Iain Banks - Complicità

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Cameron, reporter del Caledonian e maniaco di computer game, si mette sulle tracce di un nemico crudele, un uomo solo che si erge a giudice, giuria e boia di tutti coloro che hanno commesso un errore troppo grave per essere perdonato. Quale oscura complicità lega Cameron all’inafferrabile serial-killer?

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La radio gracchia. «Un sacco di rami», spiega il poliziotto, e poi: «Giù, sul fondo».

L’elicottero ci gira sulla testa. Mi sto chiedendo dove si trovi Andy in questo momento, quando sento il tizio nel camino che annuncia: «Qui non c’è niente».

Cosa?

«Solo un sacco di rami e di detriti», dice il poliziotto.

McDunn non reagisce. Io, sì. Fisso la radio. Cosa sta dicendo? Provo un senso di vertigine. È successo. Me lo ricordo bene. Da allora ho sempre vissuto con questo ricordo, annidato in una zona remota del mio cervello. So che è successo. Mi sembra che il bosco si sia messo a girare in tondo. Forse, se non fossi ammanettato al sergente, cadrei per terra. (E ricordo le parole dell’uomo, ricordo perfettamente la sua voce, mi sembra ancora di sentirlo mentre dice: «Sono un poliziotto!»)

Alcuni degli agenti radunati intorno alla presa d’aria hanno un’espressione scettica.

«Un minuto», dice il poliziotto nel tunnel.

Il cuore mi batte forte. Che cos’ha trovato? Non so se desidero che lo trovi o meno.

«C’è uno zaino, qui», spiega la voce alla radio. «Uno zaino grosso, marrone… Sembra pieno, e piuttosto vecchio.»

«Nient’altro?» chiede McDunn.

«Solo rami… Non riesco a vedere sino in fondo alla galleria, nelle due direzioni. Ma c’è uno spiraglio di luce in lontananza… verso est.»

«È l’altra presa d’aria», chiarisco a McDunn. «In quella direzione», aggiungo, e gliela indico.

«Vuole che dia un’occhiata in giro, signore?»

McDunn guarda il capo della polizia del Tayside, che annuisce. «Sì», dice McDunn. «Se sei sicuro che non c’è pericolo.»

«Direi di no, signore. Mi sto slegando.»

McDunn mi fissa e aspira aria tra i denti. Evito gli sguardi degli altri poliziotti. McDunn solleva impercettibilmente le sopracciglia.

«Era qui», gli dico. «Eravamo Andy e io. Quell’uomo ci ha assaliti. Ha abusato di Andy. Lo abbiamo colpito con un pezzo di legno. Glielo giuro.»

McDunn non sembra molto convinto. Allunga la testa per sbirciare dentro la bocca del camino.

La testa mi gira ancora. Appoggio una mano alla base di pietra per mantenere l’equilibrio. Se non altro, lo zaino c’è. È successo, per Dio. Non è stata un’allucinazione. Probabilmente il tizio era morto quando lo abbiamo gettato giù — allora lo avevamo dato per scontato, ma con gli anni erano arrivati i dubbi —, tuttavia, anche se non lo fosse stato, doveva essere morto per forza quando aveva picchiato sul fondo. Era un volo di almeno trenta metri.

Forse Andy aveva deciso che il corpo non era nascosto adeguatamente ed era tornato a spostarlo? Chissà, magari lo aveva tirato su, per portarlo via e seppellirlo altrove… Non avevamo più parlato di quel giorno, e non ci eravamo più avvicinati alla vecchia presa d’aria. Non so che cosa abbia fatto, da allora, ma ho sempre creduto che, come me, anche lui abbia cercato di dimenticare, di far finta che quell’episodio non sia mai accaduto.

Rifiuto. Diamine, a volte è la miglior cosa.

«Mi sentite?» gracchia la radio.

«Sì», dice McDunn.

«L’ho trovato.»

Ci vorrà un po’ per tirare su il corpo; devono calare altri agenti, e scattare fotografie. Le solite menate. Ritorniamo quasi tutti alla casa. Non so cosa pensare. Finalmente è finita, è uscito fuori, la gente lo sa, lo sanno altre persone; lo sa la polizia, non è più una cosa tra Andy e me, è di dominio pubblico. Provo un certo sollievo; non m’importa quello che succederà ora, eppure continuo a pensare di aver tradito Andy, qualsiasi cosa lui abbia fatto.

