Carol O'Connell - Il Volo Dell'angelo Di Pietra

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"Le parole della O'Connell sono lucide e affilate come un bisturi." (Carlo Lucarelli)
A volte la violenza esplode quando e dove meno te l'aspetti. Come a Dayborn, graziosa cittadina sprofondata nella calda, languida atmosfera della Louisiana. E' lа che, diciassette anni fa, la dottoressa Cass Shelley и morta sotto i colpi di una folla inferocita, lapidata senza pietа per una colpa immaginaria. Da allora, tutti a Dayborn hanno fatto del loro meglio per dimenticare. Tutti tranne Tom Jessop, lo sceriffo che da quasi vent'anni si interroga sul destino della piccola Kathy Shelley, scomparsa subito dopo l'omicidio della madre. Quella bambina oggi и una donna, a tutti nota con il nome di Kathy Mallory, detective della Crimini Speciali di New York. Messo da parte il distintivo e la sua nuova vita, Kathy torna a Dayborn decisa a ottenere non semplice giustizia, ma 'vendetta'. Per stanare gli assassini di sua madre deve affrontare un'indagine intricata e rischiosa, ai margini della legalitа. Solo quando la veritа verrа a galla in tutto il suo orrore, Cass Shelley potrа riposare in pace nella tomba vegliata dall'angelo di pietra.
"Una O'Connell in splendida forma per un thriller da non perdere." (Booklist)
"Ancora una volta Carol O'Connell avvince il lettore fino all'ultima pagina." (Publishers Weekly)
"Brava da morire." (Richard North Patterson)

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«No, non è possibile, signor Butler. La nostra è una cittadina troppo piccola per lasciar spazio alle eccezioni scientifiche. Il cartello sulla statale dice che gli abitanti di Dayborn sono mille e cento, ma è un'esagerazione; siamo più o meno novecento.»

E in un paese piccolo chi viene da fuori è sempre il primo a essere accusato di un crimine.

«Deve essere sotto pressione, vero sceriffo?»

«Sotto pressione?»

«I media?»

Allo sceriffo sembrò divertente. «Un omicidio compiuto a sassate? Una notizia così non arriva ai notiziari della sera.»

«Ma questo Laurie era un leader religioso.»

«Era l'attrazione principale di uno spettacolo itinerante chiamato New Church. Babe era famoso solo perché Betty Hale ne parlava ai suoi ospiti durante i tour del paese. Serviva a vendere qualche ricordino all'emporio, e sono certo che Betty Hale percepisse la sua percentuale.»

«Vorrei vedere Mallory, adesso, se non le dispiace.»

Lo sceriffo annuì e lo affidò a Lilith. Charles la seguì per le scale e ruppe il silenzio solo quando lei gli aprì la porta. «Non mi controlla per vedere se porto delle armi?»

L'espressione della vicesceriffo era eloquente. Non l'aveva mai nemmeno sfiorata l'idea che Charles sapesse distinguere la canna di una pistola dal suo calcio. Senza rispondere, rimase vicina alla porta mentre l'uomo percorreva lo stretto corridoio che portava alle celle.

Charles si era immaginato una Mallory che languiva in una cella spoglia e fredda. Ora non poteva credere a ciò che vedeva. Alla parete era appesa una stampa raffigurante un paesaggio d'altri tempi, ai piedi di una poltrona c'era un tappetino intrecciato, una trapunta patchwork ricopriva il letto e sul cassettone un vaso di vetro conteneva delle violette fresche. L'unica nota stonata erano le inferriate alla porta e alla finestra.

Quanto doveva odiare tutto questo, e più ancora quella divisa a strisce.

Sollevò gli occhi e lo vide: era infuriata.

Charles voltò le spalle a Lilith, impedendole la vista di Mallory. «Augusta Trebec mi ha incaricato di accertarmi se lei sia o no l'erede di Cassandra Shelley.» E a segni aggiunse: « Voglio solo aiutarti. Dimmi quello che posso fare per te » .

«Vada via» disse Mallory. Poi a segni insistette: « Va' via » .

«Le sarei grato se potessi almeno spiegarle il mio compito.» « Lascia che chiami Riker o Jack Coffey. Loro potrebbero fare qualcosa. »

«No!» disse lei. E gesticolando: « Ma sei matto? Sono poliziotti » .

« Ma lo sei anche tu. » O forse no? Sebbene non avesse compilato tutti i moduli necessari per lasciare il dipartimento di polizia, a New York Mallory aveva restituito il suo distintivo e la calibro 38 di ordinanza.

«Se ne vada» ripeté.

« Non ti lascio qui in questa cella. »

« Non ci starò per molto. Vattene. »

Ad alta voce, Charles disse: «Potrei assumere un legale per lei».

«Non ne ho bisogno.» Si alzò e si avvicinò alle sbarre. « Non hanno un movente. Ma credo che lo sceriffo ci stia lavorando. È furbo. Non sottovalutarlo. »

« Però. Che complimento, da parte tua! » Le porse la ricevuta del garage per un cambio d'olio e la garanzia della nuova trasmissione della sua auto. «È un affidavit per l'eredità. Le dispiacerebbe leggerlo e firmarmelo?»

