Charles sentì una presenza al suo fianco, e quando si voltò si aspettava quasi di vedere il famoso mago, Maximilian Candle. Ma il cugino Max era morto da tempo, e Charles si trovò a fissare Malcolm Laurie, più basso di lui di tutta la testa. Sospettava che anche quell'uomo fosse una specie di mago; ebbe la sensazione di scivolare dentro i suoi occhi.
«Sapevo che le sarebbe piaciuto, Charles. Sono lieto che sia venuto.»
Così Malcolm aveva scoperto il suo nome di battesimo, ma non gli aveva chiesto se potesse usarlo. Benché Charles l'avesse sempre permesso a chiunque, sentirlo pronunciare dalla bocca di Malcolm lo disturbò.
Le parole di Augusta gli riaffiorarono alla mente.
Charles tornò a girarsi verso la tenda. Quattro uomini stavano innalzando un'insegna al neon. Le lettere erano gigantesche, e Charles fu scioccato dalla sfrontatezza del messaggio: «Miracoli in vendita».
Mallory scosse via dalla coperta le piume del cuscino, facendole svolazzare nel corridoio al di là della cella, dove lo sceriffo stava indottrinando la sua nuova vice.
«A fine mese devo restituirti allo Stato nelle stesse condizioni in cui loro ti hanno consegnata a me. Così, vedi di seguire i miei ordini e sta' lontana dai guai.» Lo sceriffo agitò una mano per scacciar via le piume. Il suo umore andava peggiorando a ogni secondo.
Bene. Mallory si sedette sul letto e, come faceva ogni giorno, si mise a fissare la parete di fronte.
«Per prima cosa, falle passare le mani attraverso le sbarre. Poi, prima di aprire la porta, la ammanetti. E assicurati di appendere fuori della cella il cinturone con la rivoltella.» Le indicò i ganci sul muro.
Mallory aveva notato che lo sceriffo non seguiva mai i consigli che dava ad altri. Durante le ore che aveva sprecato a interrogarla percorrendo in su e in giù la cella mentre lei restava in silenzio, non si era mai tolto il cinturone. Glielo aveva quasi sventolato in faccia. Mallory aveva aspettato il momento buono, in attesa dell'errore che lo avrebbe fregato.
Da piccola, aveva creduto che Jessop fosse Dio con un revolver a sei colpi. Quella mattina, lo sceriffo fuori della sua cella era solo un comune essere umano. Rispettava perfino le leggi della Louisiana e portava un'automatica secondo regolamento di polizia. La vicesceriffo, invece, non rispettava il regolamento e portava un revolver 38. Era promettente. Le munizioni si sarebbero adattate alla sua 357.
«E poi,» stava dicendo lo sceriffo alla sua nuova aiutante «togli tutte quelle maledette piume dalla cella. Mi hai sentito?»
La vice era seccata. Forse nessuno le aveva detto che parte del suo lavoro consisteva nel fare la cameriera. Le parole le vennero fuori a precipizio. «Sono risultata prima nella classe di…»
«Ragazza, l'accademia di polizia è come l'asilo.» La sua irritazione si stava facendo più evidente, stava per arrivare all'ebollizione.
La vicesceriffo, quindi, era una novellina, reduce da un programma di addestramento di sei settimane che poteva averle insegnato come evitare di spararsi in un piede, di certo non molto di più. Mallory notò un altro indizio: il cinturone della ragazza. Era appesantito da bomboletta antiaggressione, cartucce, torcia, manette, cellulare, caricatore a tamburo e sfollagente. Era bardata come per un'incursione dell'esercito, eppure dava l'impressione di una scout superattrezzata.
Mallory smise di ascoltare la discussione. Stava prendendo le misure a Lilith Beaudare. L'altezza era la stessa, e anche corporatura e peso erano più o meno uguali. Forse aveva qualche anno in meno rispetto a lei. Pareva sicura, e si muoveva con una fluidità di movimenti che rivelava fiducia nel proprio corpo. Ma lo sceriffo la stava trattando come uno zerbino.
«Quando sarò di ritorno, non ci deve essere neppure una piuma in quella cella.» Lo sceriffo aprì lo sportello di un armadietto per mostrarle tutto il necessario per le pulizie. Prese una scopa, una paletta, uno strofinaccio, un sacchetto di plastica per l'immondizia e li porse alla sua vice.
