Diamond buttò giù alcune righe di appunti, guardò avidamente il dolce della Kryotos, ascoltò ancora il suo interlocutore, rimise il cappuccio alla penna, tenne fermo il ricevitore col mento, guardò di nuovo il dolce e si grattò pigramente la caviglia proprio al di sopra del calzino. Marilyn notò che aveva un altro paio di calzini alla moda. Questa volta riportavano le sagome di Wallace e Gromit. Quindi si voltò verso il monitor.
«Senta, Basset… Basset! Mi permette una parola? Grazie. Ora, mi dica: parliamo di un indiziato… di un bianco? Sì? Bene. E questa donna… è quella che viene spesso, no?» Ascoltò ancora l'interlocutore e sorrise. «Capisco. No, no, no. Prendiamo seriamente tutte le soffiate. Grazie per il suggerimento. Lo dirò anche ai ragazzi. D'accordo?»
Dopo aver riagganciato, Diamond strappò la pagina di appunti, si alzò e si stiracchiò, grattandosi la pancia. «Santo cielo», disse con uno sbadiglio, «ecco la merda che ti buttano addosso non appena la gente intuisce qualcosa.» Si umettò le labbra. «Dov'è l'archivio, tesoro?»
La Kryotos alzò lo sguardo. «Scusi?»
«Dov'è il cestino?»
Col piede scalzo, Marilyn tirò fuori da sotto la scrivania il sacco della carta straccia contrassegnato dalla scritta RISERVATO. «La macchina per tagliare i fogli non funziona bene. Dovrà usare questo.»
«Sei una brava ragazza, lo sai?» Diamond appallottolò la carta, indietreggiò di qualche passo e la gettò nel sacco. «Al diavolo le volpi.»
«Al diavolo gli investigatori», replicò Marilyn tra i denti. Si tolse delicatamente un pezzetto di dolce dalle dita, se le pulì con un fazzolettino e riprese a lavorare.
Mentre Diamond, autonominatosi coordinatore della missione per arrestare Gemini, si dirigeva vittorioso e sicuro di sé verso Deptford, Jack e Paul si recavano all'ospedale St. Dunstan's, a Greenwich. Era una bella giornata di sole e, sulle strade lungo cui le fronde dei castagni debordavano dal muro di cinta del parco, donne in abiti fiorati passeggiavano, fermandosi di tanto in tanto per aspettare pazientemente, a braccia tese, i loro paffuti marmocchi. C'era parecchio traffico, e i due riuscirono a trovare un parcheggio quasi a un chilometro di distanza.
«Che cosa starà facendo in un giorno come questo?» esclamò Paul, guardando il cielo. «Birdman, voglio dire. Mi chiedo se stia già pensando alla prossima.»
«Starà pensando a una donna dai capelli biondi.»
«Al clone. A qualcuno che conosce…»
«… o forse a qualcuno che pensa di conoscere.» Jack aprì un poco i finestrini, chiuse a chiave l'auto e indossò la giacca.
«Ricapitolando, stiamo cercando qualcuno che sa guidare, che ha una buona conoscenza dell'anatomia e che va matto per le bionde con le tette piccole.»
«Come sei poetico.»
«Grazie.» Si scostarono per lasciar passare una ragazza che faceva jogging con indosso una felpa Nike bianca e nera. Paul si voltò a guardarla: la coda di cavallo biondo platino ondeggiava nel sole. «Forse ha già catturato un'altra vittima.» Poi guardò Jack e aggiunse: «Forse adesso le sta facendo le stesse cose».
Mentre camminavano verso l'ospedale, Jack valutò tale possibilità. Per un po' nessuno dei due parlò. Fu Paul a rompere il silenzio, arrestandosi all'improvviso ed emettendo un lungo verso che somigliava a un ululato.
«Uau. Accidenti!»
Accanto all'ingresso dell'ospedale, nel parcheggio per i dipendenti, aveva notato una Cobra verde decappottabile che luccicava al sole, la tappezzeria color crema e il volante in radica di noce. Si avvicinò all'auto con un'aria di venerazione, con la stessa espressione incantata che aveva riservato a Joni e Rebecca. «Oh, santo cielo, mamma mia, mi sa che vengo…»
Jack alzò gli occhi al cielo e sospirò. «Per l'amor del cielo, se proprio devi, fa' in modo che nessuno se ne accorga. E fai presto, sergente Essex; questa bella città ha bisogno di te.»