Il corpo dell’uomo si trovava sotto l’altra presa d’aria. Quel povero cristo probabilmente si è trascinato fin là, percorrendo più di cento metri, con lo scopo di raggiungere lo spiraglio di luce. La nostra brillante idea di nascondere il corpo, gettandogli addosso un bel po’ di rami, era stata perfettamente inutile. In tutti questi anni sarebbe stato sufficiente che qualche ragazzino fosse andato là con una torcia o con un fascio di giornali da bruciare e avrebbe scoperto il corpo. Hanno visto molti rami sotto la presa d’aria da cui abbiamo spinto giù l’uomo; secondo il giovane poliziotto che è sceso per primo, sembra che il tizio sia strisciato fuori da sotto la pila. Anche così, non so proprio come abbia fatto a sopravvivere a quella caduta; Dio solo sa che cosa si è rotto, come ha sofferto, quanto ci ha messo a strisciare verso l’altro spiraglio di luce, quanto ci ha messo a morire.

Una parte di me prova compassione per lui, nonostante quello che ha tentato di fare, nonostante quello che ha fatto. Chissà, forse avrebbe finito con l’uccidere Andy, o forse tutti e due, ma nessuno merita di morire in quel modo.

Ma c’è un’altra parte di me che esulta, felice che quell’uomo abbia pagato per quello che ha fatto, che per una volta il mondo giri nel modo giusto, punendo il cattivo… Questo però m’intristisce e mi fa star male perché penso che è proprio questo che Andy sta provando ora.

È strano essere a Strathspeld, trovarsi nella loro casa e non aver visto i signori Gould. Alcuni dei poliziotti se ne sono andati; sul vialetto di ghiaia sono rimasti soltanto una decina tra macchine e furgoni. L’elicottero è andato a fare rifornimento, è tornato indietro ed è rimasto a ronzare per un po’ sopra la casa, poi è rientrato a Glasgow. Pare che abbiano istituito posti di blocco, messo pattuglie su tutte le strade della zona e abbiano perquisito la tenuta. Il tutto con scarse possibilità di successo.

Tornati nella casa, seduti nella biblioteca, racconto a un ispettore del Tayside ciò che è successo in quel giorno di vent’anni fa. È presente anche McDunn. Non è doloroso come pensavo. Gli racconto le cose proprio come sono andate, da quando ci siamo rincorsi su per la collina e siamo andati a sbattere contro l’uomo; sorvolo su quello che Andy e io stavamo facendo un attimo prima, e sulla battuta dell’uomo a proposito di cose sporche, da pervertiti. Non glielo posso raccontare con McDunn seduto lì: sarebbe come raccontarlo di fronte a mio padre. In realtà, credo che non lo racconterei a nessuno, non tanto perché mi vergogno (almeno, questo è ciò che dico a me stesso), quanto perché è un fatto privato: l’ultimo segreto che posso tenere nascosto, tra Andy e me, che mi permette di credere che c’è almeno una cosa in cui non l’ho tradito completamente.

Non sono più ammanettato al sergente Flavell: lo hanno liberato in modo che possa prendere appunti. Ormai sono legato soltanto a me stesso, con i polsi ammanettati insieme. I tomi rilegati in pelle della famiglia Gould, vecchi e rispettabili, assistono dall’alto allo sgradevole racconto che sono costretto a fare. Fuori è già buio.

«Pensate che sarò incriminato?» chiedo ai due ispettori. So già che non esiste un limite di tempo oltre il quale un omicidio non è più perseguibile.

«Non spetta a me dirlo, signor Colley», risponde il poliziotto del Tayside, raccogliendo il taccuino e il registratore.

Gli angoli della bocca di McDunn si piegano all’ingiù; aspira aria tra i denti. Chissà perché, ma la sua presenza mi dà coraggio.

Hanno ordinato da mangiare allo Strathspeld Arms; lo stesso cibo che era stato preparato per i partecipanti al funerale. Alcuni di noi mangiano nella sala da pranzo. Ora sono ammanettato a un massiccio poliziotto di Londra e siamo entrambi costretti a mangiare con una mano sola. Avevo sperato che mi levassero del tutto le manette, ma probabilmente pensano che il corpo nel tunnel di per sé non provi nulla, e che Andy potrebbe essere comunque morto, oppure potrebbe essere ancora vivo e lui stesso — o qualcun altro — potrebbe aver rapito Halziel e Lingary per fornirmi una copertura.

Mentre sto rincorrendo con la forchetta l’ultimo pezzo di quiche che scivola nel piatto, McDunn entra, mi si avvicina, fa un rapido cenno con la testa all’agente e apre le manette.

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