Come aveva fatto spesso, Ellen era rimasta a dormire nella stanza degli ospiti nella casetta di Rudy. Quello che lui le aveva svelato riguardo la febbre di Lassa e la prospettiva di incontrare Strawbridge l’avevano innervosita e, dopo poche ore di un sonno agitato, si era alzata, aveva indossato l’accappatoio che Rudy aveva tirato fuori per lei, aveva fatto del caffè e portato i suoi appunti nello studio al primo piano. Non erano ancora le quattro e mezzo del mattino. Mentre cercava una penna nel cassetto in alto a destra dello scrittoio, aveva visto una busta. Era in cima a una pila di fogli e non ci avrebbe fatto caso, se non avesse notato che era indirizzata a lei, scritta con l’accurata calligrafia di Rudy. Nell’angolo superiore destro vi era pure un francobollo, ma di valore non sufficiente per inviarla. Ellen si era detta, e a ragione come scoprì in seguito, che forse la lettera era stata scritta da tempo, quando le tariffe postali erano più basse.
Aveva infilato di nuovo la busta nel cassetto e per mezz’ora era riuscita a non tirarla fuori. Era sempre stata un tipo curioso, probabilmente più della maggior parte della gente, e la passione per il pettegolezzo la metteva spesso in imbarazzo. Dato il suo carattere, non le era riuscito facile resistere alla tentazione offerta da quella scoperta. Alle cinque del mattino non era più distaccata e analitica come al solito. In quei trenta minuti le sue razionalizzazioni si erano fatte sempre più deboli. Se Rudy non aveva avuto l’intenzione che lei la vedesse, perché l’aveva lasciata nello scrittoio, dove avrebbe potuto trovarla? Se era combattuto tra lo spedirla o no, non l’avrebbe così liberato dal tormento? Per quanto assurdi e difettosi fossero quei ragionamenti, pian piano era riuscita a seppellirvi sotto il buonsenso. Quasi prima di rendersene conto, si era ritrovata con la busta aperta in mano. Il proposito di non leggerne il contenuto durò solo pochi secondi.
Cara Ellen,
penso che la cosa migliore sia togliere subito di mezzo questa parte. Ti amo. Ti amo da quando Howard ti ha portato per la prima volta nella nostra camera al dormitorio e ci ha presentati. Sono passati quattro anni da quando lui se ne è andato di casa, e sono innamorato di te come non mai, pur sapendo che tu non hai mai provato gli stessi sentimenti per me. Che fare?
Come sai, nel corso degli anni sono uscito con un bel po’ di donne. Con alcune sono andato a letto, e ho anche cercato di instaurare una relazione seria con un paio di loro. Ho comunque sempre saputo che non ero onesto nei loro confronti. Poi, alcuni anni prima che distruggesse il vostro matrimonio, Howie mi aveva detto, in una delle nostre conversazioni da uomo a uomo, che non ti era fedele. Avrei voluto dirti allora cosa stava combinando e quello che io avevo sempre provato per te. Ma mi era sembrata una cosa, come dire, sbagliata. Pur sapendo ciò che sapevo e amandoti come ti amavo, non sono mai riuscito a smettere di essere suo amico. Di questo provo vergogna.
Ebbene, ora Howie se ne è andato da tanto e tu ti sei ripresa bene. Mi racconti tutto ciò che stai facendo e mi parli anche di alcuni appuntamenti sentimentali. Questo fa male. «Io sono qui!» vorrei gridare. «Proprio sotto il tuo naso! E ti ho amata per trentacinque anni.»
Con ogni probabilità non invierò questa lettera, o forse sì. In ogni caso, penso sia fantastico che tu abbia accettato quel posto nella commissione di valutazione del vaccino e che mi abbia chiesto di aiutarti in alcune ricerche. Ti prometto che farò tutto ciò che posso per farti diventare una esperta nel campo. Vorrei essere un po’ più vivace e carismatico e un po’ meno timido, ma, ahimè, è così che sono. E non rimpiango affatto il corso preso dalla mia vita.
Ho solo pensato che era ora che tu lo sapessi.
