Tornò a origliare alla porta. Questa volta udì distintamente alcune voci, sempre più forti, e poi rumore di passi. Qualcuno aprì dall'interno.
Non ebbe il tempo di nascondersi. Balzò di lato, incollandosi al muro dietro la porta spalancata mentre alcune persone uscivano di corsa, parlando animatamente. Parevano seccate.
«Ma che diavolo ha Harper? Pensavo che sarebbe stato al settimo cielo!»
«In una notte come questa vuole stare solo?» ribadì un altro. «Dovrebbe festeggiare!»
Mentre il gruppo si allontanava, la massiccia porta cominciò a richiudersi sui cardini pneumatici, lasciando Gabrielle allo scoperto. Restò immobile il più a lungo possibile mentre quelli percorrevano il corridoio e poi, quando rimaneva solo un varco di pochi centimetri, afferrò la maniglia. Aspettò che gli uomini svoltassero l'angolo, troppo presi dalla conversazione per guardarsi alle spalle.
Con il batticuore, entrò nel locale poco illuminato e richiuse la porta dietro di sé.
Si trovò in un ampio spazio aperto che le ricordò il laboratorio di fisica dell'università: computer, postazioni di lavoro, apparecchi elettronici. Quando gli occhi si abituarono alla penombra, vide sparsi ovunque grafici e fogli di calcolo. L'intera area era buia tranne un ufficio in fondo, sotto la cui porta filtrava una luce. Gabrielle vi si diresse senza fare rumore. La porta era chiusa, ma dal vetro vide un uomo seduto al computer.
Lo riconobbe: era quello della conferenza stampa della NASA. Sulla targa, una scritta:
CHRIS HARPER
CAPOPROGETTO PODS
Arrivata a quel punto, si chiese con ansia se sarebbe riuscita a portare il piano fino in fondo. Ricordò a se stessa che Sexton era sicuro che Chris Harper avesse mentito. Le aveva detto che era pronto a scommetterci la sua campagna elettorale. Altri, convinti della stessa cosa, attendevano che lei scoprisse la verità per poter attaccare la NASA e riguadagnare terreno dopo gli sconvolgenti sviluppi di quella sera. La Tench e l'amministrazione Herney l'avevano giocata, quel pomeriggio, e Gabrielle era ansiosa di rifarsi.
Alzò la mano per bussare, ma le risuonò nella mente la voce di Yolanda. "Se il direttore ha mentito al mondo intero, cosa ti fa credere che dirà la verità a te?"
"La paura" si disse, quella paura di cui per poco non era caduta vittima lei stessa, quel giorno. Il suo piano comportava l'uso di una tattica adottata a volte dal senatore per spaventare gli avversari politici e costringerli a rivelargli informazioni preziose. Gabrielle aveva assorbito molto lavorando a stretto contatto con lui, non sempre cose moralmente ineccepibili. Ma quella sera aveva bisogno di mettersi in posizione di vantaggio. Se avesse persuaso Chris Harper a confessare che aveva mentito — per qualunque ragione -, avrebbe riaperto uno spiraglio per la campagna del senatore. E Sexton era un uomo a cui bastava un margine minimo di manovra per cavarsi da qualsiasi impiccio.
Il piano per affrontare Harper era quello che Sexton definiva "sparare alto": una tecnica di interrogatorio inventata dagli antichi romani per estorcere confessioni a sospetti criminali. Un metodo semplicissimo.
Asserire un fatto che si desidera venga confessato.
Poi, accusare l'interlocutore di qualcosa di molto più grave.
L'obiettivo consiste nell'offrire all'avversario la possibilità di scegliere tra il minore dei due mali, in questo caso la verità.
Il trucco stava nell'esibire una grande sicurezza, proprio quella che Gabrielle era lungi dal provare. Fece un profondo respiro, ripassò mentalmente il copione, quindi bussò con decisione.
«Ho detto che ho da fare!» gridò Harper, con un accento familiare.
Bussò di nuovo, più forte.
«Non ho voglia di scendere!»
Bussò con il pugno.
Chris Harper spalancò la porta. «Che diavolo, ma…» Si interruppe di botto, chiaramente sorpreso.
