David Baldacci - Il biglietto vincente

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l destino sembra sorridere a LuAnn, giovane disoccupata: il misterioso signor Jackson le offre infatti il biglietto vincente di una lotteria che vale milioni di dollari. Ma prima di riuscire a godere della sua grande occasione, la ragazza trova a casa il cadavere del suo uomo in un lago di sangue e si scopre braccata dalla polizia, preda di una trappola mortale.
Un intrigo micidiale, costruito come un congegno a orologeria.

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I primi tre messaggi erano insignificanti, il quarto lo fece sobbalzare. Abbassò il capo verso l’apparecchio, cercando di catturare ogni parola.

Alicia Grane aveva un tono nervoso, spaventato. “Thomas, dove sei? Ho un brutto presentimento in merito a questa storia sulla quale stai lavorando… Veramente brutto… Chiamami, ti prego. A qualsiasi ora del giorno o della notte.”

Jackson restò immobile nell’anticamera immersa nell’oscurità, a fissare l’apparecchio. Quindi riavvolse il nastro e lo riascoltò. Infine trasportò gli scatoloni in macchina e lasciò l’appartamento.

49

LuAnn lanciò un’occhiata alla struttura bianca del Lincoln Memoria] mentre passavano con la Honda sul Memorial Bridge, strangolato dal traffico dell’ora di punta del mattino. Sotto, il Potomac scorreva plumbeo e leggermente increspato. Avevano passato la prima notte di fuga in un motel vicino a Fredericksburg, cercando di decidere le loro prossime mosse. Si erano poi spostati nella zona di Washington e avevano trascorso la seconda notte in un altro motel, ad Arlington. Riggs aveva fatto alcune telefonate e visitato certi negozi specializzati. Più tardi, erano rimasti chiusi nella loro stanza con le tende tirate, imprimendosi bene in mente i dettagli della loro strategia. Durante la notte avevano fatto turni di guardia, come in attesa di una nuova ondata di pericolo. Se la situazione fosse stata diversa, avrebbero di sicuro fatto l’amore nuovamente. Ma la situazione non era diversa.

LuAnn rilasciò la nuca contro il poggiatesta del sedile: — Non riesco a credere a quello che sto per fare.

— Hai detto di fidarti di me.

— E infatti mi fido.

— LuAnn, ci sono due cose che conosco bene — disse Riggs sbuffando — il mio mestiere di costruttore e il funzionamento dell’Fbi. Non esiste altra possibilità all’infuori di questa. Tu prova a dartela a gambe, e vedrai quanta strada riuscirai a fare.

— Me la sono già data a gambe una volta — ribatté LuAnn con aria di superiorità.

— Allora diciamo che la prima volta avevi dalla tua un bel po’ di vantaggio e un bel po’ di aiuto. Ora il Bureau sa chi è Catherine Savage, ed è già arrivato a un passo dal prenderti. Perciò, se non puoi scappare, fa’ il contrario. Vagli addosso, prendi l’iniziativa.

LuAnn serrò le mani sul volante e ripensò intensamente a quanto stavano per fare. L’unico altro uomo del quale si era fidata era stato Charlie. E anche nel suo caso, c’era voluto tempo: dieci anni. Solo che questa volta Charlie non c’era. Doveva fidarsi di qualcun altro, di un uomo che conosceva solamente da pochi giorni. Ma che per lei aveva ripetutamente rischiato la pelle.

— Non sei nemmeno nervoso? — gli chiese.

— Chi, io? — Riggs sorrise. — Correre sul filo del rasoio, che cosa c’è di meglio?

— Tu sei pazzo, Matthew Riggs, davvero. Io cerco solo un po’ di tranquillità e di normalità, e tu sbavi per poter rischiare l’osso del collo.

— Dipende tutto dal punto di vista… Eccoci qua. — Riggs le indicò un posto libero per parcheggiare. — Si va a incominciare. — Aprì la portiera. — Ricordi tutto?

— Non c’è problema.

Riggs gettò un’occhiata obliqua all’imponente edificio grigio alle sue spalle e scese dalla Honda. — A presto.

LuAnn lo osservò raggiungere un telefono pubblico sul marciapiede e comporre un numero. Poi si infilò un paio di occhiali scuri, innestò la marcia e partì lasciandosi alle spalle l’Hoover Building, quartier generale dell’Fbi.

Dopo la telefonata, Riggs era entrato nell’edificio, dove due guardie armate lo avevano scortato a destinazione.

