Iain Banks - Complicità

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Cameron, reporter del Caledonian e maniaco di computer game, si mette sulle tracce di un nemico crudele, un uomo solo che si erge a giudice, giuria e boia di tutti coloro che hanno commesso un errore troppo grave per essere perdonato. Quale oscura complicità lega Cameron all’inafferrabile serial-killer?

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«Allora, dov’è il corpo?» chiede uno degli agenti in uniforme. Fa parte della polizia dello Strathclyde e si trova qui perché l’elicottero è proprietà loro.

«È ancora qui», gli rispondo. «A differenza… dell’uomo che state cercando.» Mi rivolgo a McDunn, l’unico volto amico e l’unica persona che possa guardare senza sentirmi come un ragazzino di cinque anni che ha appena fatto pipì nei calzoni. «Credevo che l’idea fosse quella di lasciare che il funerale si svolgesse comunque, o perlomeno di fare finta che si svolgesse. Lui sarebbe stato qui sicuramente. Avreste potuto catturarlo.»

Il volto di McDunn sembra di pietra. «Non ci è parso il modo migliore di procedere», spiega, e, per la prima volta, si esprime come un portavoce della polizia.

Ho l’impressione che alcuni dei presenti, fasciati nelle uniformi nere dal taglio perfetto, siano a disagio; dall’atmosfera generale e dallo scambio di occhiate capisco che su questo punto c’è stata parecchia discussione.

«Stiamo sempre aspettando questo cadavere», dice il poliziotto del Tayside, il comando ufficialmente incaricato di condurre questa fase dell’inchiesta. «Signor Colley», aggiunge.

Studio la mappa della proprietà. «Vi ci porto», annuncio. «Avrete bisogno di un palanchino o di qualcosa di simile, di una cinquantina di metri di corda e di una torcia. E anche di un seghetto.»

Andy stringe la grata di ferro e comincia a tirarla.

«Questa viene via», dice con un grugnito. Gli trema ancora la voce.

Lo aiuto. Riusciamo a sollevarla da una parte, ma dall’altra è trattenuta da una cerniera di metallo e non possiamo alzarla più di così.

Andy prende il ramo con cui ha colpito l’uomo e lo incastra sotto la grata: ne esce fuori un pezzo, ma, nel punto in cui un ramo più piccolo si è staccato, c’è un nodo, e la grata si blocca in quel punto, sollevata di circa mezzo metro dal bordo di pietra.

Andy getta lo zaino nel camino della presa d’aria, poi si piega per prendere l’uomo, lo afferra sotto un’ascella e cerca di sollevarlo.

«Su, vieni!» sibila.

Lo tiriamo su: la schiena è contro la base di pietra, la testa gli ciondola sul petto. Sulle pietre rimane una piccola scia di sangue. Andy afferra i polpacci dell’uomo, se li posiziona sotto le ascelle e li tira su. Io invece cerco di sollevargli le spalle, e la testa urta il bordo di pietra sottostante la grata. Lo spingiamo e lo solleviamo con tutte le nostre forze: le spalle strisciano contro il bordo, le braccia sono rivolte verso l’alto. Andy spinge, grugnendo e scivolando sulle foglie e sul terreno umido. Alzo il sedere dell’uomo con quanta forza ho in corpo, ma i calzoni restano impigliati nello spigolo di una pietra e cominciano a scendere; in quel momento, poi, il ramo che tiene su la grata si sposta e la griglia di ferro cade giù, andando a sbattere sul petto dell’uomo.

«Merda!» impreca Andy sottovoce. Lottiamo per risollevare la grata e la puntelliamo di nuovo con il ramo. La testa dell’uomo ciondola nel vuoto. Lo spingiamo per le gambe, ma queste si piegano all’altezza delle ginocchia, e siamo costretti a tenerle sollevate sopra le nostre teste per farle stare dritte; poi, però, mentre lo spingiamo e mentre i calzoni, impigliati contro il bordo di pietra, continuano a scendere, improvvisamente le braccia cadono nel vuoto, ed è più facile spingerlo. Ci sfugge di mano e scivola dentro la presa d’aria, strisciando sul bordo. I calzoni gli si fermano intorno alle caviglie e poi si raccolgono intorno agli scarponi che, un attimo dopo, scompaiono dentro la presa d’aria, sollevandosi verso l’alto e andando a colpire la grata all’ultimo momento; il ramo scivola nuovamente e la grata si chiude con un tonfo. Il ramo cade dentro e scompare.

