In macchina erano stati caricati tre Uzi, uno dei revolver calibro 38, la Colt Commander Mark IV munita di silenziatore e uno zainetto di nylon pieno di libri.
Le due bombolette di Vexxon erano rimaste nel bagagliaio della Buick. Dopo aver letto attentamente i foglietti esplicativi contenuti nei sacchetti di plastica blu attaccati ai contenitori, Stefan aveva deciso che avrebbe utilizzato solo una bomboletta. Il Vexxon era un gas studiato principalmente per essere usato in ambienti chiusi, per uccidere il nemico in baracche, nascondigli e bunker costruiti sotto terra, piuttosto che contro truppe in campo aperto. Nell’aria il gas si disperdeva molto rapidamente, e sotto i raggi del sole i suoi effetti risultavano notevolmente ridotti. Tuttavia, una volta aperta completamente, una singola bomboletta poteva contaminare un edificio in pochissimi minuti e questo era sufficiente per i suoi scopi.
Alle dieci e trentacinque salirono in macchina e lasciarono la casa dei Gaines, in direzione della Statale 111 che attraversava il deserto, a nord di Palm Springs. Laura si assicurò che Chris avesse allacciato la cintura di sicurezza e il bambino disse: «Vedi, se invece di questa carretta avessimo avuto una macchina del tempo, avremmo comodamente viaggiato fino al 1944».
Due giorni prima avevano fatto una ricognizione notturna in pieno deserto per trovare un punto adatto alla partenza di Stefan. Dovevano sapere in anticipo l’esatta collocazione geografica per poter effettuare calcoli che avrebbero consentito a Stefan di ritornare nel punto esatto da cui era partito, dopo aver terminato la sua missione nel 1944.
Stefan intendeva aprire la valvola sulla bomboletta di Vexxon prima di premere il pulsante sulla cintura, così che il gas nervino potesse disperdersi in modo uniforme mentre attraverso il tunnel tornava all’istituto, uccidendo tutti quelli che si trovavano nel laboratorio nell’anno 1944. Era inevitabile, però, che una certa quantità di gas si disperdesse nel punto di partenza e quindi era più prudente eseguire quell’operazione in un luogo isolato. Davanti alla casa dei Gaines c’era una strada, ma si trovava a meno di duecento metri e perciò entro il raggio di azione del Vexxon e loro non volevano che qualche innocente rimanesse ucciso.
Inoltre, anche se l’effetto nocivo del gas si presumeva non durasse più di quaranta, sessanta minuti, Laura era preoccupata che il residuo potesse avere effetti dannosi a distanza di tempo. Non intendeva mettere in pericolo Thelma e Jason.
La giornata era limpida, il cielo azzurro e sereno.
Avevano percorso solo qualche chilometro e stavano per discendere in un avvallamento dove la strada era fiancheggiata da enormi palme da dattero, quando Laura ebbe l’impressione di vedere una strana pulsazione di luce nello squarcio di cielo che s’intravedeva nello specchietto retrovisore. Come poteva esserci un lampo in un cielo limpido e luminoso come quello? L’unica cosa a cui assomigliava era proprio quello che aveva pensato di aver visto, cioè una strana, breve pulsazione di luce.
Laura frenò immediatamente, ma la Buick era già in fondo all’avvallamento e non riuscì più a vedere il cielo nello specchietto retrovisore, solo la collina dietro di loro. Le sembrò anche di udire un brontolio, come di un tuono lontano, ma non poté esserne certa a causa del rumore dell’aria condizionata nell’auto. Accostò rapidamente al bordo della strada.
«Che cosa c’è?» chiese Chris, mentre Laura fermava l’auto, spalancava la portiera e si precipitava fuori.
Stefan a sua volta aprì la portiera e uscì. «Laura?»
Si mise a scrutare il tratto di cielo che riusciva a vedere dal fondo dell’avvallamento, schermandosi gli occhi con una mano. «Hai sentito, Stefan?»
In quella giornata calda, asciutta, un rombo in lontananza si spense lentamente.
Stefan disse: «Potrebbe essere un aereo».
