«No, sono un medico di Belinda.»
«Lo scoprirò e ti prometto che non sarà piacevole. Dimmi per chi lavori e farò in modo di non farti soffrire troppo. Fottimi e ti prometto che supplicherai di morire.»
«Ciò che ho detto è la verità», ribatté Matt con voce stridula. «Lo giuro.»
Bass gli si avvicinò, afferrò la camicia di Matt nel suo possente pugno e lo sollevò. Matt sentì l’odore della marijuana spandersi dai suoi vestiti.
«Hai ancora mezz’ora», ringhiò Bass.
Roteò su se stesso e se ne andò, sbattendo la porta con tanta forza da far vacillare tutto il capannone.
«Te lo ripeto, lui è veramente un dottore. Chiedigli di dare un’occhiata a Rake.»
Matt poté udire Becky parlare con Bass.
«No!»
«Cristo, Bass, è tuo fratello.»
«Chiudi il becco! Quell’uomo è un federale e tra poco sarà un federale morto. Quello che stiamo facendo qui non è un fottuto gioco. Voglio sapere come diavolo ha fatto a trovarci.»
Droghe! Matt comprese che quei motociclisti stavano coltivando droghe o le lavoravano, o più probabilmente facevano entrambe le cose. Controllò di nuovo la finestrella. Il cielo sembrava ora più chiaro. Il tempo stava scadendo, per lui, per Nikki, e per tutti gli altri nella caverna. Stava scadendo anche per alcuni bambini che stavano per ricevere la cosiddetta impareggiabile vaccinazione.
Per un po’ rimase in silenzio, accertandosi di nuovo che le manette non avrebbero ceduto e cercando di escogitare un modo per servirsi di Becky, chiaramente l’anello debole della catena. Per due volte sentì una motocicletta allontanarsi, senza capire se si trattava di una di quelle che aveva sentito prima. Immaginò la sua Harley e l’indescrivibile senso di libertà e di completezza che provava quando correva sulle colline. Poi, silenziosamente, Becky aprì la porta, sgusciò dentro e la richiuse. Samuel non era con lei. Portava invece una federa sporca, piena per metà di qualcosa.
«Lei è un dottore, vero?»
«Proprio così. Becky, io…»
«Mi dica quali di queste potrà aiutare Samuel.»
La donna rovesciò il contenuto della federa sul pavimento: decine di flaconi e fiale di svariate pillole e medicine liquide, quasi tutte con l’etichetta di varie farmacie.
«I ragazzi svuotano quasi sempre gli armadietti delle medicine nelle case che… ehm… visitano», sussurrò. «Tutti adorano il Percocet e l’Oxicodone, ma alcuni di loro preferiscono la codeina. Una di queste può servire a Samuel?»
Matt fece scorrere le dita tra le fiale e scelse due differenti marche di amoxicillina, 250 milligrammi, trenta capsule in tutto.
«Questo funzionerà», disse, aprendone una. «Prenda metà del contenuto di una di queste capsule e lo mescoli nel suo cibo tre volte al giorno. Come prima dose, usi una capsula intera. Samuel soffre di allergie?»
«Di che?»
«Non si preoccupi. Ecco, mezzo cucchiaino da tè di questo sciroppo gli allevierà la tosse.»
«Grazie, dottore. Mi dispiace che Bass non le creda.»
«Becky, lei mi deve aiutare a uscire di qui.»
«Non posso.»
«Coltivano la droga, qui, non è vero? È questo che Bass non vuole che io scopra?»
«Adesso devo andare.»
«Becky, giuro che non lo dirò a nessuno. Voglio solo aiutare i miei amici a uscire da quella miniera. Per favore, lui mi ucciderà.»
«Lo so. Vorrei tanto non lo facesse.»
«Chi è Rake?» chiese improvvisamente Matt.
«Come fa…? Ah, mi ha sentita parlare con Bass.»
«Che cosa ha che non va?»
«È… malato. Un cancro che gli ha preso la schiena, hanno detto. Non riesce quasi a camminare e non può più usare la motocicletta.»
«Mostrami su di te dov’è localizzato il cancro di Rake», chiese, passando al tu.
Becky esitò, poi si girò e indicò il fondoschiena.
«Ora devo andare. Grazie per Samuel.»
