voltando la testa.
«Lei lavora per la NASA?»
«No.»
«Allora non può salire.»
«Ah. C'è per caso un telefono…»
«Ehi» disse la donna, d'un tratto aggressiva «so chi è lei. L'ho vista in tivù con il senatore Sexton. Stento a credere che abbia il coraggio…»
Gabrielle si era già dileguata nella folla. Sentiva alle sue spalle che la tizia rivelava a tutti la sua presenza.
"Splendido. Arrivata da due secondi, sono già sulla lista dei ricercati speciali."
Tenne la testa bassa e si diresse in fondo all'atrio. Sulla parete c'era una targa con l'elenco degli uffici. Scorse la lista, con la speranza di leggere il nome di Chris Harper, ma non c'erano nomi, solo i settori.
"Il PODS." Cercò qualcosa che ricordasse il Polar Orbiting Density Scanner. Nulla. Non si voltò nel timore di vedere una folla di furibondi dipendenti della NASA pronti a lapidarla. L'unico ufficio che le parve vagamente promettente era situato al quarto piano.
PROGETTO SCIENZE DELLA TERRA, FASE H
Earth Observing System (EOS)
Per evitare di fronteggiare la folla, si infilò in un andito su cui si affacciavano una fila di ascensori e una fontanella. Cercò il pulsante di chiamata, ma vide solo fessure. "Accidenti!" Per ragioni di sicurezza, l'uso degli ascensori era consentito esclusivamente ai dipendenti muniti di tesserino elettronico.
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