Imboccò la stradina sterrata e non si guardò indietro. Il cottage dello scultore era buio. Mallory, dall'alto del pilone del telefono, digitando sul suo palmare accese contemporaneamente tutte le luci della casa, per illuminargli il cammino.
Dopo un'indisturbata ora di violazione di domicilio, Mallory tornò nel bosco con una pala che aveva preso dal capanno nel giardino di sua madre. Si chiese cosa avrebbe pensato lo sceriffo di quella incursione nella sua casa vuota, e se vi avesse dimenticato qualcosa. La cassetta degli attrezzi che si era messa a tracolla le sbatteva contro il fianco mentre procedeva fra gli alberi, guidata da un sottile fascio di luce dorata. La torcia elettrica, piccola come una stilografica, faceva risaltare ogni radice e ogni pietra sul suo cammino. Quando si scostò una felce dal viso, la luce le illuminò una mano e lei si bloccò.
Le lunghe unghie rosse erano spezzate, e lo smalto stava venendo via. La pelle era tutta graffiata, le nocche spellate e piene di lividi bluastri. Li studiò per un momento, incredula, come se lividi e unghie spezzate non fossero concepibili nel suo universo.
Da quando aveva dieci anni era stata maniacalmente ordinata, non sopportando né imperfezioni nel suo aspetto né cose fuori posto intorno a sé. La madre adottiva, la defunta Helen Markowitz, aveva sempre tenuto la casa pulita e in ordine. La piccola Kathy venerava Helen e il suo esempio era diventato per lei una religione che non includeva Dio, ma ogni tipo di straccio o spazzola, ogni solvente e detersivo conosciuti. Nel condominio di New York dove abitava c'era un ripostiglio in cui i barattoli, le bottiglie e i vasetti dei detergenti erano schierati come un esercito di soldatini sull'attenti.
Appoggiò la pala contro un albero e si coprì il volto con le mani rovinate. Si sentiva stanca, svuotata, senza più fiato nei polmoni, né sangue nelle vene. Oh, se avesse potuto sedersi nella fresca oscurità senza doversi alzare più. Era stata una lunghissima giornata, dolorosa e difficile, ma a farla crollare era stata la vista dello smalto sfaldato e delle unghie spezzate.
No, non poteva fermarsi.
Aveva perduto tutto: la famiglia e persino i ricordi più preziosi. Non era nemmeno riuscita a ricordarsi il nome del cane morente. E adesso era di nuovo sola, quella solitudine che lei aveva sempre creduto preferibile alla compagnia di persone che in seguito l'avrebbero abbandonata, morendo oppure andandosene via, come aveva fatto Charles quella sera.
Mallory spense la torcia e rimase ferma nell'oscurità, facendo profondi respiri per cercare di ritrovare la calma. Quindi raccolse la pala e riprese a muoversi. Il suo viso non esprimeva dolore né altre emozioni.
Entrò nella radura dove aveva lasciato il cane. Dopo aver rimosso i rami che lo coprivano, gli si inginocchiò accanto ed estrasse da un tronco cavo la sua sacca da viaggio.
Infilò la torcia nella cavità, dove gli insetti si precipitarono gli uni sugli altri, fuggendo la luce improvvisa. Dietro la sacca aveva infilato una borsa di tela con una scorta di componenti elettronici. La tirò fuori e l'aprì per infilarvi l'imbragatura di cuoio, la cassetta degli attrezzi e il computer palmare, protetto dalla custodia di metallo.
Quando tutto fu ben nascosto, riprese la pala e iniziò a scavare una fossa poco profonda. Sarebbe tornata in seguito a sistemare meglio il corpo dell'animale. Adesso le importava solo di seppellirlo. Al buio era più facile immaginarlo ancora giovane, come quando si volevano bene e stavano sempre insieme.
Ebbe appena il tempo d'infilare la pala nel terreno, quando un colpo di fucile esplose alle sue spalle.
Fu colpita, e la pala cadde a terra. Un istante dopo impugnava la 357 Magnum. Prese la mira guidata dall'istinto, per riflesso.
Il corpo di Fred Laurie cadde dall'albero con un grosso buco nel petto.
"Mallory la Macchina" era tornata.