Mallory afferrò da terra una manciata di piume, se le portò alle labbra e con un soffio mandò un bacio allo sceriffo. Due piume gli finirono nei capelli. Altre su naso e mento. Jessop le rimosse con grande decisione, prendendole fra le dita e riducendole a pezzi.
Lilith Beaudare stava facendo di tutto per reprimere un sorriso.
Lo sceriffo la fissò fino a quando la sua bocca non assunse una linea più rispettosa. «Portati avanti con i lavori domestici.» Il suo passo pesante fece scricchiolare le assi del pavimento. La porta sbatté alle sue spalle.
La vicesceriffo appoggiò la scopa alla parete, in un punto facilmente raggiungibile da Mallory.
Mossa stupida, vice.
La ragazza si girò verso Mallory. «Sai perché quel bastardo crede di potermi parlare a quel modo?»
«Perché sei una donna? O perché sei nera? Scegli tu. Io non ho tutta la giornata a disposizione per questa merda.» Allungò la mano attraverso le sbarre per prendere la scopa.
Lilith osservò il suo gesto, senza rendersi conto che una scopa poteva diventare un'arma. Se Mallory avesse voluto farle del male, avrebbe potuto affondarle la scopa nello stomaco o ficcarle il manico in gola. Questione di un secondo. Ma non era a Lilith Beaudare che voleva far del male.
«È stato uno sbaglio dirgli che eri la prima della classe» disse Mallory, passando la scopa sul pavimento. «Ci rimuginerà su per un po', e poi, dopo colazione, potrebbe fare due più due.» Aveva spinto un soffice mucchietto di piume verso le sbarre e ora nella voce le si insinuò una traccia del dolce accento del Sud. «Dài, passami quella paletta.»
La vicesceriffo gliela consegnò. Quell'oggetto di rame, con i suoi angoli appuntiti, avrebbe potuto squarciare la gola.
Oh, cara la mia vice, hai un sacco di cose da imparare, e te lo insegnerò io.
«Il tuo nome non può essere "ragazza".» A dire il vero, sapeva che il secondo nome della vicesceriffo Beaudare era Mary. Quasi tutte le informazioni di Mallory venivano da Jane, che le portava i pasti tre volte al giorno.
Raccolse le piume nella paletta.
«Mi chiamo Lilith Beaudare» le disse porgendole di sua iniziativa anche il sacchetto di plastica per l'immondizia, ideale per soffocarla se solo Mallory avesse scelto di farlo.
«Lilith, Dayborn non è il posto adatto a una ragazza sveglia come te. La prima della classe? Questo ti ha garantito la scelta dell'incarico, non è così?» Depose sacchetto e paletta sul piccolo cassettone accanto al letto. «Lui si chiederà cosa tu ci faccia nel distretto di St. Jude, il più piccolo di tutto lo Stato. La popolazione di qui non riempirebbe due isolati di New Orleans.»
«Io sono nata in questa cittadina. Ha senso che io…»
«Be', non direi proprio. Avrebbe senso che tu te ne andassi il più lontano possibile. No! C'è qualcosa che non torna nella storia che racconti.»
Mallory tornò vicino alla porta della cella e riprese ad ammucchiare le piume. «Jessop arriverà alla stessa conclusione. Deciderà che sei una bugiarda. O forse un'incapace, e che questo è un incarico punitivo.»
«Non sono una…»
«Potresti essere un'infiltrata.» Questo, finalmente le tappò la bocca. «Già, è l'ipotesi più probabile.»
Perfino Jane, del Jane's Café, aveva trovato strano che la polizia di Stato avesse mandato un vicesceriffo. Da decenni Tom Jessop sceglieva e addestrava i propri agenti. «Hai fatto un sacco di errori, Lilith. Ma forse è davvero scemo come credi tu. Forse non collegherà un bel niente… a meno che qualcuno non gli metta una pulce nell'orecchio.»
Lilith non disse nulla. Era senza parole.
Mallory le indicò la poltrona imbottita di fronte al letto. «Entra nel mio ufficio e mettiti comoda. Ti aiuterò a risolvere i tuoi problemi.»
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