Michael Palmer - Sindrome atipica

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Sindrome atipica: краткое содержание, описание и аннотация

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Il dottor Rutledge ha la certezza che ci sia qualcosa di sospetto nelle morti dei suoi pazienti. Troppe banali influenze degenerate in incomprensibili complicanze non hanno lasciato scampo ai malati. L’uomo nutre un sospetto: che nell’evoluzione fatale delle malattie sia coinvolto il giacimento di carbone, la cui aria nera copre il cielo della sua città, nel West Virginia. Ma presto il dottore capisce che le sue indagini lo stanno portando a scoprire segreti molto più pericolosi di quanto potesse immaginare.

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«Bravo. Sono orgoglioso che tu non abbia dimenticato le regole del manuale dopo tutti questi anni.»

«Solo perché me le declami tutte le volte che ne hai l’occasione.»

«Sono felice, allora, che tu mi abbia sempre prestato attenzione. Senti, Matt, vedrò cosa posso fare con Fred Carabetta. Come posso mettermi in contatto con te?»

«Telefona a casa mia e lascia un messaggio sulla mia segreteria telefonica. La controllerò spesso e ti richiamerò immediatamente.»

«E io chiamerò anche quel coroner di Boston. Forse mi dirà qualcosa su quello speciale colorante che ha usato.»

«Ti sono rimasti dei tessuti dei due minatori?»

«Credo di sì.»

«Per favore, non parlare con nessuno di Grimes, finché non avremo la possibilità di parlare tra noi, d’accordo? È più pericoloso di quanto credi.»

«Se sei tanto sicuro, perché non vai semplicemente alla polizia a denunciarlo?»

«Nikki vorrebbe farlo, ma sono riuscito a dissuaderla, per ora almeno. Da ciò che ho sentito, la polizia è una confraternita molto unita. Nessun poliziotto ci ascolterebbe né correrebbe subito a Belinda per sbattere Bill Grimes contro il muro a braccia in alto e gambe larghe. E, una volta usciti all’aperto, lui ci avrà nella sua rete nonostante ciò che dichiariamo. Per ora, preferirei aspettare.»

«D’accordo, come vuoi. Ma sii prudente. Ti telefonerò di nuovo più tardi. A proposito, questa mattina sono andato a trovare tua madre. Sta peggiorando.»

«Lo so. L’ho vista ieri per alcuni minuti. Non ci vorrà molto prima che abbia bisogno di assistenza totale. Me ne occuperò quando questa faccenda sarà sistemata. Senti, Hal, grazie per il tuo aiuto, con mia madre e con questa storia.» «Sei sulla pista giusta, Matt, ne sono certo.» «Anch’io, zione. Anch’io.»

Nikki diede alle frittelle un bell’otto. Matt sostenne di avere divorato la sua omelette spagnola troppo rapidamente per poterle dare un punteggio. Lasciò a Grace una mancia che era il doppio del prezzo della colazione e un biglietto in cui la ringraziava per avere presieduto le loro smancerie mattutine.

«Sai cosa mi conforta veramente?» chiese mentre si dirigevano alla Harley. «Sono realmente felice che quei tipi non ti abbiano uccisa.»

«Ehi, sai proprio cosa dire a una ragazza, romanticone. È bello sapere che abbiamo qualcosa in comune. Anch’io sono felice che non mi abbiano uccisa.»

Si allungò sopra la moto e lo baciò tanto intensamente da guadagnarsi un colpo di clacson da un camionista che passava. Si era appena staccata da lui che sentirono alcune timide gocce di pioggia. Quindici minuti più tardi stava piovigginando intensamente. Matt trovò uno spaccio Wal-Mart alle porte di York e acquistò con la carta Visa impermeabili per entrambi, ma, per le successive cinque ore, il viaggio proseguì lento e disagevole. Pensarono anche di fermarsi da qualche parte per la notte e proseguire l’indomani, ma Nikki non vedeva l’ora di arrivare a casa. Quando le nuvole si diradarono, erano ancora a parecchie ore da Boston, essendo stati rallentati dal traffico dell’ora di punta attorno a New York. Alle nove Nikki chiamò lo studio per avvisare Joe Keller che erano in ritardo e che non sarebbero arrivati prima delle undici, ma nessuno rispose.

«O è alle prese con un’autopsia o è andato a cena», commentò Nikki. «Non avrei dovuto dirgli quando saremmo arrivati, non ci avrebbe aspettati, ma, avendoglielo detto, sono certa che sarà là.»

