«Che genere di problemi?»
«Ci sono due casi laggiù che sembrano uguali al suo, neurofibromi e psicosi paranoide progressiva.»
«Perbacco, che notizia», esclamò Keller. «Vedi, il tuo istinto era assolutamente giusto in questo caso. Stavo proprio esaminando i vetrini del cervello della signorina Wilson. Ha, senza ombra di dubbio, una encefalopatia spongiforme.»
Encefalopatia spongiforme. Nikki trattenne il fiato. Quella malattia del sistema nervoso, degenerativa, trasmissibile e infine letale, aveva una gran varietà di forme, tra cui una chiamata morbo di Creutzfeldt-Jacob, il morbo kuru, osservato negli indigeni che mangiavano il cervello umano della Nuova Guinea, l’insonnia familiare letale e l’encefalopatia spongiforme bovina, conosciuta anche come BSE o, più comunemente, come morbo della mucca pazza.
Eccitata, Nikki allungò le gambe e tirò con forza un calcio nella pianta del piede di Matt che serrò il cuscino dietro la testa e spostò il piede. Questa volta gli colpì con più forza il polpaccio con il tallone. Lui gemette e cominciò a stirarsi.
«Continua, Joe», lo incitò, non era tanto sciocca da chiedergli se ne era certo. «È incredibile.»
«Hai detto che ci sono altri due casi là dove sei?»
«Sì, nella città dove è cresciuta Kathy.»
Un altro calcio e finalmente Matt parve uscire dal suo profondo sonno. Se non aveva preso alcun farmaco, era un ottimo candidato per il libro del Guinness dei primati. Era più facile svegliare i suoi pazienti nello studio del coroner.
«E questi altri casi», chiese Keller, «Avevano anche loro una encefalopatia spongiforme?»
«Non lo so. A un esame approssimativo, i loro cervelli erano parsi normali, per cui non è stato fatto alcun esame al microscopio.»
L’encefalopatia spongiforme era provocata da germi chiamati prioni, particelle proteiche infettive capaci di riprodursi senza DNA o RNA (acido ribonucleico). Una delle caratteristiche dell’encefalopatia spongiforme era che, nonostante un quadro clinico spesso spettacolare, il cervello sembrava normale e, solo quando sezioni di cervello venivano esaminate al microscopio, si potevano notare buchi diffusi e spongiformi. Un’altra caratteristica era che il periodo di incubazione della malattia era di una decina d’anni o più, durante i quali la vittima poteva infettare altre persone.
«Anche i tuoi casi presentavano neurofibromi?» domandò Keller.
Matt ora era sveglio, si stava strofinando gli occhi per togliersi le ultime tracce di sonno e la fissava con espressione interrogativa. Lei si portò un dito alle labbra e gli indicò che l’avrebbe messo tra poco al corrente.
«Sì, tutti e due. Da ciò che mi è stato detto, l’esame al microscopio non ha rivelato nulla di insolito.»
«Forse sì o forse no», commentò Keller. «Ho provato su di loro un certo numero di coloranti e di combinazioni di coloranti e ho trovato un metodo che distingue chiaramente queste lesioni dai neurofibromi di riferimento nella mia biblioteca.»
Keller, l’uomo curioso, intellettuale. Nikki sorrise raffigurandosi il suo capo. Non faceva che giocherellare con i coloranti e il potente microscopio elettronico del dipartimento. La sua biblioteca, oltre a centinaia di testi, includeva centinaia o forse migliaia di campioni non colorati di ogni organo e di un numero infinito di malattie, ognuno catalogato con cura. A quanto pareva, tra quei tessuti non trattati con colorante vi erano alcuni neurofibromi comuni, i campioni di riferimento.
Encefalopatia spongiforme con insoliti neurofibromi. La sindrome di Belinda, ipotizzò Nikki… O forse il morbo Rutledge-Solari.
«Joe, ascolta, saremo a casa tra le dieci e la mezzanotte.»
«Dovrei essere ancora qui.»
«Se ci sarai, fantastico, altrimenti saremo lì domattina.»
«Saremo?»
«Un medico di quaggiù mi ha salvato la vita due o tre volte in questi ultimi tempi. Ha più che un interesse passeggero a questa sindrome. Lui pensa che sia provocata da una discarica industriale segreta che riversa sostanze tossiche nella falda freatica della sua città.»
