David Baldacci - Il gioco di Zodiac

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Un uomo incappucciato scarica un sacco nella boscaglia. Dentro il sacco, un cadavere. È solo il primo di una serie di omicidi che funesterà la cittadina di Wrightsburg, in West Virginia. L’autore è un serial killer che si firma copiando i modus operandi di famosi assassini seriali. È possibile che gli omicidi abbiano una relazione con lo strano furto effettuato nella lussuosa residenza di un’aristocratica famiglia locale? Apparentemente no, ma l’istinto di Sean King e Michelle Maxwell dà spazio a entrambe le indagini. E sarà al termine di un.avventura rischiosa che Sean e Michelle arriveranno alla fine della storia. Per vedere quanto l’uomo può essere cattivo e quali cose è pronto a fare perché i suoi segreti rimangano tali.

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Avvertì una presenza dietro di sé, ma prima di avere il tempo di urlare una mano coperta da un guanto si strinse a morsa intorno al suo collo, togliendole completamente il respiro e con esso la voce. Una presa fortissima le cinse la vita, imprigionandole entrambe le braccia sui fianchi. Terrorizzata, Diane Hinson si ritrovò a faccia in giù sul pavimento, incapace di muoversi o strillare, mentre un bavaglio le riempiva la bocca e le mani le venivano frettolosamente legate dietro la schiena con il cavo del telefono.

Come avvocato penale aveva difeso degli stupratori, riuscendo a far assolvere uomini che sarebbero dovuti rimanere dietro le sbarre. Aveva riflettuto su quelle vittorie professionali. Ora, mentre giaceva a faccia in giù sul pavimento, con un peso sulla schiena che la schiacciava, si preparò a essere stuprata. Con opprimente terrore sapeva che da un istante all’altro l’aggressore le avrebbe abbassato le mutandine e l’umiliante, dolorosa violenza sessuale sarebbe iniziata. Nauseata dalla paura, si disse che se non avesse opposto resistenza, e lo avesse lasciato fare a modo suo, forse sarebbe sopravvissuta a tutto ciò. Non lo aveva visto in faccia. Non poteva in alcun modo identificarlo. Lui non avrebbe avuto alcun motivo per ucciderla. «La prego» tentò di dire attraverso il bavaglio «non mi faccia del male.»

La sua implorazione restò inascoltata.

Il pugnale penetrò con forza nella schiena, sfiorò il lato sinistro del cuore, venne estratto dal corpo e vibrato di nuovo con forza, producendole un foro di cinque centimetri nel polmone sinistro e recidendole l’aorta mentre veniva di nuovo estratto. Ora della fine, una dozzina di squarci le chiazzavano il dorso. Diane Hinson, però, era già morta alla quarta pugnalata.

L’uomo con il cappuccio nero si chinò su di lei, facendo attenzione a non camminare nella pozza di sangue sul tappeto, e mise Diane Hinson supina. Le alzò la T-shirt, estrasse di tasca un pennarello Sharpie e le disegnò un simbolo sul ventre piatto. Tracciò lo stesso segno sul muro dietro il letto. Lo disegnò in grande, perché non voleva rischiare che nessuno lo vedesse. I poliziotti a volte erano dei tali imbecilli!

Tornò accanto al corpo e sganciò con cura la cavigliera della donna, la stessa che aveva ammirato nel parcheggio del centro commerciale, e se la mise in tasca.

Lasciò il pugnale vicino al fianco della sua vittima: non poteva ricondurlo a lui. L’aveva preso dal cassetto della cucina quando si era intrufolato in casa poco prima. Era rimasto nascosto al buio dietro i cespugli vicino alla porta del garage della donna, in attesa che tornasse a casa. Quando lei aveva aperto il garage, aveva aspettato che scendesse dall’auto ed entrasse in casa. La maggior parte della gente chiude la serranda del garage prima di entrare in casa con il pulsante di comando posto vicino alla porta che separa il garage dall’abitazione. Lei non lo aveva visto sgattaiolare dentro.

Le liberò le mani dal cavo del telefono e, sollevatole un braccio, lo appoggiò su un cassetto semiaperto del comò. Al centro commerciale aveva notato che la donna portava l’orologio, perciò non si era preoccupato di procurarsene uno. Regolò le lancette dove desiderava che fossero e lasciò tirato il perno, bloccando l’ora sul quadrante. Non disse nessuna preghiera sul corpo. Però borbottò qualcosa sul fatto che questo doveva servirle da lezione per non aver conservato lo scontrino di prelievo allo sportello automatico della banca.

