«Non che avessi di meglio da fare.» Charles mise due fette di torta sul tavolo, poi spense il fornello sotto la caffettiera. «Non mi interessano le vacanze… A proposito, dimenticavo: ho rintracciato tutte le opere di Jake Swain. Sai che ha scritto altri undici libri?»
«Sì, lo sapevo.» Riker si domandò quanto potesse dirgli senza rischiare di svelare l'intero pasticcio.
Charles versò il caffè nelle tazze e si sedette all'altro capo del tavolo.
«È interessante che Louis abbia assoldato un professionista pur di avere quel libro.» Era soltanto curioso, non aveva sospetti, non ancora, almeno. «Doveva volerlo a tutti i costi.»
Un fatto molto strano. Charles e Louis Markowitz avevano buon gusto in fatto di narrativa, condividevano una lista di autori piuttosto rispettabili, certo più autorevoli di Jake Swain. Forse Butler sospettava che quel brutto romanzo rappresentasse una specie di scherzo tra Mallory e il suo padre adottivo.
«No,» disse Riker «è stato il proprietario della libreria a trovarlo.» Sorseggiò il caffè e sentì in bocca un sa pore amaro.
«Dimmi, come hai saputo degli altri libri di Swain? È un autore pressoché sconosciuto. Te ne ha forse parlato Louis?»
«Louis li aveva letti tutti.» Riker sapeva che non gli avrebbe creduto, anche se diceva la verità.
Charles era sbigottito. «Perché avrebbe dovuto leggere libri… di questo genere?»
Riker infilzò un pezzo di torta. «Perché si tratta di alta letteratura?» azzardò.
«No, non direi. Posso?» Charles aprì il western e si concentrò sulle pagine finali. «Nell'ultimo capitolo si parla di uno scontro a fuoco piuttosto curioso.»
Charles non aveva bisogno del libro, che evidentemente aveva letto per rinfrescarsi la memoria: sfogliava le pagine e assimilava tutto. Aveva una memoria notevole. Eppure, si considerava un uomo come tanti. Anzi, cercava sempre di sembrare meno brillante, meno geniale di quanto fosse realmente. Riker si domandò se non fosse anche un po' colpa sua. Forse doveva smettere di chiamare "marziani" i clienti della Butler & Company. Dimenticava che anche quell'uomo proveniva dallo stesso pianeta.
«Ecco qui.» Charles guardò la pagina. «Prima di tutto, la pistola emette una fiamma rossa, come un lanciafiamme. La folla esulta e il sindaco tiene un breve discorso. Poi, dall'altra parte di Main Street, una vecchia ballerina sviene quando sente il suono del proiettile che penetra nel corpo dell'avversario.» Fissò il suo ospite. «Considerando tutto quello che succede, ci sono sei minuti fra il momento in cui parte il colpo e quello in cui colpisce il bersaglio.»
Chiuse il libro dicendo: «Altamente inverosimile».
Riker sogghignò. «Parli così perché non hai mai visto Lou al poligono di tiro. Potevi aspettare anche tutto il giorno prima che un suo proiettile colpisse il bersaglio.» Sorseggiò il caffè, cercando delle parole che non suonassero false. «Ci sono due sparatorie in ogni libro.» Ora ricordava il nome del fuorilegge. «Non ho mai letto questo libro in particolare, ma credo che l'ultima sparatoria sia quella tra lo sceriffo Peety e Wichita Kid.» Scosse la testa. «Ecco come finisce.»
«Li hai letti anche tu ?»
«Sì, più o meno.» Aveva dovuto leggerli. Lou Markowitz voleva la sua opinione: non riusciva a capire per quale motivo una bimba di dieci anni fosse tanto appassionata di quei western di serie B.
Charles era scettico, convinto com'era che il detective avesse gusti più raffinati.
«Nel primo libro,» disse Riker «lo sceriffo Peety guarda questo ragazzino crescere nell'anonima Franktown, nel Kansas. Il bambino e sua madre sono arrivati un giorno sulla diligenza per Wichita.» Cominciava a ricordarsi la storia. «Il bambino segue lo sceriffo come un'ombra. Peety comincia a chiamarlo Wichita Kid. Un nome da fuorilegge. Uno scherzo, capisci? Ma il ragazzino ama quel nome, ne va molto fiero. Dopo qualche tempo, Wichita Kid riceve la sua prima pistola "una vecchia arma arrugginita pagata un dollaro".» Riker aveva finito la torta. «Il giorno del quindicesimo compleanno del ragazzo, lo sceriffo si sveglia nel bel mezzo di una sparatoria. Corre in strada.» Il detective abbassò gli occhi, per mostrare a Charles un corpo sul pavimento. Uno straniero a Franktown, un cowboy disarmato steso sulla schiena in una pozza di sangue.
