Iain Banks - Complicità

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Cameron, reporter del Caledonian e maniaco di computer game, si mette sulle tracce di un nemico crudele, un uomo solo che si erge a giudice, giuria e boia di tutti coloro che hanno commesso un errore troppo grave per essere perdonato. Quale oscura complicità lega Cameron all’inafferrabile serial-killer?

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«Vieni qui», mi dice, mettendosi le manette in tasca. Mi pulisco le labbra e lo seguo fino alla porta.

«Cosa c’è?» gli chiedo.

«È per te», risponde, attraversando l’ingresso, diretto al telefono; la cornetta è appoggiata sul tavolo e un agente sta collegando un piccolo congegno che sembra una ventosa. Dalla ventosa parte un cavo che finisce in un walkman. L’agente fa partire il registratore. McDunn si volta a guardarmi, poi si ferma davanti al telefono e lo indica con un cenno del capo. «È Andy», dice.

E mi porge la cornetta.

BANCONE

«Andy?»

«Ciao, Cameron.»

È la sua voce: posata, tranquilla. Fino a questo momento una piccola parte di me era ancora convinta che fosse morto. Mi vengono i brividi e mi si rizzano i peli sulla nuca. Mi appoggio al muro, guardo McDunn, in piedi davanti a me a un metro di distanza con le braccia incrociate. Il giovane agente che ha acceso il walkman gli porge un paio di auricolari collegati al registratore e lui li indossa.

Mi schiarisco la gola. «Che sta succedendo, Andy?»

«Mi dispiace averti tirato in mezzo, vecchio mio», dice, come se la nostra fosse una tranquilla conversazione e lui si stesse scusando per un commento poco gentile o per avermi organizzato un appuntamento alla cieca con un cesso di ragazza.

«Ah, davvero?»

McDunn traccia una serie di cerchi nell’aria: vai avanti. Oh, Cristo, eccoci da capo. Vogliono che continui a parlare perché loro possano rintracciarlo. Un altro tradimento.

«Be’, sì», risponde Andy; pare vagamente sorpreso di scoprire che gli dispiace davvero, anche se non tantissimo. «Mi sento un po’ in colpa per tutto questo, ma al contempo ero persuaso che te lo meritassi. Non pensavo che finissi in prigione, però, quello non l’avrei proprio voluto, ma… Be’, volevo che soffrissi un po’. Immagino che abbiano trovato il biglietto che ho lasciato nel bosco vicino alla casa di Sir Rufus.»

«Sì, l’hanno trovato. Grazie, Andy. Sei stato proprio fantastico. Credevo fossimo amici.»

«Lo eravamo, Cameron», fa lui, condiscendente. «Ma tu mi hai mollato, e per due volte.»

Me ne esco con una risatina poco convinta, e guardo di nuovo McDunn. «La seconda volta sono tornato indietro, però.»

«Sì, Cameron», dice, con voce suadente. «Ed è per questo che sei ancora vivo.»

«Oh, grazie tante.»

«Comunque, Cameron, non ne sei del tutto fuori. Anche tu hai fatto la tua parte, come me, come tutti. Siamo tutti colpevoli, non credi?»

«Di cosa stai parlando?» chiedo, aggrottando la fronte. «Del peccato originale? Stai diventando cattolico, o che?»

«Oh, no, Cameron. Sono convinto che tutti noi nasciamo liberi da ogni peccato e da ogni colpa. Il fatto è che, prima o poi, ci cadiamo tutti. Non ci sono camere sterili per la moralità, Cameron, non ci sono campane di vetro per tenere la gente in un ambiente depurato dalla colpa. Ci sono monasteri e conventi, dove le persone diventano recluse, ma anche questo è soltanto un modo elegante per gettare la spugna. Lavarsene le mani non ha funzionato duemila anni fa, e non funziona neppure oggi. Ci sono coinvolgimenti, Cameron, ci sono legami.»

Scuoto la testa, osservando la finestrella del walkman con il nastro che gira pazientemente. La cosa strana è che ho davvero l’impressione di parlare a un morto, perché la persona cui mi rivolgo sembra proprio quell’Andy che conoscevo una volta. Quell’Andy attivista, plasmatore, quell’Andy precedente alla morte di Clare, prima che mollasse tutto e che diventasse un recluso: sto ascoltando proprio la sua voce calma e serena, non la voce dell’uomo che viveva in un albergo buio e cadente, una voce resa inespressiva dalla rassegnazione, dal disprezzo e da una cinica disperazione.