Rimettendo la pistola nella fondina avvertì l'umido del proprio sangue scivolarle sulla spalla sinistra e tastò il foro d'uscita della pallottola. Guardò il fucile del morto. Era un calibro 22.
Ideale per mandare all'altro mondo una rana. Avrebbe dovuto usare un altro calibro per andare a caccia di umani.
Che stupido.
La ferita non le faceva ancora male, ma lei sapeva che il dolore sarebbe arrivato presto. Si toccò la scapola tutt'intorno alla ferita. Le dita incontrarono il foro d'ingresso sanguinante. Non c'era alcuna pallottola da estrarre, solo due buchi dai quali continuava a perdere sangue.
Attese domandandosi se qualcuno sarebbe venuto a indagare sullo sparo. Non vide né sentì nulla, eppure percepiva una presenza dinanzi a sé, ad alcuni metri di distanza.
Infine, Mallory corse via, lontano dal cane, dalla sacca e dall'uomo morto.
Aveva perso di vista Mallory fra gli alberi, ma non era un problema.
Sapeva dove si stava dirigendo.
Lilith si fermò al limite del cimitero. L'angelo di Cass Shelley dominava tutti gli altri monumenti. Era magnifico. Girò intorno alle ali spiegate, e si imbatté nell'angelo in carne e ossa. La statua e il suo doppio. Il pallidissimo volto di Mallory emerse dalle pieghe di pietra, ma un attimo dopo era già scomparso. Del sangue gocciolava lungo il marmo, come se la pietra fosse stata ferita.
La vicesceriffo si precipitò all'inseguimento. Mallory si addentrò nel bosco al di là del cimitero, i capelli d'oro rilucenti tra le foglie. Lilith urlò nella notte: «Se continuerai a correre perderai il poco sangue che ti rimane».
Per tutta risposta le giunse l'eco di una risata.
D'un tratto Mallory si accasciò a terra. Lilith aveva il fiatone quando la raggiunse. Estrasse la pistola e la tenne con le due mani come le avevano insegnato.
Mallory si lamentava. Perdeva sangue da una ferita alla spalla. Lilith le s'inginocchiò accanto, sollevando la canna della pistola. «Chi ti ha fatto questo?»
Sussultò alla vista dell'arma in pugno a Mallory che le ordinò di indietreggiare. Lilith non si fece pregare. Ma la canna della sua pistola si stava lentamente abbassando.
«Attenta a quel che fai, pivellina.»
Lilith si irrigidì. «Ti è costato un mare di sangue correre a quel modo» disse. «Morirai prima di uscire dal bosco.»
«E che te ne frega? Neanche fossi un vero poliziotto…» Mallory sorrideva. «So che i federali ti hanno reclutata dalla polizia di Stato.»
«Tu non sai…»
«Davvero?» Mallory si trasse a sedere. «Qualsiasi idiota l'avrebbe scoperto. I federali tengono d'occhio ogni setta del paese. O gli piace credere di farlo.»
«Io non ho nessun…»
«Sei così inesperta. Probabilmente hai creduto a tutte quelle balle su un brillante futuro nell'FBI. È così? Spiacente, pivella. Ti hanno mentito. Lo fanno spesso.»
Mallory era in piedi adesso, mentre Lilith era ancora accucciata, immobile. «L'FBI non ti assumerà mai, e non potrai tornare nella polizia di Stato. Ti hanno tagliata fuori. Sanno che collabori con i federali alle spalle dello sceriffo. Perché dovrebbero fidarsi di te? La tua carriera è finita, pivella. O forse no. Potresti ancora salvare qualcosa.»
Mallory piegò la testa da un lato. Doveva soffrire parecchio, ma sembrava non badarci. «L'ultima cosa che ti conviene è che lo sceriffo mi rimetta in cella. Perfino tu puoi capirlo.»
Ma tutto quel che Lilith capiva era che il sangue continuava a sgorgare dalla ferita dell'evasa.
«Hai un po' di nausea, vice? Forse stai pensando al momento in cui lo sceriffo scoprirà che sei una spia e ti coprirà di sputi? Tranquilla, ti tiro fuori io da questo casino. Quando ti avrò raccontato quello che so sui federali, quelli saranno costretti a farti fare carriera. Ho ereditato un dossier scottante da un vero mago nell'arte di scovare i peccati altrui. Allora, ti interessa il mio aiuto?»
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