King ricambiò il sorriso e si guardò intorno. «Qui dispongono di un’eccellente lista di vini. Ti dispiace se ordino qualcosa di speciale?»
«Come ho appena detto, è bello farsi un po’ coccolare.»
«Se la memoria non mi inganna, hanno uno Château Ducru-Beaucaillou del 1982.»
«Ducru-Beaucaillou? Il mio francese è un po’ arrugginito.»
«Significa “splendidi ciottoli”» disse King, fissandola direttamente negli occhi. «Mi sembra appropriato.»
Le successive due ore trascorsero in un baleno e la conversazione passò da Kyle ad argomenti più personali.
«Io e George avevamo l’abitudine di venire a cena qui ogni anno per il nostro anniversario» disse Sylvia ammirando fuori della finestra la luna piena sospesa sopra di loro.
«È un bel posto per festeggiare» commentò King. «In effetti io ci ho portato Michelle quando abbiamo avviato la nostra agenzia.»
«Giacevo in un letto d’ospedale ancora intontita dall’anestesia, e seppi che era stato ucciso un paio di giorni dopo.»
«Perché eri ricoverata in ospedale?»
«Diverticoli al colon. Fu George a operarmi. Una volta iniziata l’operazione ci furono delle complicanze, ebbi una reazione all’anestesia e la pressione sanguigna precipitò pericolosamente. Scusa, non è un argomento da cena.»
«Deve essere un bell’impegno emotivo per un chirurgo operare la propria moglie.»
«Quel tipo di operazioni era la sua specialità. Credo che istintivamente sapesse che si potevano presentare delle complicazioni secondarie assolutamente imprevedibili in base agli esami, e aveva ragione. George era di gran lunga il miglior chirurgo della zona. Anzi, all’epoca era già rinomato a livello nazionale. Non potevo mettermi in mani migliori.» A un tratto si asciugò rapidamente gli occhi con un tovagliolo.
King le prese amichevolmente la mano. «So che è stato tutto molto doloroso per te, Sylvia. Mi dispiace tanto che tu abbia passato quei brutti momenti.»
La dottoressa emise un respiro profondo e si asciugò le lacrime. «Generalmente si pensa che con il tempo passi. Continuo a ripetermi che fa parte della vita. Ogni volta che eseguo un’autopsia sulla vittima di un omicidio cerco di convincermene. La morte, talvolta violenta, spesso ingiusta, fa parte della vita. Senza questo tipo di prospettiva filosofica non credo che potrei fare il mio lavoro.»
King levò il bicchiere per brindare a lei. «Un lavoro che svolgi straordinariamente bene.»
«Ti ringrazio. È bello sentirsi apprezzati.»
Sylvia lo guardò timidamente.
«Cosa c’è?» disse lui.
«Mi stavo solo chiedendo perché abbiamo smesso di frequentarci.»
«Cominciavo a chiedermi la stessa cosa.»
Sylvia gli sfiorò delicatamente la mano. «Forse dovremmo lavorarci sopra.»
«Forse dovremmo, sì» disse King.
Kyle era furibondo. Era arrivato al motel in perfetto orario, aveva bussato, e nessuno aveva risposto. Aveva aspettato fuori mezz’ora per vedere se lei sarebbe venuta. Ma non era arrivata. Poi aveva deciso di bussare di nuovo. Magari si era addormentata. Magari era drogata e via con la testa. Provò a girare il pomello della maniglia. Era chiusa a chiave! Si guardò in giro. C’erano solo due altre auto parcheggiate in cortile, ed erano lontane da quella zona del motel. Mentre si dirigeva verso la sua Jeep, una macchina entrò nel parcheggio. Kyle si fermò a guardare un grassone flaccido e una donnina minuscola in minigonna, che camminava ondeggiando in equilibrio precario su dei vertiginosi tacchi a spillo, scendere dall’auto e dirigersi verso una delle camere senza degnarlo di uno sguardo. Kyle scosse la testa. Be’, se non altro quel tizio non sarebbe andato in bianco. Salì in macchina e partì.
Per tutto il tragitto fino a casa pensò a come rintracciare la donna e punirla crudelmente per il suo ultimo scherzo. Più di tutto era fuori di sé per aver perso i cinquemila dollari promessi.