McDunn sembra impaziente. Scrive qualcosa su un taccuino.

«Senti, Andy», dico, deglutendo a fatica, con la bocca arida, «gli ho raccontato di quell’uomo nel bosco. Sono scesi nel tunnel. Lo hanno trovato.»

«Lo so», risponde. «Li ho visti.» Sembra quasi rammaricato. Chiudo gli occhi. «A dire il vero, c’è mancato poco che mi prendessero», aggiunge, con tono quasi divertito. «Questo m’insegnerà a non infrangere più le mie regole e a non partecipare mai al funerale delle mie vittime. Ma, dopotutto, si trattava del mio funerale. Comunque gliel’hai detto, vero? Immaginavo che l’avresti fatto, un giorno o l’altro. Ti sei tolto un bel peso, eh, Cameron?»

Apro gli occhi quando McDunn mi dà un colpetto e mi mostra i due nomi che ha scritto sul taccuino.

«Sì. Sì, mi sono tolto un peso. Senti, Andy, qui vogliono sapere che cosa è successo a Halziel e a Lingary.»

«Ah, già», dice, con aria divertita. «È per questo che ho chiamato.»

McDunn e io ci scambiamo uno sguardo. «Senti, Andy», riprendo, con una risatina nervosa. «Credo che ormai tu abbia raggiunto il tuo scopo, sai? Hai terrorizzato un sacco di gente…»

«Cameron, io ho ucciso un sacco di gente.»

«Sì, sì, lo so, e molti altri vivono nel terrore di andare ad aprire la porta di casa, ma il punto è che hai ottenuto quello che volevi; ormai potresti anche lasciarli andare, quei due, no? Lasciali andare e… Sai, sono sicuro che se potessimo parlarne insieme, sai, discuterne…»

«Discutere di questo?» ripete Andy, ridendo. «Oh, piantala di parlare a vanvera, Cameron.» Sembra così rilassato… Non riesco a credere che stia al telefono così a lungo. Deve sapere che ormai riescono a rintracciare le telefonate molto in fretta. «E poi, cos’altro ancora?» mi chiede, con un tono divertito. «Stai per suggerirmi di consegnarmi alla polizia, così verrò sottoposto a un processo equo?» Ride di nuovo.

«Andy, ti sto semplicemente suggerendo di lasciar andare quei due e di piantarla con ’sta storia.»

«Va bene.»

«Come?»

«Ho detto: va bene.»

«Li lascerai andare?» Scruto McDunn. Sta inarcando le sopracciglia. Dal portone entra un poliziotto in uniforme che si avvicina a McDunn e gli sussurra qualcosa. McDunn pare seccato.

«Sì», dice Andy. «Sono una coppia di stronzi molto noiosi e credo che abbiano sofferto a sufficienza.»

«Andy, stai parlando sul serio?»

«Certo!» risponde. «Ve li restituirò sani e salvi. Ovviamente, per quanto riguarda il loro stato di salute mentale non posso garantire nulla… Se andrà bene, quei bastardi saranno perseguitati dagli incubi per il resto della loro vita, ma…»

McDunn ha un’espressione preoccupata. Ancora una volta, mi fa cenno di spingerlo a parlare.

«Senti, Andy, l’ho capito che eri tu il signor Archer…»

«Già, ho usato un sintetizzatore vocale», spiega con fare paziente.

«Ma quella faccenda di Ares, era tutta…»

«…una manovra diversiva, Cameron, già», dice ridendo. «Senti, forse c’è anche stato un qualche nefando complotto che legava i cinque tizi morti, ma non ho idea di che cosa potesse essere e, per quanto ne so, non c’è alcun collegamento tra Smout e Azul. Un bell’intreccio, però, non ti pare? Lo so che voi giornalisti andate matti per questo genere di vicende.»

«Eh, sì, mi avevi proprio fregato.» Rivolgo un debole sorriso a McDunn, che mi fa segno di andare avanti.

«Ma come sei riuscito a…» Deglutisco, cercando di ricacciare indietro il senso di nausea. Ho l’impressione che stia per venirmi un attacco di tosse. «Come facevi a conoscere le parole in codice dell’IRA? Non te le ho mai dette.»

«Il tuo computer, Cameron. Il tuo PC. Le tenevi in un file. Quando ti sei comprato il modem, hai reso tutto più facile. Ti ho mai detto che nel tempo libero mi diverto a fare il pirata informatico?»

Cristo!

«E quella volta che ti ho telefonato in albergo e tu mi hai richiamato, quando invece dovevi essere nel Galles…»

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