Il tuo devoto amico
Rudy
Ellen aveva alzato gli occhi dal rattoppo logoro che stava esaminando sul tappeto orientale nella sala d’attesa dell’ambasciata e si era resa conto che l’attaché di Andrew Strawbridge le stava sorridendo.
«Presto», le aveva detto con un vellutato accento inglese. «L’ambasciatore Strawbridge sarà qui.»
«Grazie. Non mi spiace aspettare.»
La lettera era ancora nella sua borsetta. Rudy si era alzato attorno alle sei e, senza sapere che lei era nel suo studio, era uscito nel cortile dove aveva fatto una ventina di minuti di tai chi, un tai chi di alto livello, per quanto ne capiva lei. Sapeva che praticava quella splendida arte marziale e di tanto in tanto l’aveva osservato esercitarsi da solo nel cortile. Non aveva mai pensato di chiedergli se poteva unirsi a lui e lui, coerente con il suo carattere riservato, non le aveva mai proposto di farlo. Quella mattina, tuttavia, l’aveva osservato mentre si esercitava. Più tardi, durante la colazione a base di frittatine ai funghi e brie che lui aveva cucinato alla perfezione, aveva appreso che insegnava tai chi in un vicino centro ricreativo.
Era stata parecchie volte sul punto di parlare della lettera e di confessare ciò che aveva fatto, ma ogni volta si era tirata indietro. Quando si erano abbracciati, mentre lei si preparava per tornare a Washington, come avevano fatto centinaia di volte nel corso degli anni, era stato come se si fossero toccati per la prima volta.
Perché diavolo non hai infilato quella dannata lettera nella cassetta della posta quando hai avuto intenzione di farlo? aveva pensato mentre partiva.
«Signora Kroft? Signora Kroft, sono Andrew Strawbridge», si era presentato l’ambasciatore, con voce melodica e profonda.
Svegliata di soprassalto dalle sue fantasticherie per la seconda volta, Ellen era balzata in piedi, aveva mormorato una scusa e stretto la mano dell’ambasciatore. Era un uomo piccolo, esile e vivace, con cordiali occhi marrone intenso e una pelle profondamente nera. Il viso era leggermente butterato, probabilmente a causa di una malattia infettiva infantile.
«Grazie per essere venuto ad accogliermi di persona.»
«Leighton si è già alzato dalla sua sedia una volta», aveva replicato lui, ammiccando, «non volevo affaticarlo. In verità, sono venuto personalmente perché la sua telefonata di ieri mi ha incuriosito e non vedevo l’ora di conoscerla.»
«Grazie.»
«Ha detto che lei faceva parte della commissione che di recente ha approvato il supervaccino?»
«Sì. Alla fine però non ho votato né a favore né contro l’approvazione dell’Omnivax. Mi sono astenuta.»
«A volte, l’astensione è una dichiarazione molto forte», aveva osservato lui.
Le aveva fatto strada in un ufficio spazioso dalle pareti ricoperte di pannelli in mogano, con un tavolo da conferenze e una parete nascosta da scaffali pieni di libri. Una bandiera a strisce verdi, bianche e blu incorniciata era appesa dietro la scrivania. Sulle altre due pareti spiccavano le solite fotografie di diplomatici e dignitari che si stringevano le mani e una carta geografica della Sierra Leone.
«Caffè? Tè?» aveva chiesto l’ambasciatore. «Prendo in giro Leighton, ma in verità mi è di grande aiuto e prepara un caffè ottimo.»
Ellen si era raffigurata i piccoli eserciti di impiegati che facevano funzionare le altre ambasciate che aveva visitato.
«In questo caso, un caffè nero, grazie.»
«Leighton, per favore, caffè nero per la signora Kroft e il solito per me.» Lasciata la porta socchiusa, le aveva indicato una sedia di fronte alla scrivania. «E così lei è qui per parlarmi di un vaccino.»
«Sì, quello contro la febbre di Lassa.»
Strawbridge aveva sospirato.
«Un tema delicato per noi, temo, signora Kroft.»
«Non capisco.»
«La società che aveva creato il Lasaject circa dieci armi fa è la Columbia Pharmaceuticals, situata poco distante da qui.»
«Questo lo so.»
«Per quanto ne sappiamo, il vaccino è molto efficace. È d’accordo con me?»
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