Wendy, la bibliotecaria, indossava il solito twin-set. Nel vedere Jack, arrossì violentemente. Aveva preparato la saletta.
«Sa, c'è mancato poco che la perdesse: oggi si tiene la riunione di uno dei comitati e ho temuto che volessero questa stanza. Immagino non sia stato facile trovare parcheggio…»
Le tende erano state tirate e sulla scrivania era stato sistemato oculatamente un bloc-notes, che tuttavia Jack non avrebbe usato; accanto c'erano due bicchieri in polistirolo di tè fumante con latte. Tutto era stato predisposto con cura. Paul prese il tè con discrezione, uscì per andarlo a buttare nel bagno, prese una tazza di caffè e alcuni Twix alla mensa e se ne andò via con l'elenco per chiamare i convocati.
Alle dodici e mezzo – Jack aveva già interrogato tre medici del lavoro e un tecnico del reparto di oftalmologia – la porta si aprì ed entrò Cook, senza camice e coi capelli arruffati color rame raccolti in una retina. Indossava una coloratissima T-shirt senza maniche con una foglia di marijuana in tela applicata al petto. Portava occhiali da sole esageratamente grandi, che si tolse soltanto dopo aver chiuso la porta. Jack fu colpito ancora una volta dai suoi occhi arrossati e lucidi.
«Ci conosciamo», disse, porgendogli la mano.
«Thomas Cook.»
«È un nome facile da ricordare.»
«Si tratta di quelle ragazze, vero?» L'uomo ignorò il gesto di Jack e prese una sedia senza aspettare che questi lo invitasse a sedersi. «L'ho vista qui la volta scorsa, quindi mi aspettavo una sua visita.»
Jack avvicinò le mani, unendo le punte delle dita. «È al corrente di questa storia?»
«Ne hanno parlato tutti i giornali e Krishnamurthi è stato al centro dell'attenzione generale. Dicono che l'assassino sia un seguace di Jack lo Squartatore.» Aveva una voce nasale, dolce, quasi femminile. «Per questo motivo ho capito che quell'uomo le ha squartate. Non è così?»
«Conosce Krishnamurthi?»
«Sono un tecnico. L'ho aiutato con alcuni reperti autoptici prima che diventasse famoso all'Home Office.»
«Lei è aiuto all'obitorio?»
«Avrei voluto diventare medico», rispose in tono inespressivo. «Questo lavoro non è esattamente il mio sogno, ma almeno mi permette di campare.»
«Signor Cook, sto terminando le inchieste di routine. Come, spero, il sergente le avrà spiegato, lei non ha obblighi di sorta. Presumo che sia venuto a parlarmi di sua spontanea volontà…»
«Esattamente.»
«Lei abita…» Jack inforcò gli occhiali e verificò l'indirizzo sull'elenco «Dove? A Lewisham?»
«Dalla parte di Greenwich, vicino al Ravensbourne.»
«Conosce per caso un pub sulla Trafalgar Road chiamato Dog and Bell?»
«Io non bevo.»
«Non lo conosce?»
L'uomo incrociò le mani pallide e glabre sul tavolo. «Non bevo.»
Jack si tolse gli occhiali, ripetendo: «Lo conosce o no?»
«Sì, lo conosco, ma non lo frequento.»
«Grazie.» Il detective si rimise gli occhiali. «Ha mai visto questa donna?» chiese poi, avvicinandogli sul tavolo la foto di Shellene.
«È quella cui una scavatrice JCB ha fracassato la faccia?»
«Vedo che è ben informato.»
«La gente parla…» Cook inclinò la testa e scrutò la fotografia. «No, non la riconosco.»
Jack fece scivolare sul tavolo le foto di Petra, Kayleigh e Michelle. Cook posò il dito sul viso sorridente di Kayleigh e avvicinò la foto.
«La conosce?»
L'uomo allontanò la fotografia e guardò il detective con gli occhi slavati. «No, me la ricorderei.»
«Se risultasse utile per le indagini, le dispiacerebbe fornirci un campione di saliva per l'analisi del DNA?»
«Non c'è problema.»
Jack lo guardò con circospezione. «Davvero non ha obiezioni?»
«Solo perché sembro un hippy pensa che viva in base ai principi della libertà civile? Non è così. Ho fiducia nella scienza; sono uno scienziato, anche se particolare.»
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