Matt sfruttò quella pausa per chiamare la sua segreteria telefonica. Vi erano due messaggi. Il primo, di Mae, riferiva che non si era saputo nulla della sua paziente, la dottoressa Solari, e che lei era preoccupata non avendolo sentito tutto il giorno e sperava che stesse bene e che la sua assenza non fosse causata da nulla di più grave del comportamento stravagante che aveva manifestato ultimamente. Il secondo messaggio era di Hal.

«Buone notizie, Matt. Non fantastiche, ma buone. Fred Carabetta non vuole impegnarsi in alcuna azione concernente la miniera, ma sarà lieto di incontrarci nel suo ufficio. Domani alle tre del pomeriggio. Al 200 di Constitution Avenue. Ovunque tu sia, spero riesca a farcela. Chiama e conferma.»

Matt lasciò un messaggio sulle segreterie telefoniche dello zio a casa e in ufficio, dicendo che ci sarebbe stato, quindi ne lasciò uno sulla sua segreteria telefonica per Mae, dichiarando che stava bene e che si sarebbe messo in contatto con lei. Dopo avere agganciato, raccontò tutto a Nikki.

«Domani riporterò la motocicletta a Washington», concluse. «Vuoi venire con me?»

«Accumuli dei punti per i chilometri su questo coso?»

«Il doppio andando a Washington. È uno shuttle.»

«Grazie. Voglio realmente stare con te, ma per il momento penso di dover rimanere qui. In primo luogo, ho l’impressione che il mio corpo non accetterebbe altri strapazzi; in secondo luogo, questo mio lavoro di fare a pezzi gente defunta è ben pagato, ma solo se lo faccio. È quello che dice il mio contratto.»

«Capisco. Tornerò appena avrò concluso questa faccenda con la miniera.»

Erano quasi le undici quando imboccarono l’autostrada sudorientale verso le luci tremolanti di Boston. Non pioveva più e l’aria era fresca e frizzante.

«Sei mai tornato qui dopo l’internato?» domandò Nikki. «No», rispose senza girarsi. «All’inizio, appena tornato a Belinda, lavoravo come un matto al pronto soccorso, poi come un matto per aprire lo studio medico privato. Ginny si è ammalata poco dopo, e non ha mai avuto un periodo di remissione. Dopo la sua morte, è stato anche troppo difficile per me trovare la forza di alzarmi e andare in ambulatorio, per non parlare di un viaggetto nostalgico a Boston. La città comunque mi era piaciuta, molto.»

Lo studio del medico legale era situato appena fuori dall’autostrada. A parte la bassa illuminazione notturna, l’edificio a tre piani era buio. Nikki suonò il campanello all’entrata una decina di volte, e ambedue sentirono il trillo riecheggiare nell’ampio vestibolo, ma non videro alcun movimento.

«Strano», osservò Nikki, «di solito c’è un guardiano tutta la notte. In ogni caso, Joe lavora spesso fin dopo la mezzanotte. Sapendo che stiamo arrivando, mi riesce difficile credere che sia andato a casa.»

«Forse non si sentiva bene», azzardò Matt. «Forse. La porta d’entrata si apre con una scheda magnetica che purtroppo è nel West Virginia tra le mie cose. Vi è però una porta di sicurezza sul retro con tastierino. Anche l’ufficio di Joe è sul retro, forse sentirà il cicalino.»

Matt la seguì lungo un vialetto fiocamente illuminato fino al retro dell’edificio.

«Vedi, quello è l’ufficio di Joe, quella luce lassù al secondo piano. Sapevo che era qui.»

«Avevi ragione a dire che non ci sentiva. Che edificio lungo, sembra una specie di portaerei.»

Nikki batté il codice ed entrarono sul pianerottolo della scala in cemento, lugubremente illuminato dalla rossa scritta USCITA. L’aria era imbevuta del tipico, anche se non forte, odore di formaldeide. Con Matt alle sue spalle, Nikki salì al secondo piano e aprì la porta che dava in un corridoio coperto di moquette con uffici a entrambi i lati.

«Joe, siamo noi», gridò.

Bussò alla porta contrassegnata JOSEF KELLER, CAPO MEDICO LEGALE, quindi l’aprì. L’ufficio era illuminato da un impianto fluorescente sul soffitto e una lampada da tavolo. Joe Keller era alla sua scrivania, le spalle rivolte alla porta.

«Joe», iniziò Nikki, «Perché non hai…?»

S’interruppe nel vedere il sangue sulla moquette. Corse alla sedia e lanciò un urlo. La scrivania era schizzata di sangue scuro e coagulato, come pure il viso e i vestiti di Joe Keller. La testa era china sul petto, Nikki la sollevò dolcemente, mostrando un volto malconcio con un foro di proiettile appena sopra il naso. Gli occhi di Joe erano spalancati e resi vitrei dalla morte. Da un orecchio penzolavano gli occhiali dalla montatura in filo metallico.

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