— E queste qui? — Lo sguardo di LuAnn era caduto sul set di valigie nuove di zecca, sistemate in un angolo della suite. — Da dove vengono?
— Vuoi andare in Svezia senza l’opportuno bagaglio? — domandò Charlie sogghignando. — Non penso proprio, LuAnn. Questa è roba di prima qualità che ti dura una vita, non quelle schifezze da due soldi che come le guardi ti resta la maniglia in mano. Una te l’ho già fatta riempire per il viaggio. Cose per Lisa e anche per te. Ci ha pensato una mia amica. Oggi facciamo compere in modo da riempire anche tutte le altre.
— Charlie…
LuAnn lo abbracciò e gli diede un bacio sulla guancia, mentre lui guardava altrove con fare imbarazzato.
— Ehi, non è poi questo grande affare di Stato. — Tirò fuori di tasca un sottile libretto dalla copertina blu scuro, con sopra impressa un’aquila dorata ad ali spiegate, e glielo porse. — Questo è tuo.
Un passaporto degli Stati Uniti d’America.
LuAnn lo aprì, lesse il nome sotto la propria foto. Il nome della propria reincarnazione.
Richiuse lentamente il passaporto. La soglia verso un altro mondo e verso una nuova esistenza.
— Inizio del viaggio, LuAnn. Per te e per Lisa. Tutto il mondo e anche di più! — Charlie si preparò a uscire. — Vado a controllare un paio di cosette. Torno tra non molto…
— Charlie.
Lui si fermò e si girò.
LuAnn stava tormentando il passaporto con le dita. Aveva le guance arrossate. — Perché non vieni con noi?
— Che cosa?
— Io, ecco, pensavo… — tentennò LuAnn prima di lasciarsi andare in un unico flusso, senza riuscire a guardarlo negli occhi. — Adesso ho tutti questi soldi. E tu sei stato così buono con noi. Cioè, io non sono mai stata da nessuna parte. Per cui, ecco, se ti fa piacere venire con noi… Voglio dire, se vuoi, vieni. Ma se non vuoi, io ti capisco…
— È un’offerta incredibilmente generosa, LuAnn — disse dolcemente Charlie. — Ma tu non mi conosci, non sai nemmeno chi sono. È una grossa responsabilità da prendersi verso qualcuno che non si conosce.
— Io di te conosco tutto quello che c’è da conoscere — replicò lei, caparbia. — So che sei un brav’uomo. So che hai avuto cura di noi. E so che tu a Lisa piaci da matti. E per come la penso io, questo mi fa conoscere tutto quello che mi serve.
Charlie rivolse un gran sorriso alla bambina, poi tornò a guardare LuAnn.
— Pensiamoci su, LuAnn. Sia tu che io. Pensiamoci su e vediamo che cosa ne viene fuori, d’accordo?
— Senti, Charlie, non è che ti chiedo di sposarmi — aggiunse lei scrollando le spalle e rimuovendo un ciuffo ribelle dagli occhi. — Se è questo che hai nella testa…
— Figurati! — esclamò lui sorridendole. — Io che sono abbastanza vecchio da essere tuo nonno.
— Però mi piace l’idea di averti con me. Non ho avuto molti amici, specie quelli sui quali ci si può contare. Ma io so che posso contare su di te. Perché tu sei mio amico, vero?
— Vero.
C’era una sfumatura rauca nella voce di Charlie. Lui se ne liberò con un colpetto di tosse, tornando ad assumere un tono professionale. — Ho capito quello che mi hai detto, LuAnn. Ne riparliamo al mio ritorno. Te lo prometto.
La porta si chiuse alle sue spalle. LuAnn cullò Lisa per farle prendere sonno, camminando avanti e indietro di fronte all’ampia finestra della stanza. Vide Charlie che usciva dal palazzo, lo seguì con lo sguardo fino a quando non venne inghiottito dalla folla di New York. Non le era sembrato che qualcuno lo pedinasse. Ma con così tanta gente in strada, chi poteva dirlo con certezza?
LuAnn sospirò a fondo, la fronte aggrottata. Si sentiva fuori posto. La sola cosa che le interessava era che Charlie rientrasse sano e salvo. E poi c’era sempre quella maledetta conferenza stampa del giorno dopo. Un mucchio di buffoni che le avrebbero fatto un mucchio di domande da buffoni. Meglio non pensarci. Aveva i nervi già abbastanza scossi.
