«Dio mio, no! Non spari!»
«Adesso ci alziamo. Presto, dannazione e non faccia scherzi!»
Quando furono in piedi Stefan si mise alle spalle dell’uomo e afferrata la Walther per la canna, la usò come una mazza e lo colpì una sola volta, ma abbastanza forte da tramortirlo. Il proprietario della jeep cadde a terra, privo di sensi.
Stefan lanciò un’occhiata verso la taverna. Non era uscito nessuno.
Dalla strada non si udiva rumore di macchine, ma l’ululato del vento avrebbe potuto coprire il rumore di un motore.
Cominciò a nevicare più forte. Stefan ripose la pistola nella tasca interna del cappotto e trascinò l’uomo privo di sensi verso la macchina più vicina, la Thunderbird , che era aperta. Sollevò il corpo e lo adagiò sul sedile posteriore, chiuse la portiera e si affrettò verso la jeep.
Il motore si era spento. Mise in moto un’altra volta, inserì la marcia e sterzò per portarsi sulla strada. La neve cominciò a cadere a larghe falde, fitta, e da terra si alzavano mulinelli di neve sfavillanti. Gli enormi pini avvolti dall’oscurità ondeggiavano e fremevano sotto la furia del vento.
Laura aveva poco più di venti minuti di vita.
Festeggiarono il contratto per la pubblicazione di Jericho Nights e il primo anno di matrimonio a Disneyland, il loro luogo preferito. Il cielo era azzurro e limpido; l’aria asciutta e calda. Incuranti della folla che li circondava, si divertirono con i Pirati dei Caraibi, si fecero fotografare con Topolino, si fecero venire le vertigini girando nelle grandi tazze del Cappellaio Matto, si fecero fare le caricature, mangiarono hot dog, gelati, banane ghiacciate ricoperte di cioccolata e la sera danzarono alla musica di una Dixieland band nella New Orleans Square.
L’atmosfera del parco si fece ancora più magica dopo il tramonto; presero il mitico vaporetto di Mark Twain e navigarono intorno all’isola di Huck Finn per la terza volta, appoggiati al parapetto sul ponte più alto, vicino alla prua, teneramente abbracciati. «Sai perché questo posto ci piace tanto?» esordì Danny. «Perché fa parte di un mondo non ancora contaminato dal mondo. Come il nostro matrimonio.»
Più tardi, seduti a un tavolo del Carnation Pavilion , sotto alberi addobbati di bianche luci natalizie e davanti a un’enorme coppa di gelato con le fragole, Laura disse: «Quindicimila dollari per un anno di lavoro… non sono esattamente una fortuna».
«Ma non è neppure il salario di uno schiavo.» Danny spinse da parte il suo gelato, si allungò e spostò anche quello di Laura, poi, prendendole le mani fra le sue le disse: «Prima o poi il denaro arriverà perché hai talento, ma non è il denaro la cosa che m’interessa. Ciò che m’interessa è che tu hai qualcosa di speciale da condividere. No, non è esattamente ciò che voglio dire. Non solo hai qualcosa di speciale, tu sei qualcosa di speciale. È un concetto che ho ben chiaro nella mente ma che non riesco a spiegare. Io so che la tua interiorità , quando viene espressa e quindi condivisa, infonde nelle persone, in qualunque persona, la stessa speranza e la stessa gioia che infonde a me che vivo al tuo fianco».
Trattenendo le lacrime, Laura sussurrò: «Ti amo».
Jericho Nights fu pubblicato dieci mesi più tardi, nel maggio del 1979. Danny aveva insistito perché Laura usasse il suo nome da ragazza perché sapeva che durante i tristi anni trascorsi all’Istituto McIlroy e alla Caswell aveva resistito in parte anche perché voleva realizzare qualcosa di cui suo padre potesse essere fiero e anche sua madre, che non aveva mai conosciuto. Il romanzo vendette poche copie, non fu scelto da nessun club del libro e fu ceduto dalla Viking a un editore di tascabili per un modesto anticipo.
«Non ha importanza», la consolò Danny. «A tempo debito arriverà il successo. Tutto arriverà a tempo debito. Proprio in virtù di ciò che sei.»