La sala riunioni in cui ora si trovava era vuota, ampia e spartana. Riggs respirò a fondo e rimase in attesa. Il suo sguardo scrutò gli angoli del soffitto e seguì i profili squadrati degli arredi: non si vedevano né telecamere a circuito chiuso, né microfoni. Il che non significava assolutamente nulla. Quel locale doveva essere comunque sotto sorveglianza video e audio.

Riggs si girò al rumore della porta che si apriva. George Masters e Lou Berman sembravano due copie conformi uno dell’altro: stesse camicie bianche di poliestere, stesse cravatte finto Regimental , stessa maschera di cordialità.

— È passato un bel po’ di tempo — esordì Masters tendendogli la mano. — Lieto di rivederti, Dan.

— Dan è morto. — Riggs accettò la stretta. — Il mio nome è Matt.

— Certo, Matt. — Masters accennò al collega. — Lou Berman. È lui a mandare avanti l’indagine di cui abbiamo parlato al telefono.

Altra stretta di mano. I tre uomini sedettero al tavolo.

— Dan… Voglio dire, Matt — disse Masters rivolto a Berman — era uno dei nostri migliori agenti infiltrati.

— Che cosa non si sacrifica nel nome della giustizia, dico bene, George? — commentò Riggs, guardandolo fissamente.

— Sigaretta? — chiese Masters ignorando il sarcasmo. — Se non sbaglio fumavi.

— Ho smesso. — Riggs non gli toglieva gli occhi di dosso. — Dicono che faccia male alla salute. — Spostò la propria attenzione su Berman. — Forse George ti ha raccontato qualcosa della mia ultima partita. Mi hanno costretto a giocare un tempo supplementare di troppo. Giusto, George?

— È successo molto tempo fa.

— Strano, a me sembra ieri.

— Sono gli incerti del mestiere.

— Perché non vai a spiegarlo a mia moglie?

— D’accordo, Matt. D’accordo… Mi dispiace.

Riggs deglutì a vuoto. Aveva sperato di riuscire a tenere certe emozioni sotto controllo, ma erano cinque anni che gli ribollivano dentro. — A proposito, George — martellò di nuovo — come sta tua moglie? E i tuoi tre figli?

— Ho detto che mi dispiace!…

— Doveva dispiacerti cinque anni fa, George. Non adesso.

Masters spense la sigaretta e guardò altrove. Adesso, anche Berman lo stava fissando.

— Va bene — disse finalmente Riggs appoggiandosi allo schienale. — Veniamo a noi.

— Giusto per aggiornarti — attaccò Masters puntando entrambi i gomiti sul tavolo — due sere fa Lou e io ci trovavamo a Charlottesville, in Virginia. Hai presente, Matt?

— E come no.

— Siamo stati in un paio di posti. Speravamo d’incontrarti.

— Sono un uomo molto occupato.

— Me l’immagino. — Masters accennò al braccio al collo. — Incidente sul lavoro?

— Incerti del mestiere. Sono qui per stringere un accordo, George. E che sia soddisfacente per entrambi i contraenti.

— Dov’è LuAnn Tyler? — Era Berman ad aver parlato, gli occhi fissi su Riggs.

— Quando l’ho lasciata un quarto d’ora fa era qui giù in macchina. Perché non vai a controllare di persona, Lou? — Riggs prese di tasca un mazzo di chiavi e gliele fece tintinnare sotto gli occhi. Erano le chiavi di casa sua, ma era sicuro che Berman non avrebbe accettato l’offerta.

— Non sono qui per scherzare… Matt.

Riggs rimise le chiavi in tasca e si sporse leggermente in avanti. — Io nemmeno. E come ho detto, sono qui per proporvi un accordo. Lo volete sentire, sì o no?

— Come facciamo a sapere che non sei in combutta con la Tyler? — riprese Berman in tono irritante.

— Cosa ve ne importa?

— Stiamo parlando di favoreggiamento verso una criminale ricercata, Riggs.

— Ricercata, senz’altro. Criminale, chi lo dice?

— Lo Stato della Georgia.

— Hai dato un’occhiata al caso, Lou? Un’occhiata veramente in profondità? Secondo le mie fonti, sono tutte cazzate.

— Le tue fonti, Matt? — Berman quasi gli rise in faccia.

— Io l’ho data, quell’occhiata in profondità — si inserì Masters. — Probabilmente è vero: il caso Tyler è una montagna di cazzate. Ma anche così, rimane un problema dello Stato della Georgia, non nostro.

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