Un colpo alla porta la fece sobbalzare. LuAnn fissò l’ingresso con occhi sbarrati, incerta sul da farsi.
— Chi è?
— Servizio in camera.
LuAnn andò a guardare dallo spioncino. La piccola lente le rimandò l’immagine distorta di un giovanotto con la livrea dell’hotel.
Fu costretta a compiere uno sforzo per evitare che la sua voce tremasse. — Io non ho ordinato niente.
— C’è una busta per lei, signora. E un pacchetto.
LuAnn si ritrasse dalla porta come se fosse diventata di colpo rovente. — E di chi è?
— Non saprei, signora. Un uomo giù nell’atrio mi ha chiesto di portarglieli su.
Charlie. Doveva essere stato Charlie… — Le ha detto di portarli su a nome mio?
— No, signora. L’ha vista entrare in ascensore e mi ha detto di darli proprio a lei — spiegò pazientemente il fattorino. — Se non li vuole adesso, posso metterli nella sua casella postale giù alla reception.
— No, li prendo adesso.
LuAnn aprì la porta di un palmo, stese un braccio e quasi strappò il pacchetto dalle mani del giovanotto, chiudendogli la porta in faccia. Per un po’, il fattorino rimase immobile nel corridoio deserto, scocciato per la perdita di tempo e per la mancata mancia. Ma non aveva poi tanta importanza, a questo ci aveva già pensato il tizio giù nell’atrio.
La nota era scritta, su carta da lettera dell’albergo. Nessuna calligrafia riconoscibile.
Cara LuAnn,
hai qualche notizia di Duane? E magari anche di quell’altro tipo? A proposito, con che cosa lo hai colpito, un’incudine forse? Morto stecchito. Spero ardentemente che la polizia non scopra che c’eri anche tu in quella vostra graziosa roulotte. Piaciuta la storiella, LuAnn? Non ti fa sentire nostalgia di casa? Facciamo due chiacchiere. Tra un’ora. Prendi un taxi e fatti portare all’Empire State Building. Non hai idea di come sia il panorama lassù. Il gorilla e la piccola lasciali a casa, okay?
LuAnn strappò la carta marrone del pacchetto e un giornale cadde a terra. Lo raccolse e lo aprì. Era l’ Atlanta Journal and Constitution , il quotidiano delle sue parti. Una delle pagine interne era stata evidenziata con un talloncino adesivo giallo. LuAnn aprì alla pagina in questione, lesse un titolo e vide la foto che lo accompagnava.
Un invisibile nodo scorsoio cominciò a strangolarla, sempre più stretto e micidiale.
Nella foto sgranata in bianco e nero, la Airstream nella radura, circondata dal consueto labirinto di rottami e relitti, appariva addirittura più miserabile di quanto fosse in realtà. Nient’altro che un rifiuto un po’ più grosso degli altri, in attesa che il camion dei rifiuti arrivasse a prelevarlo. C’era anche la macchina decappottabile, con il suo osceno fregio cromato alla fine del lungo cofano puntato verso la roulotte. Pareva un cane da punta che dicesse al suo padrone dov’erano cadute le pernici.
Due uomini uccisi, diceva l’articolo. Un affare di droga. Sul nome di Duane Harvey, il testo si fece improvvisamente sfuocato, come filtrato da una barriera liquida. Quella barriera erano lacrime. LuAnn sedette sul divano della stanza, cercando di controllarsi. L’altro uomo non era stato ancora identificato. La terza persona domiciliata nella Airstream invece era stata identificata con certezza: LuAnn Tyler. La polizia di Rikersville la stava cercando. Anche in quel preciso momento. LuAnn Tyler era forse sospettata di qualche crimine? L’articolo non lo diceva. In compenso sottolineava che la sua scomparsa poteva solo far aumentare i sospetti della polizia. Era stata Shirley Watson a scoprire i cadaveri. Sulla scena era stata anche trovata una latta piena di acido da batteria. Gli occhi di LuAnn si strinsero. Acido da batteria. Quella flaccida troia di Shirley era tornata per pareggiare i conti, questo era fin troppo chiaro. In ogni caso, con due omicidi sul groppone, la polizia non avrebbe perso tempo con un crimine solo tentato.
Читать дальше