Mallory infilò le carte in tasca, così da aver libere le mani per parlare con il linguaggio dei segni. « Adesso devi andartene. Non puoi aiutarmi. Se rimani a Dayborn peggiorerai la situazione. »

Charles sapeva quel che intendeva dire. Mallory gli stava facendo capire che la sua eccessiva onestà avrebbe finito per rovinare tutto. Non lo credeva capace di azioni basse o equivoche.

« Ho appena rifilato una bugia allo sceriffo » gesticolò speranzoso.

Mallory trasalì. Si stava chiedendo quanto danno Charles avesse già fatto.

Gli restituì i finti documenti. «Li ho letti, va bene? Adesso se ne vada.» Avvicinò il viso alle sbarre e allungò le mani verso quelle di Charles.

« Non mi hai chiesto se ho ucciso quell'uomo. »

La sua espressione sembrava suggerire che avrebbe potuto farlo. Forse era quel suo sorriso. E ora c'era una domanda negli occhi.

Di Mallory non si poteva dire che non sarebbe stata capace di uccidere qualcuno. Tuttavia, rifletteva Charles, se lei avesse dato fuoco a un autobus pieno di suore e orfanelli e l'avesse fatto precipitare da una scarpata, lui avrebbe pensato semplicemente che Mallory aveva avuto una cattiva giornata.

Charles stava uscendo dal palazzo municipale che ospitava la prigione quando vide la donna sbucare dal vicolo e fermarsi a pochi passi da lui. La prima cosa che notò furono i capelli. La tintura nera mal riuscita aveva sfumature viola. Era magra, di mezza età, gli occhi supplicanti rivolti al cielo, la sottoveste che sporgeva dall'orlo del vestito sporco. Aveva il volto rigato di lacrime.

A un tratto si precipitò verso il lato più lontano della piazza, la bocca spalancata nel preludio di un urlo.

Una donna alta e robusta fasciata da un grembiule e con in mano un vassoio, comparve sui gradini del palazzo municipale, proprio accanto a Charles.

«Alma!» gridò verso la donna che correva. Lei non l'ascoltò. La donna robusta si strinse nelle spalle e attraversò la piazza fino al Jane's Café.

Un attimo dopo Henry Roth emerse dal vicolo, sulle orme della donna in fuga. Lo scultore sorrideva soddisfatto. Charles ebbe la sensazione che quel giorno il mondo girasse storto. Di fronte alla disperazione di quella donna il sorriso di Henry Roth lo innervosì. Dopo averlo salutato, incrociò nuovamente gli occhi dello sconosciuto seduto sulla panchina, quello che assomigliava tanto a Babe Laurie. Ma ora il suo sguardo era cambiato, più intenso, quasi febbrile. Aveva un'espressione vittoriosa, come quella di un bambino furbo che conosce un segreto inquietante. Vieni da me , dicevano i suoi occhi. Ci sono giochi che dobbiamo fare, e posti dove andare.

L'invito era così pressante che Charles si avvicinò alla panchina.

Poi si fermò, come se avesse sbattuto contro un muro.

Quello che aveva di fronte non era un bambino innocente, ma un adulto dotato di un magnetismo sinistro. Era un perfetto istrione, capace di passare da una personalità all'altra.

Charles credeva di essersela cavata bene con lo sceriffo, ma scelse di non tentare ancora la fortuna con qualcuno che faceva dell'inganno un'arte. Così si limitò a rispondere con un cenno del capo, stringendosi nelle spalle come a scusarsi. Poi si diresse verso il Jane's Café.

6

I fili del telefono e della luce erano ben nascosti sul retro dell'edificio. All'esterno, l'aspetto rétro del Jane's Café non era turbato da nulla che ricordasse i tempi moderni. Dalla vetrina, Charles vide madre e figlio seduti a un tavolo apparecchiato con una tovaglia rossa e tovaglioli bianchi.

Entrò nel locale e si ritrovò nel presente. Un'enorme macchina per il caffè gorgogliava a tempo con il sottofondo soft-rock. Sullo scintillante bancone di vetro e metallo erano disposti contenitori colmi di insalate, pane e affettati. Tutti i tovaglioli erano di carta e le tovaglie rosse erano di plastica.

Dopo essersi servito di pane, verdure e condimenti vari, prese posto al tavolo vicino a quello di Darlene e Ira Wooley. La madre parlava al figlio con un tono dolce e consolatorio, ma il ragazzo non la stava ascoltando. Era tutto intento a costruire una torre di cibo sulla base di una fetta di pane.

Con argomentazioni suadenti, Darlene indicò al ragazzo gli ingredienti che avrebbero scatenato le sue allergie e rimosse gli strati nocivi alla sua salute. Il ragazzo fissò per un attimo il panino mutilato, e Charles si preparò a una crisi di urla, tipica dell'autismo. Ma Ira rimase calmo e riprese a costruire un'altra torre di cibo su una nuova fetta di pane presa dal piatto della madre. Lavorava abilmente, nonostante le mani bendate e le stecche che gli bloccavano le dita.

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