Le labbra di Charles si aprirono ma non ne uscì alcun suono. Mallory lo aveva privato della vista e ora Riker lo faceva ammutolire.
Ma non aveva ancora finito.
«Sai dove sta l'ironia in tutto questo? Perfino Mallory, che non si fida di nessuno, ti direbbe che i tuoi sospetti sullo sceriffo sono solo stronzate.»
Si piegò verso di lui per assestargli il colpo finale. «Può darsi che ci impieghi più tempo della media, ma perfino lei sa riconoscere un uomo onesto.»
Charles si lasciò sprofondare nella seggiola, avvilito e sconfitto.
Gloria al Signore. Il cieco aveva riacquistato la vista. Anzi, a un tratto il gigante triste sembrava vedere le cose fin troppo chiaramente.
«È andato tutto per il meglio, Charles» provò a confortarlo. «Tu hai appoggiato Mallory, e ora finalmente lei otterrà un po' di giustizia per sua madre.»
L'omone continuava ad apparire sconsolato.
«Cosa vuoi, Charles? L'assoluzione? Be', eccola.» Con la sigaretta Riker tracciò il segno della croce nell'aria.
In piedi dietro la vetrina del caffè, Jane vide la Mercedes fermarsi davanti all'ufficio dello sceriffo. I due tipi di New York stavano aiutando qualcuno a scendere dalla macchina. Era un uomo o un ragazzo? Aveva una giacca tirata fin sopra la testa, come gli assassini che si vedevano al telegiornale.
Charmaine, la cassiera, la raggiunse. «Chi diavolo è?»
Jane la ignorò. Scrutò il portico del bed & breakfast. A quell'ora Betty doveva essere al cimitero con il solito gruppetto di turisti. Bene, quell'evento era tutto suo.
L'uomo con la giacca in testa era piccolo e magro e questo restringeva un po' il campo. E ora che si era allontanato dalla macchina Jane poté scorgere la camicia rossa che spuntava dalla giacca. Oh, e le calze rosse come quelle di…
Questa è proprio grossa. Chi se lo sarebbe mai immaginato…
«È l'idiota!» esclamò Charmaine, allungando il collo. «È stato arrestato?»
«Tu che ne dici?» rispose Jane. «Il tipo con l'abito stropicciato è un detective di New York.»
«Che cosa avrà fatto? Colpa della madre, che lascia che se ne vada in giro da solo come se fosse normale. Te l'avevo detto che era pericoloso!»
«Eccome se me l'hai detto, Charmaine.» All'incirca venti volte, stupida sciacquetta platinata.
«Scommetto che ha aggredito qualcuno.»
«Non è da buoni cristiani far congetture. Povero Ira. E povera Darlene.» Il sorriso di Jane era tutt'altro che caritatevole mentre si avvicinava al banco del buffet e cominciava a preparare un vassoio. «Il nuovo prigioniero avrà bisogno del pranzo.»
«Ma non sono ancora le undici.» Charmaine stava guardando il suo orologio, che lei spergiurava essere d'oro. «Un po' prestino per pranzare, non ti pare?»
Charmaine era sempre stata un po' lenta.
Lo sceriffo seguì la sua vice nella sala d'attesa per accogliere Charles Butler e il detective Riker. C'era un altro uomo seduto sulla panca dietro di loro: una giacca gli copriva la testa.
Dai, non fare il timido.
Tom Jessop decise di lasciarlo lì seduto per un po', a maturare la paura. Non gli spiaceva tirarla un po' in lungo. Negli ultimi diciassette anni non aveva fatto che pregustare quel momento.
«Io e Lilith ci stavamo chiedendo quando ci avreste portato il testimone.»
«Doveva essere una sorpresa» disse Riker. «Ci stai togliendo tutto il divertimento.»
«È tutta colpa di Lilith. Era al cimitero ieri sera, ha visto tutto lo spettacolo. Quando arriva Kathy?»
«Di fatto,» fece notare Riker, «è ancora un'evasa.»
«Già. Tutto sommato è meglio che resti da Augusta.»
Charles Butler sorrise. «Sceriffo, c'è qualcosa che lei non sa?»
«Non so come ha fatto a far volare quella statua.» Mitigò il sarcasmo a beneficio della sua vice.
Lilith Beaudare lo guardò. «Lo so che non mi credi, ma ti ripeto che l'ho vista.»
La statua di un angelo che spiegava le ali di pietra e, sollevandosi da terra, si scaglia contro un uomo: neppure Guy Beaudare avrebbe potuto inventare una storia così fantasiosa.