«I suoi occhi senza espressione fissavano il sole.» Riker constatò con sorpresa che stava citando a memoria. «E indovina chi c'è vicino al corpo?» La sua mano mimò una pistola. Soffiò il fumo dal dito. «Wichita Kid. La sua situazione peggiora quando Wichita ruba un cavallo e sparisce. Nel capitolo successivo, lo sceriffo sella uno stallone nero. Si prepara a seguire il ragazzo.» Riker aveva finito anche il caffè. «Lo sceriffo Peety ci vede a malapena, gli occhi offuscati dalle lacrime. Vuole bene al ragazzo. Ma Wichita ha ucciso un uomo e per questo va impiccato. Alla fine del libro Wichita è in trappola sul bordo di un canyon. È un gran salto, centinaia di metri. Eppure nel libro successivo l'inseguimento continua.»
«È una serie a episodi, i personaggi sono sempre gli stessi?»
«Sì, e tutte le storie finiscono allo stesso modo. Credo sia per questo che il lettore si appassiona.»
Charles annuì, poi fece scivolare il libro sul tavolo.
Il detective lo afferrò e se lo mise in tasca, come se fosse un libro sporco, invece che pericoloso.
La regina di ghiaccio entrò.
La recluta Ronald Deluthe osservò una bella donna che entrava in ufficio. Era sicuramente ricca, indossava un paio di scarpe da ginnastica molto costose. Sicuramente spendeva parecchio dal sarto e dal parrucchiere. Si chiese se fosse corrotta.
Che occhi verdi hai. Come sono freddi.
Mallory non lo notò. Il suo sguardo trapassò Deluthe ma lui non se la prese. Per lei era un ragazzo qualunque con i capelli tinti di un giallo volgare. Non era una questione di grado.
La recluta si rimise al lavoro, completando il rapporto sul perché il camioncino della televisione fosse arrivato sulla scena del delitto prima dei pompieri. Questa volta il detective Riker non avrebbe avuto niente da ridire.
Mallory si fermò a leggere il biglietto sul retro del computer di Deluthe. Qualcuno l'aveva appiccicato alla giacca della recluta e lui se n'era accorto solo togliendosela. C'era scritto « Rianimatore di puttane morte » . Sportivamente aveva appeso il biglietto in bella vista, guadagnandosi i sorrisi di alcuni detective.
Mallory, però, non lo trovava divertente.
Strappò il foglio dal computer, lo appallottolò e lo buttò sulla tastiera.
Deluthe alzò lo sguardo quando Mallory si allontanò. Disse: «Signora?».
Troppo ossequioso?
Lei lo ignorò, come del resto facevano tutti i detective. Lasciò perdere il rapporto e la inseguì lungo il corridoio. La raggiunse in un'ampia stanza senza finestre. I muri erano rivestiti di sughero, tappezzati di fotografie e documenti. Qualche ora prima, un detective gli aveva fatto fare il giro della Sezione, dal bagno degli uomini alla sala da pranzo, ma non gli aveva mostrato quel posto. Alcune sedie pieghevoli erano sistemate in cerchio, ma lui non sarebbe mai stato invitato a quelle riunioni.
Sul tavolo vicino alla porta c'erano un grosso televisore e un videoregistratore. Lì accanto, Mallory parlava con un uomo più vecchio, Janos.
Un vero detective.
Deluthe sapeva che non doveva interrompere. Quindi, invece di sbracciarsi come un ragazzino che chiede il permesso di andare in bagno, passeggiò lungo le pareti rivestite di sughero. Osservò le foto e i documenti. Nessuno riguardava la prostituta impiccata. Non era un caso importante, gli avevano assegnato quel rapporto solo per tenerlo occupato. Mallory infilò una cassetta nel videoregistratore. Deluthe si avvicinò allo schermo, attratto dalle immagini della notte precedente. Ora capiva perché il direttore del telegiornale non gli aveva consegnato una copia della registrazione. Quella cassetta era già nelle mani di Mallory.
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