Entrò nel parcheggio condominiale, sbatté la portiera della Jeep e salì di corsa i gradini. Era passata l’una di notte e aveva perso alcune ore di sonno per niente. Ma si sarebbe preso la rivincita. Aveva quello che lei bramava, altri analgesici. Aveva lui il coltello dalla parte del manico. Sarebbe andato a cercarla all’Aphrodisiac. Se lavorava là, avrebbe scoperto chi era. In caso contrario, sarebbe salito in camera sua, l’avrebbe affrontata, avrebbe finto di battere in ritirata e poi l’avrebbe aspettata di fuori quando avrebbe lasciato il locale. L’avrebbe seguita fino a casa e scoperto la sua identità. Con quell’informazione scottante in mano l’avrebbe spremuta ben bene. Se si poteva permettere di spendere mille verdoni per delle pastigliette il cui costo effettivo non superava i cinquanta dollari, poteva permettersi di pagare una bella cifra per tenerselo buono.
Ora che aprì la porta dell’appartamento aveva già elaborato mentalmente la maggior parte del piano. Lo avrebbe attuato l’indomani.
Andò in camera da letto e premette l’interruttore. Solo che la luce non si accese. Ancora quella dannata lampadina. Poi notò il movimento sul letto. Era lei! Lì, nel suo appartamento. Era distesa sul letto, coperta soltanto da un lenzuolo. Perfino nella penombra Kyle riusciva a distinguere il foulard avvolto a turbante intorno al capo e gli occhiali da sole che portava sempre.
«Che cosa cazzo ci fai qui? Ti ho aspettata al motel per quasi un’ora.» Non gli venne affatto in mente di chiederle come faceva a sapere dove abitava.
Per tutta risposta la donna si tirò su, mettendosi seduta, lasciò cadere leggermente il lenzuolo sulle spalle, che erano nude. Questo gli aumentò subito la pressione e tutta la sua collera si dissipò rapidamente. Poi la sconosciuta tirò indietro il lenzuolo sulle gambe, con un gesto seducente, fino a scoprirsi le cosce. Anche le gambe erano nude. Kyle si sentiva eccitato ogni secondo di più, e l’effetto aumentò quando lei gli fece cenno di raggiungerla a letto.
«Niente pistola stavolta, okay?» riuscì a balbettare Kyle, sovreccitato.
La donna annuì e indicò la scrivania contro il muro. Kyle andò là e intravide nell’oscurità le banconote sparse sopra.
Quando tornò a guardarla, si era alzata ed era in piedi davanti a lui, a malapena coperta dal lenzuolo bianco. Con un rapido cenno della mano libera lo invitò ad andare verso il letto.
Kyle obbedì sorridendo. La donna lo aggirò alle spalle. Kyle si girò per fronteggiarla, con le spalle rivolte al letto.
Il lenzuolo scivolò a terra.
La mano destra della donna si alzò di scatto e Kyle raggelò. Gli sembrava che stesse stringendo nel pugno una pistola. Quando premette il grilletto, Kyle alzò le mani in un gesto protettivo, come per deviare il proiettile.
I due dardi appaiati sparati ad aria compressa e collegati a cinque metri di sottile cavo elettrico alla pistola Taser partirono e gli perforarono il cotone sottile della camicia. Con una scossa terribile, cinquantamila volt lo colpirono in pieno torace, quanto bastava per far crollare di schianto un guardalinee della National Football League di centocinquanta chili, figurarsi un assistente d’obitorio tutto pelle e ossa. La scarica elettrica gli inibì istantaneamente il sistema nervoso centrale e Kyle cadde all’indietro sul letto, dove si raggomitolò in posizione fetale per la contrazione muscolare.
Nonostante sarebbe rimasto immobilizzato per un bel pezzo, la donna si affrettò a raggiungere il letto e a togliergli dal torace i due dardi. Ripose la Taser nella borsa che giaceva sul pavimento e si infilò in fretta un paio di guanti. Poi estrasse dalla borsa una siringa.
Kyle guardò spaventato a morte la donna che gli rovesciava il braccio paralizzato, gli arrotolava la manica, gli legava un laccio emostatico di gomma sull’avambraccio per fargli gonfiare le vene, ne trovava una adatta allo scopo e gliela bucava con l’ago della siringa, iniettandogli tutto il contenuto. Poi con rapidità professionale gli levò il laccio emostatico e lo depose con la siringa vuota sul comodino accanto al letto.
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