Laura stava già lavorando alacremente al suo secondo romanzo, Shadrach. Impegnandosi dieci ore al giorno per sei giorni la settimana, lo terminò quello stesso luglio.
Un venerdì inviò una copia a Spencer Keene, a New York, e diede l’originale a Danny. Sarebbe stato il primo in assoluto a leggerlo. Uscì presto dall’ufficio e all’una di venerdì pomeriggio iniziò a leggere il romanzo, seduto nella sua poltrona del salotto. Andò a letto e dormì solo quattro ore, alle dieci di sabato mattina era nuovamente in poltrona e aveva già letto i due terzi del manoscritto. Non fece alcun commento, non una parola. «Prima devo terminarlo. Non sarebbe giusto nei tuoi confronti iniziare ad analizzare e a replicare finché non ho finito, finché non ho colto tutta l’essenza di questo lavoro; e non sarebbe giusto neppure nei miei confronti, perché se lo discutessimo ora andrebbe a finire che mi sveleresti prima o poi un punto cruciale della storia.»
Laura gli tenne gli occhi incollati addosso per cercare di scoprire un qualsiasi cenno di disapprovazione o di assenso, per vedere se reagiva in qualche modo alla storia, ma anche quando coglieva una reazione temeva che fosse negativa. Alle dieci e mezzo di sabato non resistette più e dovette uscire. Prese la macchina e andò a South Coast Plaza, bighellonò per qualche libreria, fece colazione molto presto, anche se non aveva fame, poi si diresse verso Westminster Mall, mangiò un gelato allo yogurt, poi andò all’Orange Mall, entrò in qualche negozio, comprò un bel pezzo di croccante e ne mangiò quasi la metà. «Shane», si disse, «torna a casa, altrimenti per l’ora di cena sarai diventata il doppio di Orson Welles.»
Mentre parcheggiava l’auto sotto la tettoia del condominio, si accorse che quella di Danny non c’era. Entrò in casa e lo chiamò ad alta voce, ma non ricevette alcuna risposta.
Il manoscritto di Shadrach era sul tavolo del tinello.
Guardò se c’era un biglietto. Nulla.
«Oh Cristo!»
Il libro era brutto. Faceva schifo. Era nauseante. Carta straccia. Povero Danny! Era sicuramente andato da qualche parte a bersi una birra per trovare il coraggio di dirle che avrebbe fatto meglio a imparare a fare l’idraulico mentre era ancora abbastanza giovane per lanciarsi in una nuova carriera.
Le venne da vomitare. Corse in bagno, ma la nausea passò. Si rinfrescò il viso con un po’ d’acqua fresca.
Il libro era orribile.
Okay, avrebbe dovuto accettarlo. Aveva pensato che Shadrach fosse un buon lavoro, di gran lunga migliore di Jericho Nights , ma evidentemente si era sbagliata. Ne avrebbe scritto un altro.
Andò in cucina e si stappò una birra. Aveva appena bevuto un paio di sorsi quando Danny rientrò con una confezione regalo, grossa come un pallone da calcio. L’appoggiò sul tavolo del tinello accanto al manoscritto, poi guardò Laura con aria solenne. «È per te.»
Ignorando completamente la scatola, Laura disse concitata: «Dimmi».
«Prima apri il tuo regalo.»
«Oh, Cristo, ma è così brutto? È così brutto che per addolcirmi la pillola mi hai comprato un regalo? Dimmi. Sono pronta. Anzi no, aspetta! Fammi sedere.» Prese una sedia e vi si lasciò cadere. «Forza, colpisci! Sopravviverò anche a questo.»
«Laura, sei un tantino melodrammatica!»
«Che cosa stai dicendo? Il libro è melodrammatico?»
«Non il libro, tu. Ma ora, per favore, vuoi smetterla di fare la giovane artista distrutta e deciderti ad aprire il tuo regalo?»
«Va bene, va bene. Se devo aprire il regalo prima che parli, allora aprirò questo stramaledettissimo regalo.»
Prese la scatola, che era alquanto pesante, e cominciò a disfare il pacco mentre Danny prendeva una sedia e andava a mettersi di fronte a lei, a osservarla.
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