Susan afferrò uno spicchio d'aglio e lo sbucciò. Dietro di lei, un colpo dell'orologio e la prima notizia. «Un altro cadavere trovato nella zona sud-est di Londra. Scotland Yard non ha escluso un collegamento con gli omicidi di Harteveld.»
Susan posò velocemente lo spicchio d'aglio, alzò il volume e si appoggiò al bancone, prendendo un bicchiere di vino. «Mentre emergono maggiori dettagli, i deputati chiedono una valutazione rapida del progetto di ricerca sui crimini gravi proposto dalla PRCU.» Il ministro dell'Interno, sul prato all'esterno del Parlamento, i radi capelli mossi dalla brezza, ribadì la sua solidarietà coi parenti delle vittime ed enfatizzò la diminuzione percentuale dei crimini commessi nel corso dell'anno. Poi Sir Paul Condon, elegante al tavolo della conferenza stampa, dichiarò davanti alle telecamere che il CID e l'AMIP di Greenwich erano perfettamente competenti, e che, no, non erano pronti a confermare né a negare che si trattasse di una vittima di Harteveld.
Susan sorseggiò il vino, pensierosa. La casa di Harteveld si trovava a meno di un chilometro da lì; inoltre lei aveva scoperto che quella particolare auto verde, di solito parcheggiata fuori del St. Dunstan's, quella che lei vedeva durante le sue corse mattutine, apparteneva a lui. E adesso… questo. Un altro cadavere.
Le immagini sullo schermo ora mostravano una strada di Londra, facilmente identificabile come Royal Hill: tre detective vestiti di grigio trasportavano una cassa gialla. Seguirono una ripresa dall'elicottero, una rapida panoramica dei tetti di Malpens Street, e poi un'inquadratura delle figure spettrali vestite di bianco che vagavano entro l'area recintata dal nastro della polizia.
«Questo porta il numero non ufficiale delle vittime a sei, delle quali solo quattro sono state identificate. Stasera il commissario capo Days dell'AMIT, l'Area Major Investigation Team, cioè la squadra investigativa principale per la zona sud-est di Londra, si è rifiutato di confermare che la polizia stia valutando un'eventuale connessione con Toby Harteveld.»
Nella sua cucina, Susan, colta da una paura irrazionale, si protese e chiuse la finestra. Un cadavere a Royal Hill. Quanto c'era andata vicino? Finì con calma di tritare l'aglio, fastidiosamente consapevole del suo riflesso nella finestra che s'insinuava tra i rami spettrali del caprifoglio. Spezie cinesi, un pizzico di salsa di soia, poi il maiale. Si sciacquò rapidamente le mani e prese le chiavi della macchina. Michael stava aspettando.
Fuori l'atmosfera era tiepida e dolce, la sera era satura del profumo del gelsomino in fiore nel giardino del vicino. Era tutto finito. Harteveld era morto, si trovava in un obitorio da qualche parte, e lei poteva smettere di provare quell'ansia irritante. La strada aveva il solito aspetto; gli insetti sciamavano sotto le luci gialle dei lampioni, le palme nel giardino accanto mandavano un sentore di palude, tanto che quasi ci si aspettava di udire il canto delle cicale. Non c'era nulla d'insolito. Una macchina che non conosceva… Aveva qualcosa di francese… Una Peugeot forse… Vuota.
Probabilmente, quella sera stessa, avrebbe proposto a Michael di montare un sistema d'allarme in casa. Dato che lui, in quel periodo, lavorava fino a tardi, si sarebbe sentita più al sicuro. Oppure gli avrebbe chiesto di prendere un cane. Percorse i pochi metri fino alla sua Fiesta. Quella era una buona idea. Un cane.
La macchina era ancora calda per la giornata di sole e l'interno mandava un odore acre. Il marito aveva l'abitudine di lasciare il kit da cricket nel bagagliaio per giorni interi. «Ti ucciderei, Michael», mormorò lei, armeggiando con le chiavi. Gli avrebbe fatto tirare fuori il kit prima di andare a dormire, gli avrebbe ricordato che lavoravano tutti e due e che anche lui doveva fare la sua parte in casa.
