Un altro colpo alla porta. LuAnn sobbalzò in preda al panico.
— LuAnn?
— Cha… Charlie?
— Perché, aspetti qualcun altro?
— Un momento solo…
LuAnn strappò dal giornale la pagina con l’articolo e se la ficcò in tasca. Poi ripiegò il resto del quotidiano e lo infilò sotto i cuscini del divano. Finalmente, andò ad aprire.
— Grande idea cercare di individuare un ipotetico pedinatore in una strada piena di gente — disse Charlie entrando. Si tolse il soprabito e si accese una sigaretta, non resistendo all’impulso di gettare un’ulteriore occhiata dalla finestra. — Eppure non riesco a scrollarmi di dosso la sensazione che qualcuno ci stesse seguendo…
— Magari era uno che voleva rapinarci. Succede spesso da queste parti, non è così, Charlie?
Lui scosse il capo. — È vero che ultimamente i balordi si sono fatti temerari, ma se qualcuno voleva davvero rapinarci, faceva il colpo e scappava a tutta birra. Tirare fuori una pistola di fronte a mezzo milione di persone? Poco probabile. Eppure la sensazione resta: qualcuno ci ha seguito. — Si voltò verso di lei. — È successo niente di strano mentre ero via?
LuAnn scosse a sua volta il capo, gli occhi spalancati, timorosa di dire qualsiasi cosa.
— Non sarà che qualcuno ti ha seguita fin qui a New York, vero?
— Non ho visto nessuno. Te lo giuro, Charlie. Senti… Io ho paura adesso.
— Ehi, ehi… calma — la invitò cingendole le spalle con fare protettivo. — Va tutto bene. Probabilmente è solo Charlie-il-paranoico che insegue il nulla. Ma vuoi saperne una? Certe volte a essere paranoici non è poi così male. Senti, andiamo a fare un altro po’ di shopping. Ti farà sentire subito meglio.
Le dita di LuAnn tormentavano il pezzo di carta che teneva in tasca. Sentiva il cuore martellarle in gola, come se fosse alla ricerca di uno spazio più ampio nel quale esplodere una volta per tutte, tuttavia quando rialzò lo sguardo, il suo volto appariva del tutto calmo e rilassato. — Lo sai di che cosa ho davvero voglia, Charlie?
— Tu dillo, ed è affare fatto.
— Una sistematina ai capelli. E magari anche la manicure. Mi sembrano uno schifo i miei capelli. E per la conferenza stampa voglio essere tutta a posto.
— Avrei dovuto pensarci io. Nessun problema, prendiamo l’elenco del telefono e troviamo uno di quei saloni di bellezza per straricchi sulla Quinta Avenue…
— Ce n’è uno proprio quaggiù nell’ingresso del nostro albergo — disse LuAnn precipitosamente. — L’ho visto mentre entravamo. Fanno tutto: capelli, unghie, faccia. E mi sembrava proprio niente male.
— D’accordo, allora.
— Dai tu un’occhiata a Lisa?
— Perché? Non veniamo giù anche noi?
— Ma andiamo, Charlie. E sì che tu devi saperlo…
— Cosa, dovrei sapere?
— Che gli uomini non vanno nei saloni di bellezza a guardare quello che succede. Siamo noi donne che lo vogliamo tenere segreto. Se voi sapete che storia è farsi belle, allora il trucco è finito. Ma qualcosa sì che la puoi fare.
— Cioè?
— Farmi un sacco di complimenti quando torno.
Charlie sogghignò. — Fin lì, ci arrivo.
— Non so quanto tempo ci vuole. Mi sa che non mi fanno passare subito. Se a Lisa viene fame, c’è un biberon pronto nel frigo. Forse vuole anche giocare. Dopo la puoi mettere a nanna.
— Prenditela calma. Per il momento non ho niente da fare. Dammi solo una birra, un po’ di televisione… — e così dicendo Charlie andò a prendere la piccola dal passeggino — e la compagnia di questa signorinella, e io sono un bambino contento.
LuAnn prese il cappotto.
— Un momento — fece lui inarcando un sopracciglio. — Per che cosa ti serve quello?
— Devo fare alcune spese. C’è un negozio appena dall’altra parte della strada.
— C’è un negozio anche nell’atrio.