Passò in rassegna con metodo la camera in cerca di potenziali prove della sua presenza, ma non ne trovò nessuna. Impronte digitali o delle palme erano fuori discussione. Non solo aveva indossato i guanti, ma aveva incollato con il mastice dei tondini di feltro sulla punta delle dita e sulle palme. Da una tasca del cappotto sfilò un piccolo aspirapolvere tascabile a batterie e lo passò sul pavimento e sotto il letto dove si era nascosto. Fece la stessa cosa nell’armadio a muro in cui si era infilato in un primo momento, e continuò a pulire le scale e infine il garage.

A lavoro ultimato si tolse il cappuccio, indossò una barba posticcia e un cappello, e uscì in strada dalla porta posteriore. Raggiunse a piedi la sua auto, che aveva posteggiato in una strada laterale fuori dallo stravagante residence cintato, con la sua anziana guardia giurata disarmata. La Volkswagen si avviò al primo colpo. Si allontanò rapidamente, ma senza violare il limite di velocità imposto in quella zona. Doveva scrivere un’altra lettera. E sapeva esattamente cosa voleva dire.

23

Sean King si svegliò di buon’ora sulla houseboat di dodici metri ancorata al suo posto d’attracco sul molo. La casa galleggiante presa in affitto era la sua casa, almeno finché non avesse finito di costruirsi una nuova abitazione che sostituisse quella sparita in un cratere provocato dalla mano di un uomo. Indossò una muta da sommozzatore, inspirò una rapida boccata d’aria e poi si tuffò di testa nell’acqua. Dopo una nuotata energetica di parecchie centinaia di metri, tornò alla houseboat e iniziò una vogata di due miglia a bordo del suo kayak Loon. Le salutari abitudini sportive della sua socia lo stavano contagiando, doveva ammetterlo, anche se a malincuore.

Proprio mentre stava pagaiando sul lago pensando a questo, alzò lo sguardo e la vide. Non rimase sorpreso, nonostante l’ora. Spesso si domandava se Michelle dormisse. Poteva darsi che la sua socia fosse in realtà un vampiro che non aveva problemi con la luce del sole?

Michelle era sulla sua canoa da gara e vogava con una perizia, una forza e un’intensità che King poteva solo sognarsi. Si muoveva così in fretta che chiunque non la conoscesse avrebbe creduto che la sua imbarcazione fosse spinta da un motore entrobordo.

King la richiamò con un grido, e le sue parole furono portate lontano sopra le acque piatte.

«È ora di un bel caffè, o stamattina hai intenzione di arrivare fino all’Atlantico?»

Michelle sorrise, lo salutò agitando la mano e si diresse verso di lui.

Issarono le rispettive imbarcazioni sul pontile e le legarono.

Nella casa galleggiante King preparò il caffè, mentre Michelle estraeva una barretta energetica dal suo marsupio e cominciava a divorarla, guardando intorno a sé l’interno molto bene organizzato.

«Sai una cosa? Questo barcone è quasi più grande del mio cottage» osservò tra un morso e l’altro.

«Ed è molto più pulito, lo so» disse King, versando il succo di frutta e il caffè.

Erano trascorsi due giorni dal colloquio con Lulu e Junior. Avevano riferito ogni cosa a Harry Carrick, che era parso soddisfatto dei loro progressi, ma li aveva informati che il suo cliente, com’era prevedibile, era stato rinviato a giudizio dal gran giurì. Era stato rintracciato il falegname che aveva costruito gli scomparti segreti nei guardaroba dei Battle. Era un tipo anziano, in pensione, e sembrava non avere alcun motivo di commettere un’effrazione nell’abitazione dei suoi ex clienti. Quella traccia era sembrata un vicolo cieco finché King non gli aveva domandato quando Robert Battle gli aveva chiesto di installare nel suo guardaroba un cassetto segreto.

A quella domanda, il vecchio era parso un po’ a disagio. “Non mi piace spifferare ai quattro venti i segreti della gente” aveva detto. “Mrs Battle è una gran dama. Non conosco una signora più fine di lei.”

“Sicché Mr Battle non voleva che sua moglie lo sapesse, eh?” lo aveva pungolato Michelle quando il vecchio era parso poco incline a proseguire.

“Entrare e uscire di nascosto quando lei non era presente non mi andava, nossignore” aveva ribattuto l’uomo, evitando di rispondere direttamente alla domanda.

“Ha idea del motivo per cui Mr Battle voleva un nascondiglio del genere?” aveva domandato allora King.

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