Lilith lanciò a Charles uno sguardo supplice. «Lo sceriffo sostiene che è impossibile ottenere un'illusione simile, anche usando dei cavi. La prego, gli dica come ha fatto. Crede che io sia pazza.»
«Uso degli specchi» butto là Charles, come se dare vita alle pietre fosse per lui un'esperienza quotidiana.
«Bene» esclamò lo sceriffo, rivolgendosi all'uomo sulla panca. «Vediamo un po' chi abbiamo qui.» Con lo stato d'animo di chi apre un regalo atteso da tempo, scostò la giacca dalla sua testa e indietreggiò. Gli ci volle un secondo per riconoscerlo. Gli abiti puliti, i capelli tagliati da poco, il volto glabro. Jimmy Simms.
Tom Jessop si sentì di colpo molto stanco. Era l'ultima persona che si sarebbe aspettato. «Avevi ragione, Lilith. Ha i tratti distintivi dei Laurie. È il nipote di Babe.»
Jimmy chinò il capo per nascondere il viso.
Lo sceriffo mise una mano sulla spalla del giovane e gli diede una scrollata. «Hai visto Cass Shelley morire e non mi hai mai detto una parola?»
«Ha contribuito a ucciderla» precisò Riker, porgendo allo sceriffo una grossa busta rigonfia. «È tutto qui dentro. La confessione firmata e tutti i nomi.»
Lo sceriffo respinse la busta con la mano e si allontanò dal prigioniero. «Voglio sentirlo dalle sue labbra. Lilith, accompagna il ragazzo nella sala riunioni.» Jimmy aveva trent'anni, ma Tom Jessop continuava a considerarlo un ragazzino scappato di casa. Non si fidava a toccarlo, non ancora.
Percorsero il corridoio e varcarono la porta sul fondo. Lo sceriffo restò in piedi mentre gli altri prendevano posto sulle sedie di metallo disposte intorno al tavolo. Quella stanza non aveva il calore antiquato della sala d'attesa. Sulle pareti color ghiaccio erano appesi bollettini e moderne carte stradali. Riker era seduto a capotavola, fiancheggiato da Lilith e Charles. Jimmy Simms sedeva da solo sull'altro lato.
Lo sceriffo si portò alle spalle di Jimmy. «Parla, ragazzo.» Il giovane fissava l'estremità opposta del tavolo, su cui Riker stava sistemando tutte le carte. Lo sceriffo posò una mano sulla sua spalla: «L'hai raccontato a Riker, ora farai lo stesso con me».
Il sergente Riker estrasse un foglio azzurro dalla busta e lo mostrò al prigioniero.
Jimmy parlò come se stesse leggendo.
«Cass mi portò alla riunione della New Church. Mi trascinò fin dentro la stanza. Era così arrabbiata, sventolava quella lettera e urlava come un'ossessa.»
Lo sceriffo si chinò fin quasi a sfiorare la testa di Jimmy. «Perché Cass era arrabbiata?»
«Non ricordo quel che diceva. Volevo solo strisciar via e morire.» Jimmy guardò Riker, che sorrise comprensivo e gli fece cenno di proseguire. Jimmy obbedì. «Lei l'avrebbe detto a tutto il paese. Gridava: "Lo sceriffo tornerà domattina, bastardo".»
«A chi si rivolgeva?»
«A mio zio.» Si accasciò sulla seggiola, coprendosi il volto con le mani.
Riker intervenne. «Tom, non interromperlo ora, o comincerà a piangere e ci vorrà un'ora per calmarlo.» E al testimone disse: «Continua, ragazzo».
«Mio padre doveva aver capito tutto, perché mi guardava come si guarda un verme appena sbucato da sotto un sasso. Quando Cass se ne fu andata, papà mi ordinò di aspettare fuori mentre i grandi parlavano.»
«Parlavano di che cosa?»
Riker gli porse due fogli azzurri: i risultati degli esami del sangue di un ragazzo di dodici anni. «Il numero di identificazione corrisponde a quello nell'archivio della dottoressa Shelley. Si riferisce a Jimmy.»
Lo sceriffo lesse la prima riga. «Epatite?» Guardò Riker. «Sapevo che l'aveva avuta. Cass lo curò quando lo riportai a Dayborn da New York.» Ma a quel che sembrava lo aveva curato anche per un male molto più serio. L'altro foglio azzurro riportava il risultato positivo di un test per le malattie veneree. «Cristo…» Questo spiegava perché la vita del ragazzo fosse andata in malora dopo che Tom l'aveva riconsegnato alla famiglia.
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