«No. L’ultima volta che ho pensato che fosse un aereo, erano loro. »
Nel cielo balenò nuovamente una luce, un’ultima volta. Laura non vide il lampo in sé, ma solo il suo riflesso nell’alta atmosfera, una debole onda di luce serpeggiare nella volta azzurra.
«Sono qui», disse Laura.
«Sì», concordò Stefan.
«In qualche punto, su questa strada, qualcuno ci fermerà, forse un poliziotto o forse un incidente, perciò ci sarà una registrazione pubblica dopodiché loro arriveranno. Stefan, dobbiamo tornare indietro, a casa.»
«Non servirà a nulla», replicò Stefan.
Chris nel frattempo era sceso dalla macchina. «Ha ragione, mamma. Quello che faremo non ha importanza. Questi viaggiatori del tempo sono venuti qui perché hanno già spulciato nel futuro e sanno già dove potranno trovarci, forse a mezz’ora da qui, forse a dieci minuti. Non cambierà nulla sia che torniamo a casa sia che andiamo avanti; ci hanno già visti da qualche parte, forse hanno visto che siamo tornati a casa. Vedi, per quanto ci sforziamo di cambiare i nostri piani, è inevitabile, le nostre strade si incroceranno.»
Il destino.
«Merda!» sbottò Laura, sferrando un calcio alla macchina, un gesto inutile che non servì ad alleviare la sua collera. « Odio tutto questo. Come puoi sperare di farla franca contro dei fottutissimi viaggiatori del tempo? È come giocare a rimpiattino con Dio.»
Non ci furono più lampi.
Laura proseguì: «Ma a pensarci bene, la vita stessa è come giocare a rimpiattino con Dio, non è così? Perciò questo non sarà certo peggio. Sali in macchina, Chris, andiamo avanti».
Attraversarono i sobborghi principali della cittadina turistica. I nervi di Laura erano tesi come corde di violino. Scrutava spasmodicamente in ogni direzione, anche se sapeva che tutto sarebbe accaduto quando meno se l’aspettava.
Senza incidenti, imboccarono l’ultimo tratto del Palm Canyon Drive, dopodiché la Statale 111. Davanti a loro venti chilometri di totale deserto prima che la Statale 111 incrociasse la Superstrada 10.
Nella speranza di evitare la catastrofe, il tenente Klietmann abbassò il finestrino e sorrise al poliziotto di Palm Springs che aveva attirato la sua attenzione bussando sul vetro e che ora si era chinato e lo stava scrutando attentamente. «Che cosa succede, agente?»
«Non ha visto la striscia rossa quando ha parcheggiato?»
«Striscia rossa?» ripetè Klietmann, sorridendo e chiedendosi di che diavolo stesse parlando.
«Bene, signore», proseguì l’agente in tono ironico, «vuole farmi credere che non ha visto la striscia rossa?»
«Sì, signore. Certo che l’ho vista.»
«Ero certo che lei non mi avrebbe mentito», disse l’agente come se conoscesse Klietmann e lo reputasse una persona onesta, fatto che sbalordì il tenente. «Perciò, signore, se ha visto la striscia rossa, perché ha parcheggiato qui?»
«Oh, capisco», disse Klietmann, «è vietato parcheggiare dove ci sono le strisce rosse. Sì, certo.»
L’agente lo guardò perplesso, poi osservò gli altri passeggeri, von Manstein, Bracher e Hubatsch, sorrise e fece un cenno di saluto.
Klietmann non ebbe bisogno di guardare i suoi uomini per sapere che erano all’altezza della situazione. Nell’auto l’aria era carica di tensione.
L’agente si rivolse nuovamente a Klietmann e, abbozzando un sorriso, chiese: «Sbaglio, o siete quattro pastori?»
«Pastori?» ripetè Klietmann sconcertato da quella domanda.
«Sapete, ho una mente abbastanza intuitiva», spiegò il poliziotto, sempre sorridendo, «non sono Sherlock Holmes, ma ho notato gli adesivi sul paraurti: ‘Amo Gesù’ e ‘Cristo è risorto’; e poi in città c’è un raduno di pastori della Chiesa Battista e inoltre i vostri abiti scuri…»
Questa era la ragione per cui era stato così sicuro che Klietmann non avrebbe mentito: pensava che fossero pastori della Chiesa Battista.
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