Rimaniamo immobili per qualche secondo. Poi si sente — a meno che non sia frutto della nostra immaginazione — un tonfo molto lontano. Andy si scuote all’improvviso e si arrampica fino al bordo del camino. Guarda giù, nel buio, attraverso la grata.

«Lo vedi?» gli chiedo.

Andy scuote la testa. «No, ma prendiamo qualche ramo. Non si sa mai», dice.

Riapriamo la grata, puntellandola con un altro ramo, e passiamo la mezz’ora seguente a radunare pezzi di legno e rami caduti, sparsi lungo tutto quel versante della collina, trascinandoli in mezzo ai cespugli e gettandoli infine nella bocca del camino. Stacchiamo i rami morti dagli alberi e dai cespugli e ci aggrappiamo con forza a quelli vivi per strapparli. Raccogliamo bracciate di foglie morte e gettiamo pure quelle. Ma non riusciamo a vedere nulla.

Alla fine buttiamo anche un grosso ramo con tanti rami più piccoli ancora attaccati e un sacco di foglie — praticamente mezzo cespuglio — che scende per pochi metri e poi si blocca. Finalmente ci fermiamo, tutti sudati, senza fiato, tremanti per la fatica e per lo shock ritardato. Lasciamo andare la grata e gettiamo l’ultimo ramo, che s’impiglia nel ramo grosso incastrato vicino all’imboccatura. Ci sediamo sulle foglie morte ai piedi della presa d’aria, con la schiena appoggiata alle pietre.

«Stai bene?» chiedo ad Andy dopo un po’.

Lui annuisce. Allungo una mano per toccarlo, ma lui si ritrae.

Restiamo seduti lì per qualche tempo; continuo a sollevare lo sguardo, sempre più terrorizzato all’idea che l’uomo non sia morto oppure che sia diventato uno zombie e si stia arrampicando su per il camino, verso di noi, che apra la grata e ci afferri entrambi per i capelli. Mi alzo e mi metto davanti ad Andy. Mi tremano ancora le gambe e ho la bocca asciutta.

Anche Andy si alza. «Una nuotata», dice.

«Come?»

«Andiamo… a fare una nuotata. Giù al lago, al fiume.» Lancia un’occhiata alla presa d’aria.

«Sì», annuisco, cercando di sembrare allegro e nient’affatto preoccupato. «Andiamo a fare una nuotata.» Mi guardo le mani. Sono tutte sporche e graffiate. C’è anche un po’ di sangue. Tremano ancora. «Buona idea.»

Usciamo dai cespugli del sottobosco nella vivida luce del sole.

Passano alcuni minuti, forse tre o quattro, durante i quali vengo preso da una sconcertante esplosione di speranza, di gioia, d’incomprensione e di timore. Non trovano il corpo in fondo alla presa d’aria.

Abbiamo attraversato i giardini e il bosco, la collina su cui Andy e io ci sdraiavamo al sole, durante tutte quelle estati ormai lontane, siamo scesi nella piccola valle e poi su di nuovo tra gli arbusti e gli scheletri color rosso scuro delle felci morte, fino ad arrivare agli alberi sulla sommità della collinetta. Da ovest soffiava un vento umido che scuoteva le gocce di pioggia dagli alberi alti e spogli e portava fino a noi i rumori della strada.

In tutto siamo circa venti persone, compresi i cinque o sei agenti che portano l’attrezzatura. Sono sempre ammanettato al sergente Flavell. Avevo creduto, ingenuamente, che organizzassero qualche operazione segreta per catturare Andy mentre assisteva al proprio funerale; mi ero immaginato poliziotti che, sussurrando nelle radio, sgattaiolavano nel sottobosco, lo circondavano e lo arrestavano. E invece eccoci qui, in metà di mille, che avanziamo rumorosamente nel bosco alla ricerca di un cadavere.

Ma il cadavere non c’è. Io insisto nel dire che c’è. Ribadisco che c’è il corpo di un uomo in fondo al camino della presa d’aria, e loro mi credono. Ci mettono parecchio ad aprirsi un varco tra gli arbusti per arrivare alla presa, devono segare i rami di rododendro e strappar via i cespugli di more e di altri arbusti; quindi fanno leva sotto la grata di ferro e la sollevano senza la minima difficoltà. Uno dei poliziotti più giovani, con tuta ed elmetto, si lega con la corda — in una delle Range Rover avevano quelle corde che usano gli scalatori — e si cala giù nell’oscurità.

McDunn ha una piccola ricetrasmittente con sé e sta ascoltando.

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