Da tempo il padre di Jimmy non parlava più con quel suo figliolo incompiuto, e non lo faceva neppure più entrare in casa. Ma durante i lunghi anni di lontananza la madre aveva continuato a passargli gli abiti smessi del padre. Jimmy si arrotolava i calzoni troppo lunghi, ma le scarpe erano così grandi che, nonostante la carta di giornale infilata in punta, zoppicava sempre per via delle vesciche che gli si formavano sui piedi.
Con passo strascicato percorse il sentiero che saliva a Casa Shelley. Il vecchio labrador retriever nero lo riconobbe e sollevò la testa.
Jimmy affondò la mano nella tasca della giacca a vento e tirò fuori un cartoccio. Lo aprì e mostrò al cane gli avanzi del filetto di pesce che aveva appena ripescato dal bidone della spazzatura dietro il Jane's Café, e glieli depose sul terreno davanti al muso.
Da quando il cane aveva perso i denti, e non riusciva più a masticare la carne rossa, Jimmy gli portava cibi più morbidi.
«Babe Laurie è morto» gli comunicò per il quinto giorno consecutivo, convinto che ripetendolo sarebbe riuscito a farsi capire. Si sedette per terra e gli carezzò la testa.
Il cane si limitò ad annusare il pesce poi appoggiò la testa grigia sulle zampe.
Il sole era tramontato e la luce stava sfumando. Jimmy per consuetudine non rimaneva mai fuori di casa con il buio, ma quella sera decise che sarebbe rientrato a casa solo quando fosse sorta la luna.
L'animale si addormentò. Dai suoi lamenti sommessi e dal frenetico contrarsi di una zampa posteriore, Jimmy dedusse che stesse facendo sogni agitati. Poi si svegliò di colpo, sollevò la testa e girò il muso verso l'alto, finché la luna non fu riflessa nei suoi occhi. Jimmy trasalì; sembravano incandescenti.
Con grande sforzo il cane si rizzò sulle zampe. Produsse un suono roco che crebbe fino a divenire un portentoso latrato.
Il vecchio labrador aveva ancora momenti di splendore. Ma presto sarebbe morto e a Jimmy sarebbe mancata molto la sua compagnia.
Il cane credeva che il suo nome fosse una nota alta e prolungata e due fischi brevi emessi dalla bocca di una bimba. Nessuno lo aveva più chiamato con quei suoni da quando la bambina era partita. Lei aveva compiuto l'inimmaginabile. Se ne era andata, lasciandolo lì, ferito e sanguinante. E continuava ad abbandonarlo notte dopo notte, in ogni sogno.
Aprì la bocca ringhiando al giovane che gli stava accanto, fino a quando questo non si alzò e si allontanò zoppicando.
Il cane riprese a lamentarsi, unendo la propria follia a quella di Alma Furgueson, giù a Owltown. Il cane latrava e Alma piangeva. I vicini della donna si sforzavano di non sentire.
Alma cercava di sfuggire alla vista dei sassi lanciati contro la carne, le ossa e i denti di Cass, rincattucciandosi sotto le coperte.
Il vicino più prossimo alla casa di Alma, abituato da molto tempo al lamento della donna, stavolta si tolse dalla testa il cuscino e svegliò la moglie. Rimasero entrambi in ascolto di quel canto di dolore, mai udito con tale forza in precedenza. Pareva quasi che la donna e il cane stessero duettando.
Supina sul letto nella cella del carcere, anche Mallory stava ascoltando. Voltò il viso verso le sbarre che la separavano dal cane.
Alzò un pugno e si accanì sul cuscino fino a strapparlo, seminando piume in giro per la cella. Allontanò le coperte, si alzò, e si diresse alla finestra per sentire meglio quel verso.
Dopo un po', il vecchio labrador, esausto, smise il suo canto. Mallory tornò a dormire, distesa sotto una coperta punteggiata di piume che ricordava l'ala protettrice di un angelo.
Il cielo del primo mattino era di un azzurro carico. L'aria era fresca e ventilata, satura dell'onnipresente canto degli uccelli. Charles stava attraversando il filare di alberi che segnava il confine fra Dayborn e Owltown. Segui il sentiero battuto fino alla strada lastricata che portava nella piccola zona commerciale del sobborgo.
La strada principale era fiancheggiata da case modeste, a uno o due piani, costruite con assi grigie. Sebbene risalissero sicuramente a qualche decennio prima, avevano un che di provvisorio.
