Iain Banks - Complicità

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Cameron, reporter del Caledonian e maniaco di computer game, si mette sulle tracce di un nemico crudele, un uomo solo che si erge a giudice, giuria e boia di tutti coloro che hanno commesso un errore troppo grave per essere perdonato. Quale oscura complicità lega Cameron all’inafferrabile serial-killer?

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L’allarme delle batterie fa bip. Dovevo immaginarmelo che non le avrebbero ricaricate a dovere.

Osservo il mio Impero, un tempo grandioso, finché il computer non decide che le batterie sono troppo scariche per continuare, e si spegne da solo. L’immagine sullo schermo dissolve sulla vista dall’alto della capitale; vedo la mia vanagloriosa città a forma di e e svanire lentamente nel buio. Pochi minuti dopo, spengono anche le luci nelle celle.

Mi addormento sulla piccola branda di metallo con il laptop stretto fra le braccia.

Tre del mattino. È meno umido, ma fa più freddo. L’autista della polizia lascia il motore acceso; il nostro fumo di scarico sale nell’aria portato da una brezza gelida. Grassmarket è silenziosa. La macchina, no: di quando in quando la radio cinguetta e io continuo a tossire.

Alle tre in punto il poliziotto nella cabina telefonica ci fa cenno di muoverci.

«L’angolo tra la West Port e Bread Street, presto», dice Andy e riattacca immediatamente.

È vicinissimo anche a piedi, ma ci andiamo comunque in macchina, e ci fermiamo davanti al Cas Rock Café. Non c’è granché, qui: soltanto uffici e qualche negozio sull’altro lato della strada. Un’altra auto civetta è parcheggiata proprio in Bread Street. I furgoni con i poliziotti in divisa sono parcheggiati su Fountainbridge e su Grassmarket, mentre le varie auto di pattuglia continuano a fare il giro del quartiere.

McDunn fa un breve giro d’ispezione e poi torna alla macchina.

Beviamo caffè nero da un thermos gigante. Mi calma un po’ la tosse.

«Presto», m’incalza McDunn, riflettendo e guardando dentro il bicchiere di plastica come se cercasse fondi di caffè da interpretare.

«È quello che ha detto», dico, schiarendomi la gola.

«Hmm.» McDunn si sporge verso i due poliziotti seduti davanti. «Voi non fumate, vero, ragazzi?»

«No, signore.»

«Allora vado fuori ad avvelenarmi.»

«Non c’è problema, signore.»

«Tanto volevo sgranchirmi un po’ le gambe.» Si rivolge a me. «Colley, una sigaretta?»

Ricomincio di nuovo a tossire. «Tanto, peggio di così…»

Ora sono ammanettato all’ispettore: una specie di promozione, immagino. Ci accendiamo le sigarette e facciamo una passeggiata. Passiamo davanti al pub, attraversiamo la strada per andare a vedere la vetrina di un negozio di libri usati, passiamo davanti a un videoshop, a una macelleria e a una paninoteca, tutti bui e silenziosi. Un taxi ci passa accanto: è diretto verso Grassmarket e ha la luce «libero» accesa. Ci appoggiamo alla ringhiera che protegge il marciapiede all’incrocio. L’edificio dietro di noi ha l’aria malandata; da qui, inoltre, si vedono la sede in stile vittoriano del Co-op, che ha chiuso proprio quest’anno, e la costruzione più moderna che ospitava i grandi magazzini Goldberg, chiusi l’anno scorso.

Non c’è neppure un buon odore, in questo posto: dietro di noi c’è una pescheria e un negozio che vende patatine fritte un po’ più in su, ma sopravvento; anche il marciapiede pare sporco di unto. Non riesco proprio a immaginare che portino gli Eurocapi di Stato in questa zona della città, magari per una cena a base di sanguinaccio e per un bel film porno. Cristo, mancano solo tre settimane all’Eurosummit. Scommetto che la polizia del Lothian si sta godendo questa uscita fuori programma, con la prospettiva di tutto quel casino che li aspetta. Pensavo che proprio in questo periodo sarei stato impegnatissimo a scrivere un sacco di articoli sull’Europa. Pazienza.

«Aveva un bello stato di servizio nell’esercito, il tuo amico», fa McDunn dopo un po’.

«Molti assassini ce l’hanno», borbotto. L’ispettore riflette per un po’. Osserva la sigaretta, fumata quasi sino al filtro. «Pensi che abbia qualche motivazione di tipo politico? Si direbbe di sì.»

