Iain Banks - Complicità

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Cameron, reporter del Caledonian e maniaco di computer game, si mette sulle tracce di un nemico crudele, un uomo solo che si erge a giudice, giuria e boia di tutti coloro che hanno commesso un errore troppo grave per essere perdonato. Quale oscura complicità lega Cameron all’inafferrabile serial-killer?

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Mi trascina tra gli alberi. Comincio a piangere e a divincolarmi, ma debolmente.

«La prego, signore, non stavamo facendo niente!» lo imploro, con tono lamentoso. «Non stavamo facendo niente! Davvero! Non stavamo facendo niente, glielo giuro! La prego, per favore, ci lasci andare, la prego, non lo faremo più, davvero, la prego, per favore…»

Con gli occhi pieni di lacrime mi volto e vedo Andy che ci segue tra i cespugli, disperato e incerto, mordendosi una nocca.

Siamo quasi arrivati in cima alla collina, dove i cespugli del sottobosco sono assai fitti. Quell’odore è molto forte; sento le ginocchia molli. Se l’uomo non mi tenesse con forza, credo proprio che crollerei a terra.

«Lo lasci!» urla Andy, e sembra che stia per scoppiare a piangere come me. Un minuto fa pareva così grande, e ora non è che un bambino.

L’uomo si ferma, mi fa girare con uno strattone e mi tiene contro il suo petto. Sento il suo calore dietro di me, e l’odore è ancora più forte.

Andy si avvicina a noi e si ferma a un paio di metri.

«Vieni qui!» urla l’uomo. Le goccioline di saliva cadono, formando un arco. Andy gli lancia un’occhiata e poi abbassa lo sguardo su di me. Gli trema la mascella.

«Vieni qui!» ripete l’uomo. Andy fa due passi. «Togliti i calzoni!» sibila poi, sempre rivolto ad Andy. «Su! Vi ho visti! Ho visto quello che stavate facendo! Togliti quei calzoni!»

Andy scuote la testa e retrocede.

Comincio a singhiozzare.

L’uomo mi dà uno strattone. «Bravo, tu!» Si china su di me, allunga una grossa mano verso la cerniera dei miei pantaloni e cerca di tirarla giù. Mi divincolo e gemo, ma non riesco a liberarmi. L’odore mi avviluppa. È lui: è il suo sudore, il suo odore.

«Lascialo stare, bastardo!» strilla Andy. «Tu non sei un poliziotto!» Non riesco a capire che cosa sta facendo, perché c’è il corpo dell’uomo in mezzo a noi; poi però Andy lo colpisce, facendolo rotolare all’indietro. L’uomo lancia un urlo e io riesco a liberarmi; scappo a quattro zampe in mezzo alle felci, mi fermo e vedo che l’uomo ha afferrato Andy, sta lottando con lui, gli sta sopra, lo schiaccia con il suo peso; Andy sta respirando affannosamente, grugnisce, cerca di liberarsi. «Bastardo! Lasciami andare! Tu non sei un poliziotto! Tu non sei un poliziotto!»

L’uomo non parla. Getta Andy a terra, tra le felci, libera una mano e gli dà un pugno sul viso. Andy si affloscia, poi ricomincia lentamente a muoversi. L’uomo ansima e, quando si volta verso di me, ha un’espressione risoluta. «Tu!» dice, sbuffando. «Tu! Resta dove sei! Resta lì, hai capito?»

Sto tremando così forte che quasi non riesco a vedere bene. Ho gli occhi pieni di lacrime.

L’uomo tira giù i calzoni ad Andy; lui si guarda intorno, frastornato, poi i suoi occhi si fissano su di me.

«Aiuto», dice con voce gracchiante. «Cameron… aiuto…»

«Ah, dunque ti chiami Cameron?» sibila l’uomo, lanciandomi un’occhiata e tirandosi giù i calzoni. «Resta dove sei, Cameron. Resta lì, d’accordo?»

Scuoto la testa e arretro di qualche passo.

«Cameron!» geme Andy. L’uomo sta armeggiando con le mutande e Andy cerca di scappargli da sotto. Continuo a barcollare all’indietro, rischio di cadere. Devo voltarmi per non inciampare; poi comincio a correre, non riesco più a fermarmi, devo assolutamente scappare. Corro via nel bosco, con le lacrime che mi bruciano sulla faccia, singhiozzando istericamente, il respiro che mi esce sibilando e a strappi dalla gola, bruciante, disperato e livido; le felci mi frustano le gambe e i rami sbattono sul mio viso.

