«Ha mantenuto il suo cognome da nubile?» domandò Michelle.
«Non ho nessun fratello» spiegò Lulu. «Le mie sorelle hanno preso il cognome del marito. Volevo solo tener vivi gli Oxley almeno finché campo.»
«Lavora all’Aphrodisiac, vero?» domandò King.
Lulu parve leggermente stupita. «Esatto, come fate a saperlo?» Poi di colpo sorrise. «Non mi dica che ci è stato.»
King le restituì il sorriso. «Una volta. Anni fa.»
«All’inizio, quando cominciai a lavorarci, era più che altro un bordello. Si chiamava Love Shack, sapete, da quella canzone dei B-52. Ma per me aveva un potenziale maggiore. Con gli anni lo abbiamo trasformato in un bel club accogliente. D’accordo, abbiamo ancora le ballerine e gli spogliarelli, ma solo in un settore del locale, quello originario. Gran parte dei lavori di ristrutturazione è stata eseguita da Junior. Dovreste vedere com’è adesso: colonne di legno tornite, splendide modanature, tappezzerie e tendaggi raffinati. Abbiamo un ristorante veramente bello, con tovaglie di lino e porcellane, una sala da biliardo e un’altra saletta per giocare a carte, un piccolo cinema-teatro e un bar di prima classe con una zona riservata ai fumatori di sigari; e di recente abbiamo inaugurato un club per uomini d’affari locali. Sapete, un posto in cui trovarsi a proprio agio e coltivare le pubbliche relazioni. Abbiamo delle postazioni Internet per i clienti e un centro per riunioni d’affari. L’anno scorso gli incassi hanno registrato un aumento dell’ottantasei per cento, ed è stato l’anno migliore degli ultimi dieci. E io ho spinto parecchio per cambiare il nome al locale con qualcosa un po’ più…»
«Di gusto?» suggerì Michelle.
«Sì.» ribatté Lulu. «Sono socia e comproprietaria del club che costituisce sia la pensione mia che di Junior. Voglio che renda il più possibile. Tengo sotto controllo i costi, siamo in pari con i debiti dei mutui in corso e abbiamo un notevole flusso di contanti in entrata e ben poca concorrenza diretta. Il nostro target di clientela è d’oro: maschi a reddito molto elevato a cui non importa quanto si spende. Dovreste vedere il nostro budget in confronto al passato.»
«Lei sembra proprio una donna d’affari» disse Michelle.
«Non è cominciata proprio così. Non ho neppure finito le superiori. Mio padre fu colpito da un aneurisma quando avevo solo sedici anni. Lasciai la scuola per dare una mano a curarlo. Immagino di non essere stata tanto brava come infermiera, visto che morì comunque. Ma poi sposai Junior, mi iscrissi di nuovo a scuola e mi presi il diploma, dopo di che frequentai dei corsi alla facoltà di economia e commercio all’università. Cominciai a lavorare part-time al Love Shack.» Lulu fece una breve pausa e si affrettò ad aggiungere: «Come cameriera. Non ho le doti fisiche necessarie per fare la ballerina. Ho lavorato sodo, ho fatto carriera e ho imparato tutto quello che c’è da sapere in quel campo, e ora eccomi qui».
«E una delle vostre ballerine è stata appena assassinata», disse King.
Lulu si irrigidì. «Come fate a saperlo?»
«Siamo una specie di consulenti non ufficiali del capo Williams» spiegò King.
«Era una delle nostre ex ballerine» lo corresse Lulu.
«La conosceva?» domandò Michelle.
«Molto poco. Abbiamo una quantità di ballerine che vanno vengono. La maggior parte non si ferma a lungo: è il tipo di lavoro. Ed è tutto in regola. Non permettiamo nessun’altra attività, a parte la danza. Non rischiamo di perdere la licenza solo perché qualche ragazza vuole arrotondare lo stipendio aprendo le gambe.»
«Rhonda Tyler voleva fare così?» chiese Michelle. «È per questo che se n’è andata?»
«Ho già detto tutto alla polizia. C’è qualche motivo perché debba ripetere tutto a voialtri?»
«Non c’è proprio alcun motivo» disse King.