Alzo gli occhi in direzione della High Riggs, mentre un altro taxi arriva sobbalzando nella nostra direzione. McDunn spegne accuratamente la sigaretta, schiacciandola contro la ringhiera cui siamo appoggiati.

«Non credo che sia una questione politica», rispondo. «Credo piuttosto che sia… morale.»

L’ispettore mi fissa. «Morale, Cameron?» ripete, aspirando aria tra i denti.

«È deluso», spiego. «Aveva un sacco d’illusioni, e ora glien’è rimasta soltanto una: spera che ciò che sta facendo possa rendere le cose diverse.»

«Hmm.»

Ci giriamo per tornare alla macchina. Lascio cadere il mozzicone di sigaretta sul marciapiede sporco e lo schiaccio con la scarpa, quindi sollevo lo sguardo. Le luci del taxi che sta uscendo dalla High Riggs per svoltare sulla West Port ci colpiscono.

Rimango a fissarlo. McDunn sta dicendo qualcosa, ma non riesco a udirlo: ho uno strano rumore nelle orecchie. Mi tira il polso ammanettato. «Cameron», sento che dice, ma da molto lontano. Poi aggiunge qualcos’altro, però non lo afferro: ho ancora lo strano rombo nelle orecchie, un rumore cupo e stridulo al contempo. «Cameron?» dice McDunn. Tutto inutile. Apro la bocca. Lui mi dà un colpetto sulla spalla, mi afferra per un braccio. Infine allunga la testa per guardarmi, mettendosi tra la pescheria e me. «Cameron, ti senti bene?»

Annuisco, e poi scuoto la testa. Annuisco di nuovo, indicando un punto davanti a me, tuttavia, quando lui si volta, non vede nulla: il negozio è buio e i lampioni non riescono a illuminarne l’interno.

«Ha…» dico, ma ho difficoltà a proseguire. «Ha una torcia?»

«Una torcia?» ripete lui. «No, ho l’accendino. Cosa c’è?»

Accenno con la testa in direzione della pescheria.

McDunn avvicina l’accendino. Guarda all’interno, con il viso attaccato al vetro. Si ripara gli occhi con l’altra mano, sollevando così anche la mia.

«Non riesco a vedere niente», borbotta. «È una pescheria, no?» Alza la testa per studiare l’insegna del negozio.

Faccio un cenno con la testa in direzione dell’auto civetta. «Gli dica di fare inversione di marcia su Lauriston Street e di puntare i fari qui.»

McDunn socchiude gli occhi e mi fissa, poi sembra colpito da qualcosa che legge sul mio viso. Fa segno alla macchina. Uno degli agenti tira giù il finestrino e lui impartisce l’ordine.

Gemendo, la macchina s’infila in retromarcia in Lauriston Street. Ha tutti i fari accesi.

Proprio tutti. Distogliamo lo sguardo dal fascio di luce accecante e rimaniamo immobili, a lato della vetrina.

La pescheria ha una saracinesca avvolgibile a maglie. Dentro c’è un bancone di granito verde, leggermente inclinato, dove vengono esposti i pesci quando il negozio è aperto. Il bancone è circondato da uno zoccolo tozzo e arrotondato e ha un canaletto di scolo in fondo, proprio vicino alla vetrina.

Sul bancone ci sono alcuni pezzi di carne, non di pesce. Riconosco un fegato — color cioccolato e dall’apparenza setosa — reni che sembrano funghi scuri e grotteschi, probabilmente un cuore e vari altri tagli di carne, bistecche, cubi e fette. Al centro del bancone c’è un grosso cervello, di un colore grigio-crema.

«Buon Dio!» esclama McDunn con un sussurro. È strano, però sono queste parole a farmi venire i brividi, e non quello che vedo adesso, dopo la prima fugace immagine alla luce dei fari del taxi.

Torno a posare gli occhi sull’esposizione ordinata e pulita, quasi senza sangue. Immagino che persino un lettore del Sun capirebbe che non si tratta affatto di pesce; sono quasi certo che siano resti umani, ma, come se fossero stati messi lì per fugare ogni dubbio, nella parte centrale del bancone, verso il basso, scorgo i genitali di un uomo: un pene non circonciso, piccolo, avvizzito e di un colore grigiastro tendente al giallo; lo scroto raggrinzito e marrone rosato, con i due testicoli tirati fuori, uno per parte, due cosette grigie a forma di uova, simili a due lisci cervelli in miniatura, collegati al sacco scrotale da minuscoli tubicini perlacei tutti ritorti, cosicché l’effetto finale ricorda piuttosto due ovaie unite a un ventre.

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