Ieri sera ho dato i due nomi a McDunn, gli ho rivelato la professione di entrambi, poi non ho più fiatato, rifiutandomi di aggiungere altro a proposito di quei due e del cadavere. Lui ha continuato a succhiare aria tra i denti per un po’, cercando di convincermi a dire qualcosa di più; a pensarci, era quasi ridicolo, dato che era stata proprio quella sua abitudine a farmi improvvisamente venire in mente il tutto. Il dentista! Mi ero ricordato che, mentre ero a Stromeferry-noferry, ero andato a Kyle e poi mi era tornata in mente quell’immagine da incubo dell’uomo carbonizzato dopo l’esplosione: Sir Rufus, con le sue ossa annerite, i chiodi, le assi tutte bruciate e la mascella annerita e spalancata, che ricordava tanto una dentiera… e avevo pensato: Come hanno fatto a identificare Andy?

I due nomi hanno funzionato ancora meglio di quanto mi aspettassi. Riesco a intravedere una via d’uscita. Mi sento un Giuda, ma ho una via d’uscita: non con onore, forse, ma negli ultimi giorni ho avuto modo di riflettere molto su me stesso e ho dovuto ammettere che non sono poi quel personaggio eccezionale che mi piaceva credere di essere.

Mi ero immaginato in situazioni come questa, avevo mentalmente preparato discorsi sulla verità, sulla libertà e sulla salvaguardia delle proprie fonti, discorsi che avrei pronunciato dal banco dei testimoni per poi sentire il giudice che mi condannava a novanta giorni o a sei mesi, o a quello che era, per disprezzo della corte, ma mi stavo prendendo in giro, niente di più. Sì, è vero che sarei andato in prigione per proteggere qualcun altro o per difendere la libertà di stampa, ma il mio gesto sarebbe stato compiuto con lo scopo di fare bella figura. Sono proprio come tutti gli altri: un egoista. Ho individuato una via d’uscita e ho deciso d’imboccarla e il fatto che ciò sia una specie di tradimento non ha, per me, una grande importanza.

E comunque sto pagando per questo tradimento, raccontandogli del cadavere. Di per sé non prova nulla, ma è l’unico modo che ho per convincerli a portarmi a Strathspeld per il funerale: ormai posso guardare McDunn dritto negli occhi e raccontargli la verità; lui sa che quanto gli sto dicendo è vero, e mi ci porterà. Almeno credo.

E, forse, con il mio tradimento, riuscirò finalmente a liberarmi dal peso di questo orrore nascosto che mi ha tenuto legato ad Andy per vent’anni; e forse — dopo aver esorcizzato la colpa — sarò libero di tradirlo ancora una volta.

Questa mattina, McDunn è arrivato molto presto. Ci troviamo nella solita sala degli interrogatori. Il luogo mi è ormai familiare, sta diventando un po’ come una casa per me, sta assumendo un’aria di ambiguo conforto. McDunn è in piedi, dietro il tavolo, e sta fumando. Mi fa cenno di sedermi: obbedisco, sbadigliando. In realtà questa notte, per la prima volta da quando mi hanno portato qui, ho dormito abbastanza bene.

«Sono scomparsi tutti e due», mi comunica McDunn. Sta fissando il tavolo. Tira una lunga boccata dalla Benson Hedges. Una sigaretta farebbe piacere anche a me, anche se è un po’ presto, e il consueto attacco di tosse del mattino non è ancora terminato; tuttavia pare che McDunn abbia dimenticato le buone maniere.

«Halziel e Lingary», spiega, guardandomi fisso, con aria veramente preoccupata e, per la prima volta, inquieta, tesa, stanca. Sì, è cambiato tutto, qui a Paddington Green. «Sono scomparsi tutti e due», prosegue l’ispettore, chiaramente scosso. «Lingary da ieri, il dottor Halziel da tre giorni.»

Scosta una sedia dal tavolo e si siede. «Cameron, dimmi: di chi è il cadavere?»

Scuoto la testa. «Portatemi là.»

McDunn aspira aria tra i denti e distoglie lo sguardo.

Rimango in silenzio. Finalmente mi sento padrone della situazione. In teoria, potrei anche mentire spudoratamente, e avere qualche altro motivo per andare a Strathspeld — magari ho soltanto nostalgia della Scozia — eppure sono certo che lui sa che non sto mentendo, che un cadavere c’è davvero. Credo che me lo legga negli occhi.

McDunn sospira, mi fissa. «Tu lo sai, vero? Tu sai chi è.» Aspira aria tra i denti. «È lo stesso individuo che penso io?»

Annuisco. «Sì, è Andy.»

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