Si mordicchiò l'interno della guancia e si allacciò la cintura di sicurezza. Sì, un cane era una buona idea. Un boxer o magari un dobermann. Qualcosa di grosso. Di muscoloso. L'avrebbe portato a fare jogging con lei, così magari i camionisti sulla Trafalgar Road ci avrebbero pensato due volte prima di gridarle dietro. Grazie alla luce del lampione trovò la chiave d'accensione, avviò il motore e controllò lo specchietto. Sul sedile posteriore, un uomo si raddrizzò e le sorrise.
La mattina seguente, il corpo di Harteveld fu ripescato dal fiume a Wapping e portato a Greenwich per l'autopsia. Nel contempo, i suoi avvocati, Schloss-Lawson e Walker, portarono all'AMIP la cartella delle proprietà del loro cliente. Maddox e Jack diedero un'occhiata e trovarono immediatamente quello che cercavano.
«Un mandato per Halesowen Road?»
Maddox annuì. «E quand'è l'autopsia della Jackson?»
«Questo pomeriggio, dopo quella di Harteveld.»
«Bene, tu ti occupi della Jackson. Incaricheremo la Quinn e Logan di occuparsi dell'appartamento.»
Quando Jack arrivò all'obitorio di Devonshire Street, Peace era già stata sottoposta ai raggi X e l'esame esterno era ormai completo: fotografie, analisi di capelli e fibre, tamponi anali, orali e vaginali. Una tecnica della sala settoria consegnò a Jack una mascherina e dell'olio di canfora.
«Il suo cellulare», mormorò, «se non è già…»
«Naturalmente. Naturalmente.» Jack spense il telefonino, si appoggiò alle inferriate e guardò giù, nella sala settoria.
«Buongiorno, signor Caffery.» Krishnamurthi, col suo grembiule pulito, non sollevò lo sguardo. Stava effettuando l'incisione coronale mastoidea: tagliava la testa di Peace da orecchio a orecchio. «Vedo che le è toccato il compito peggiore.»
«Già.»
«Ho saputo che quel signor Harteveld che mi sono trovato sul tavolo stamattina è lo stesso signor Harteveld che mi ha tenuto occupato in queste ultime settimane.» Afferrò il cuoio capelluto tra il pollice e l'indice e lentamente lo scorticò, esponendo il cranio pieno di sangue coagulato. «O sbaglio?»
«È così. Abbiamo l'ora della morte della Jackson?»
«Non sono un entomologo, ma può verificare quando vuole», rispose il medico, indicando una serie di fiale sul bancone laterale. «Credo troverà i soliti sospetti: ditteri e calliforidi, primo o secondo stadio, su bocca, naso e vagina; e poi, sulle ferite, sarcofagidi, mosche della carne ancora allo stadio larvale. Comunque, se le interessa davvero tanto, c'è il verbale…»
«No, basta così. È come le altre?»
«Proprio così, signor Caffery», rispose Krishnamurthi. «È assolutamente identica alle altre.»
A meno di un chilometro di distanza, Susan Lister si svegliò. Un uccello stava cantando e una luce giocava con la rete delle vene nelle sue palpebre. Una risata, proveniente da un televisore. Pensò di essere a letto, a casa, finché non sentì l'odore di urina, e si rese conto di avere l'interno delle cosce bagnato. Poi ricordò.
Un trapano gemeva accanto alla sua tempia. Un trapano o una sega elettrica?
Aprì gli occhi e tentò di mettersi a sedere. Per qualche istante, si dimenò, battendo la testa: qualcosa la teneva imprigionata. Allora rinunciò e rimase sdraiata, immobile, il cuore che le martellava nel petto.
Non attirare l'attenzione, Susan. Aspetta un momento. Rifletti, prima.
Si umettò le labbra irritate e si guardò intorno. Studiando l'ambiente.
Era sdraiata su un tappeto di corda in una stanza illuminata da un neon.
A un metro da lei, sotto un divano di velour marrone, scorse alcune ciocche di capelli e carte di cioccolatini. Uno strato sottile di polvere grigia ricopriva il tutto: adesso lo sentiva, sabbioso, in bocca e sulle ciglia. L'aveva sistemata su un fianco, mani e piedi legati dietro la schiena, immobilizzati sotto le natiche da qualcosa di resistente. Sembrava una corda di nylon. Ma la cosa peggiore – e, nel pensarla, ebbe un tuffo al cuore, perché quel dettaglio le diceva di più di quello che avrebbe voluto sapere sull'aggressione – era un'altra: lei era nuda.
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