«Bene, perché ho già abbastanza pensieri per la testa senza dovermi preoccupare del perché una ragazza si è fatta ammazzare.»
«Dubito che Rhonda lo desiderasse» osservò Michelle.
«Tesoro» disse Lulu «lavoro in questo campo da troppo tempo e ho visto così tanto che niente, e intendo dire proprio niente, potrebbe sorprendermi ancora.»
«Stavo pensando la stessa cosa» disse King.
Mentre si allontanavano in auto, Lulu restò a guardarli un momento, e poi sparì dentro la roulotte.
Michelle tenne d’occhio i suoi movimenti nello specchietto retrovisore laterale. «Ha detto di conoscere poco la donna uccisa, eppure è stata capace di identificarla dal semplice identikit fatto circolare, ed era a conoscenza del tatuaggio inguinale. Ma dài… non è un po’ contraddittorio?»
«Potrebbe anche darsi» fu il commento di King.
«E mentre Junior può essere troppo scemo da non saper cosa fare con dei titoli al portatore e dei gioielli, credo che sua moglie sia fin troppo scafata per non essere in grado di vendere a qualche ricettatore quella roba e ricavarci un bel mucchio di bigliettoni.»
«Se questo dovesse dimostrarsi esatto, il nostro cliente è colpevole.»
Michelle si strinse nelle spalle. «A volte va proprio così. E ora che si fa?»
«Vediamo di rintracciare chi ha costruito quegli scomparti segreti nei guardaroba dei Battle. Verifichiamo gli alibi degli amici di Junior, e andiamo a riferire a Harry tutto quello che abbiamo fatto finora.»
«E aspettiamo che venga commesso il prossimo omicidio» soggiunse Michelle con un sospiro.
Diane Hinson lasciò il suo studio legale nella zona centrale di Wrightsburg alle sette di sera, come faceva quasi sempre. Si mise al volante della sua Chrysler Sebring ultimo modello e partì. Si fermò a prendere una cena take-away a un ristorante locale, si diresse verso i cancelli del suo residence cintato, salutò con la mano l’anziana guardia giurata — che non portava pistola e avrebbe potuto facilmente essere sopraffatta da una coppia di dodicenni — e proseguì verso la sua casa, situata in fondo a una via chiusa.
Quell’anno le cose si erano messe bene per Diane Hinson. Era diventata socia del Goodrich, Browder and Knight, il secondo studio legale di Wrightsburg, e finalmente aveva conosciuto un uomo che pensava fosse quello giusto, un ragioniere di un metro e novanta e di quattro anni più giovane di lei, a cui piaceva fare rafting ed era capace di tanto in tanto di batterla sul campo da tennis. Diane sentiva che da un giorno all’altro lui si sarebbe lasciato scappare la domanda fatidica, e la sua risposta sarebbe stata un sì immediato. Inoltre, aveva portato nello studio legale un nuovo cliente con parcelle a sei cifre, il che avrebbe aumentato consistentemente il suo reddito personale. Aveva idea di trasferirsi presto in una villetta unifamiliare. Farlo con la fede all’anulare sinistro e un marito con cui invecchiare, per la trentatreenne avvocatessa sarebbe stata la realizzazione di un sogno.
Parcheggiò la macchina in garage ed entrò in casa. Mise la cena nel forno a microonde, indossò una tuta sportiva e uscì. Tre miglia e poco più di venti minuti dopo rientrò in casa un po’ sudata, ma quasi per nulla a corto di fiato. Rispettabile podista sulle medie distanze ai tempi dell’università, e impegnata tennista dilettante, nonostante gli anni si era mantenuta in eccellente forma fisica.
Fece la doccia, consumò la sua cena, sintonizzò la TV su un programma che non vedeva l’ora di godersi e ricevette una telefonata dal suo bel ragioniere, che si trovava a Houston per una revisione dei conti, della sua società. Dopo alcuni sospiri e promesse di sesso memorabile non appena tornato a casa, Diane riagganciò, guardò l’ultimo telegiornale della sera, notò che era quasi mezzanotte e spense la TV. In bagno si svestì e si infilò una lunga T-shirt che teneva appesa al gancio dietro la porta e si diresse in camera da letto.
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