La maggior parte dei negozi reclamizzava con insegne al neon la vendita di liquori.
Una macchina gli passò accanto, sollevando un cumulo di immondizia e polvere. I marciapiedi erano costellati di bottiglie rotte. Un ubriaco steso per strada russava abbracciato a una bottiglia di whisky. Sopra il suo corpo ristagnava l'odore dell'alcol e del vomito.
Una donna stava avanzando verso di lui. Vacillava, come se una gamba fosse più corta dell'altra. Guardando meglio, Charles si accorse che aveva in mano una scarpa rotta e che camminava con un piede scalzo e l'altro infilato in una scarpa con tacco a spillo. I capelli avevano la consistenza dello zucchero filato, e le paillettes dell'abito riflettevano la luce del sole. Aveva gli occhi arrossati per il pianto, e il trucco le colava sul volto.
Charles stava per chiederle se avesse bisogno di aiuto, quando un'automobile gli si accostò, e una voce familiare gli disse: «Non tocchi nulla a Owltown, signor Butler».
La donna si girò di colpo e si trovò di fronte l'automobile dello sceriffo. Dall'espressione del suo volto doveva essere terrorizzata. Senza pensarci due volte filò via, smarrendo dopo qualche metro anche l'altra scarpa.
Tom Jessop lo invitò a salire. Charles accettò volentieri, sollevato. L'interno profumava di dopobarba e di sigarette. Sul cruscotto c'era un ammasso di documenti, buste e appunti scritti su tovagliolini di carta e scatole di fiammiferi.
«Buongiorno» disse Charles.
Lo sceriffo si toccò la falda dello Stetson scuro a restituire il saluto. «Dov'è diretto, signor Butler?»
«Spero di arrivare alla zona della fiera prima che montino il tendone.» Sperava anche che lo sceriffo non lo intrattenesse troppo a lungo. Aveva atteso tutta la sua vita da adulto per un evento così.
«Già, veder montare il tendone è uno spettacolo raro.» Lo sceriffo innestò la marcia e l'automobile partì. «Inoltre, da là si gode un bel panorama del Lower Bayou. I Laurie per disboscare quel tratto gli hanno dato fuoco; ogni radice, ogni ceppo, lungo tutta la riva.»
«Ecologico! Sbaglio o tende ad accelerare l'erosione del terreno?»
«Già.» Lo sceriffo sorrise. «Un giorno, tutta Owltown verrà sommersa. Ci vorrà tanto tempo, ma io sono un tipo paziente.» Dalla lentezza con cui guidava c'era da credergli.
«Ne deduco che Owltown non le piaccia granché.»
«Se mi permette, le faccio fare un giro, così si renderà conto con i suoi occhi.»
Si fermarono a un incrocio. Lo sceriffo gli indicò una fila di catapecchie lungo una strada sterrata. «Se va in quella direzione, potrà assistere a degli spogliarelli di estrema volgarità.» Si voltò a mostrargli dal lunotto posteriore la strada appena percorsa. «Da quella parte potrà comprare alcolici, droghe e donne, tutto nello stesso locale.»
L'automobile riprese ad avanzare lentamente. «Quando ero piccolo tutte queste cose non c'erano. Non c'era niente, tranne il bar di Ed Laurie e un sacco di gufi.»
Procedevano adagio lungo la strada principale. Charles notò altre rivendite d'alcolici. «Non avrei mai pensato che un posto di queste dimensioni potesse avere tanti bar.»
«Sono tutti centri della New Church» disse lo sceriffo. «Non ce n'è uno che abbia regolare licenza. Niente scambi di danaro, né tasse per il fisco. Perché ti servano da bere devi avere i tagliandi della Chiesa.»
Lo sceriffo rallentò, indicandogli una casa a due piani sul lato sinistro della strada. «Ecco un luogo d'interesse storico, il vecchio bar di Ed Laurie. Trent'anni fa i Laurie abitavano tutti al secondo piano.»
La casa somigliava alle altre costruzioni, nudo legno e forme spartane, solo un po' più vecchia. Lì attorno regnava una strana calma. Si sentiva lontano il rumore del traffico, ma nessun cinguettio d'uccello. Ormai Charles si era abituato a sentirne la musica dovunque andasse. A quanto pareva, a Owltown gli uccelli non cantavano.
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