«Becky, vai da Bass», la implorò disperatamente. «Digli che sono pronto a parlare, pronto a dirgli tutto.»
«Non sei un medico?»
«Lo sono, ma ora, ti prego, portalo qui.»
«Mi spiace», la sentì dire mentre chiudeva la porta.
Matt sentì la donna allontanarsi di corsa. Avrebbe dovuto essere più duro con lei. Al suo rifiuto di aiutarlo, avrebbe dovuto minacciarla di dire a Bass che l’aveva fatto. Che stupido. Frustrato, sbatté la mano ammanettata con tale forza che si scorticò il polso. A malapena notò il dolore.
«Bass, parlerò», gridò, certo che la sua voce non avesse superato le mura. «Facciamo un patto. Forza.»
Niente.
Passarono dieci minuti, forse più, prima che la porta si riaprisse. Due motociclisti, entrambi vestiti di nero, anche se nessuno dei due aveva bisogno di vestirsi da duro per sembrare un duro, entrarono e lo misero rudemente in piedi. Uno dei due, testa rasata, naso largo e piatto, collo tatuato, aprì la manetta sul tubo e la agganciò al suo polso.
Grazie a Dio, pensò Matt. Poi però, mentre lo conducevano fuori, gli passò per la mente un pensiero molto più infausto. I motociclisti non si sforzarono neppure di non fargli vedere il campo. Con ogni probabilità, qualsiasi cosa avesse fatto o detto, era un uomo morto. Sparse nel fitto bosco, ben nascoste dall’alto, vi erano dieci strutture in legno di varie dimensioni. Dai due camini della più grande, che assomigliava a una casa tribale indiana, usciva del fumo. Sopra i camini, da un grande tetto in metallo, appeso agli alberi, proveniva il fumo che aveva un caratteristico odore chimico. Oppio, suppose Matt. Era improbabile che lo lasciassero andare via, dopo quello che aveva visto.
I due uomini gli fecero attraversare un cortile in terra battuta ricoperto di aghi di pino fino a una casetta informe con una piccola e bassa veranda. Bass era là dentro, in piedi accanto a un letto in quello che una volta era forse stato il soggiorno. Disteso sul fianco, in posizione fetale, vi era un uomo tanto simile a Bass che Matt pensò fossero gemelli. Una donna robusta, la faccia butterata dall’acne, seduta su una sedia a dondolo in un angolo della stanza, stava allattando al seno un bambino che pareva stesse lottando con lo stesso germe di Samuel. Rake, pallido e bagnato di sudore, era chiaramente ammalato e sofferente.
«Questo qui è mio fratello Rake», disse Bass mentre il pelato apriva la manetta di Matt. «Sta male da un paio di settimane per questa specie di cancro alla schiena. Se sei veramente un medico, curalo. Se non lo sei, ti caverò gli occhi, tanto per cominciare.»
«Mi ucciderà in ogni caso», ribatté Matt.
Come pronunciò quelle parole, capì di avere commesso uno sbaglio. Muovendosi come un cobra, Bass lo afferrò per la camicia e lo sollevò, i piedi non toccavano il pavimento.
«Non fregarmi», inveì con voce stridula. «E non fregare neppure mio fratello.»
«D’accordo, d’accordo. Mettimi giù.»
Pregando che il suo intuito fosse corretto, Matt girò attorno al letto e scostò il lenzuolo. Le cose stavano proprio come aveva sospettato, un gigantesco ascesso di un residuo congenito, conosciuto come cisti pilonidale, situato direttamente sopra il coccige appena sopra la fessura tra le due enormi natiche di Rake. Un grande e geometrico tatuaggio che sembrava dipinto con uno spirografo nascondeva parzialmente l’ascesso, lungo quindici centimetri e profondo fino all’osso.
«Posso curarlo», ammise Matt.
«Nessuno può curare un cancro», ribatté un motociclista.
«Taci», sibilò Bass.
«Non è un tumore», rispose Matt. «È un’infezione. Devo aprirla e fare uscire il pus. Avete qui qualcosa che possa vagamente somigliare a una vasca da bagno? Una con acqua calda, intendo. Deve essere sufficientemente grande da contenerlo.»
«La vasca è là dietro», disse Bass. «Possiamo prendere tutta l’acqua calda che serve da… ne abbiamo.»
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