«Dottor Harper» lo salutò lei in tono cordiale.
«Com'è arrivata fin qui?»
Il viso di Gabrielle era serio. «Sa chi sono?»
«Certo. Il suo capo da mesi non fa che attaccare il mio progetto. Come ha fatto a entrare?»
«Mi manda il senatore Sexton.»
Harper percorse con gli occhi il laboratorio. «Chi l'ha accompagnata qui?»
«Non sono affari suoi. Il senatore ha conoscenze importanti.»
«In questo palazzo?» Harper sembrava dubbioso.
«Lei è stato disonesto e Sexton ha istituito una commissione senatoriale per indagare sulle sue menzogne.»
Un'espressione di disgusto si dipinse sul viso di Harper. «Ma di che sta parlando?»
«Le persone intelligenti come lei non possono concedersi il lusso di far finta di non capire, dottor Harper. Lei è nei guai, e il senatore mi ha mandato per proporle un patto. La sua campagna elettorale ha subito un brutto colpo, stasera, e lui non ha più niente da perdere, per cui è pronto a trascinarla nel fango con sé, se necessario.»
«Ma di cosa diavolo parla?»
Gabrielle fece un profondo respiro prima di lanciarsi nella scena madre. «Nella conferenza stampa sul software del PODS per la rilevazione delle anomalie, lei ha mentito; lo sappiamo bene noi, come lo sanno molti altri. Ma non è questo il problema.» Non gli lasciò neppure il tempo di aprire bocca per negare. «Il senatore potrebbe renderlo noto subito, ma non gli interessa. Gli preme una questione più importante. Credo che lei sappia a cosa mi riferisco.»
«No, io…»
«La proposta del senatore è la seguente: terrà la bocca chiusa sulle panzane riguardo al software se gli rivela il nome del dirigente della NASA con cui è in combutta per l'appropriazione indebita di fondi.»
Per un attimo, Chris Harper sbarrò gli occhi. «Cosa? Ma io non mi sono appropriato di un bel niente!»
«Attenzione a quel che dice, signore. La commissione senatoriale raccoglie documentazione da mesi, ormai. Credevate davvero di poterla fare franca, voi due? Manipolare i dati sul PODS e dirottare fondi NASA su conti privati? Le menzogne e la malversazione possono farla finire in prigione, dottor Harper.»
«Io non ho fatto nulla del genere!»
«Sostiene di aver detto la verità sul PODS?»
Harper la fissò interdetto.
«Lasci perdere le bugie» continuò Gabrielle, liquidando la cosa con un gesto della mano. «Al senatore Sexton non interessano le balle raccontate durante la conferenza stampa. Ci siamo abituati. Voialtri avete trovato un meteorite, e a nessuno frega come ci siete riusciti. Ma la questione della malversazione è un altro paio di maniche. A lui occorre distruggere qualcuno di importante all'interno della NASA. Gli dica con chi è in società, e lui la lascerà fuori dall'indagine. Gli faciliti le cose e riveli chi è l'altro, oppure il senatore la metterà giù dura e comincerà a parlare del software per la ricerca delle anomalie e delle altre imposture.»
«Lei bluffa. Non c'è stata alcuna malversazione.»
«Lei è negato a mentire, dottor Harper. Ho visto le carte, e il suo nome compare più e più volte su documenti incriminanti.»
«Giuro che non so nulla di malversazioni!»
Gabrielle sospirò delusa. «Si metta nei miei panni, dottor Harper. A questo punto, posso trarre soltanto due conclusioni. O lei mi sta mentendo, come ha mentito nella conferenza stampa, oppure dice la verità, e qualcuno nell'agenzia cerca di coprire le proprie malefatte facendo di lei il capro espiatorio.»
Harper scosse la testa. «Tutte bugie.»
«È pronto a sostenerlo in tribunale?»
«Certo. Negherei tutto.»
«Sotto giuramento?» Gabrielle emise un suono disgustato. «Sarebbe pronto anche a giurare di aver detto la verità sul software del PODS?» Lo fissò dritto negli occhi con il batticuore. «Ci rifletta bene, dottor Harper. Le prigioni americane possono essere assai sgradevoli.»
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