— Se però i loro prezzi sono cari come quelli dell’altro albergo, io attraverso la strada e mi risparmio un po’ di soldini.
— LuAnn, tu sei una delle donne più ricche del mondo. O te lo sei scordato? Se tu volessi, ti potresti comprare questo intero albergo.
— Charlie, mi sono dannata l’anima a risparmiare monetine tutta la vita. — LuAnn aprì la porta, sperando che lui non si rendesse conto della sua agitazione. — Non puoi pretendere che cambio dalla sera alla mattina, no?
Lui corrugò la fronte, senza trovare niente da ridire.
— Torno appena posso.
Charlie fece un passo verso la porta. — Non mi va. Jackson è stato chiaro: dove vai tu, vado anch’io.
— E dai, Charlie… sono una bambina grande. So badare a me stessa. E poi come la mettiamo con Lisa che deve fare il pisolino? Non possiamo lasciarla da sola.
— Be’, no…
— Tu stai con lei, va bene? — LuAnn diede un bacetto a Lisa e una strizzatina al braccio di Charlie. — Io faccio in fretta e ci vediamo presto.
Charlie la osservò andarsene. Poi, come da programma, prese una birra dal frigobar e si mise a guardare la televisione con Lisa sulle ginocchia. Ma la sua fronte rimase corrugata. E il suo umore perplesso.
Attraversare la strada. Risparmiare soldini. Bambina grande…
Charlie decise di fare del proprio meglio per coinvolgere Lisa nelle delizie dello zapping.
Il monolite incombeva su di lei. La guglia sulla sommità era simile alla punta di una lancia che perforava il cielo.
LuAnn Tyler non ebbe né il tempo né la possibilità di ammirare la temeraria architettura dell’Empire State Building. Il braccio estraneo venne a infilarsi sotto il suo nell’attimo stesso in cui lei scendeva dal taxi.
— Da questa parte.
Una voce d’uomo levigata, confortante. Ma anche del tutto raggelante.
— Facciamo due chiacchiere.
LuAnn si liberò dalla stretta. L’uomo era alto, dalle spalle larghe. Folti capelli scuri intorno a un volto rasato di fresco, occhi neri pieni di determinazione.
— Cosa vuoi da me? — Adesso che LuAnn poteva vederlo, la sua paura sembrò diminuire.
— La sai una cosa, signorina Tyler — disse Anthony Romanello gettando un’occhiata intorno — perfino a New York finiremmo con attirare l’attenzione facendo questo genere di conversazione qui in strada. Lo vedi quel bar sull’altro marciapiede? Suggerisco di fare là la nostra chiacchierata.
— Perché?
— Perché tu hai letto sia il mio bigliettino sia l’articolo su quel giornaletto di provincia. — Romanello incrociò le braccia e le offrì un sorriso mellifluo. — Altrimenti non ti troveresti qui.
— Li ho letti. — LuAnn fece uno sforzo per mantenere ferma la voce.
— Allora muoviamoci.
— E tu che diavolo c’entri? Spacci anche tu droga?
Il sorriso svanì dal volto di Romanello. — Ora stammi a sentire…
— Io non ho ammazzato nessuno — dichiarò LuAnn con durezza.
— Abbassa la voce, cazzo!
LuAnn lo folgorò con un’occhiata. Poi si girò e cominciò ad attraversare la strada, puntando verso il bar. Romanello la seguì da vicino.
Si sedettero a un tavolo verso il fondo del locale, nella parte meno illuminata.
Romanello ordinò del caffè. Con fare ospitale, tese a LuAnn il menù. — Mangi un boccone?
— Mangiatelo tu, il boccone.
— E va bene, piantiamola con i preamboli e veniamo dritti al punto…
— Tu come ti chiami?
La domanda colse Romanello in contropiede. — Perché?
— Dammene uno. Da queste parti sembra che hanno tutti un nome inventato.
— Di che accidenti vai… — Romanello s’interruppe, ci pensò su e fece retromarcia. — D’accordo, chiamami Arcobaleno.
— Ma che carino, tutto colorato. Mai visto un arcobaleno come te prima di oggi.
— Ed è qui che ti sbagli — gli occhi di Romanello si accesero di un lampo avido. — Perché c’è sempre una pentola piena d’oro alla fine dell’arcobaleno.
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