«Per quello che sappiamo sulle infezioni da prione», ribatté Keller, «non vedo proprio come potrebbe essere quella la causa.»
«Va bene, ne discuteremo a quattr’occhi. Grazie, Joe.»
«Sono tanto sollevato nel sapere che stai bene», osservò Keller. «Oh, a proposito, la polizia ha trovato l’uomo che ha ucciso la tua vittima d’annegamento, Roger Belanger. Si chiama Halliday. Ecco spiegata la ‘H.’ Erano amici e soci in affari. La polizia ritiene che abbiano litigato per soldi. Halliday lo aveva invitato a casa sua per fare pace. Ha compilato un assegno, poi i due hanno bevuto qualcosa insieme. Halliday è riuscito a portare Belanger nella piscina, gli ha stretto le mani attorno al collo e lo ha trascinato fino sul fondo.»
«Procedura», sentenziò Nikki.
«Esattamente», concordò Keller.
Quando Nikki appese la cornetta, Matt si era infilato una felpa blu, nuova, con la scritta Yale sul davanti.
«Buongiorno», lo salutò lei.
«’Giorno a te.»
Lei indicò la felpa.
«Hai frequentato quell’università?»
«No, ma mentre tu stavi provando qualcosa nel negozio Target, ieri sera, ho cercato qualcosa anche per me. Questa l’avevano nella mia taglia.»
«Che tu ci creda o no, me ne ricordo. O almeno, circa. Quale università hai frequentato?»
«La vecchia e buona WVU. Quella dei montanari, era l’unica che potevamo permetterci. Si è rivelata una grande università.»
Nikki era certa di ricordare che un’infermiera le aveva detto che Matt aveva studiato medicina a Harvard, eppure lui non aveva ritenuto valesse la pena accennarne. Come se avesse avuto bisogno di altri punti dopo ciò che aveva fatto, ne aggiunse, tuttavia, un altro per il riserbo.
«Dormi profondamente», osservò.
«Già, e tutti se ne accorgono un giorno o l’altro.»
«Se oggi non ti riuscisse di camminare, la colpa è mia, ti ho svegliato a forza di calci.»
«Le infermiere all’ospedale mi interrogano quando telefonano, per assicurarsi che sia sveglio. Non sanno che sono diventato così bravo che posso rispondere alla maggior parte delle loro domande, anche a quelle matematiche più complesse, dormendo. Ricordi qualcosa della notte scorsa?»
«Sfortunatamente sì. Spero di averti ringraziato abbastanza per avermi salvato la vita.»
«Non mi piace perdere i miei pazienti. Allora, con chi parlavi al telefono?»
«Ho chiamato il mio capo, Joe Keller, per dirgli che ero viva e che stavo bene, e per sapere se l’esame microscopico di Kathy avesse rivelato qualcosa.»
«E?»
«Non ci crederai, Matt, ma Kathy aveva una encefalopatia spongiforme. Joe ne è assolutamente certo, e, credimi, lui non sbaglia mai.»
Matt crollò sul letto, incredulo. Non conosceva a fondo le varie versioni di quella malattia, ma si teneva al corrente leggendo testi medici, per quanto, almeno, glielo consentiva la sua giornata piena di lavoro.
«Il morbo del prìone?»
«Sì», rispose Nikki. «Una piccola puntualizzazione, la maggior parte lo pronuncia come hai fatto tu, ma Stanley Prusiner, che ha vinto il premio Nobel per i suoi studi sul prione, lo pronuncia con l’accento sulla o. L’ho sentito parlare circa un anno fa.»
«E prione sia, allora. Incredibile. Credi che anche i miei due casi abbiano avuto l’encefalopatia spongiforme?»
«Come posso dire il contrario?»
«Che diavolo?… Che mi dici dei neurofibromi? Qualcosa di speciale anche su quelli?»
«A quanto pare sì. Joe Keller è una specie di fanatico dei coloranti. Capace di provarne una dozzina su un pezzetto di tessuto solo per vedere che succede. Mi ha detto che le lesioni facciali di Kathy hanno assunto una colorazione scura diversa dal solito tipo di fibroma elefantiasico.»
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