Giorgio Faletti - Io sono Dio

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Non c’è morbosità apparente dietro le azioni del serial killer che tiene in scacco la città di New York. Non sceglie le vittime seguendo complicati percorsi mentali. Non le guarda negli occhi a una a una mentre muoiono, anche perché non avrebbe abbastanza occhi per farlo. Una giovane detective che nasconde i propri drammi personali dietro a una solida immagine e un fotoreporter con un passato discutibile da farsi perdonare sono l’unica speranza di poter fermare uno psicopatico che nemmeno rivendica le proprie azioni. Un uomo che sta compiendo una vendetta terribile per un dolore che affonda le radici in una delle più grandi tragedie americane. Un uomo che dice di essere dio.

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Un brusio e un lamento alle sue spalle. Senza voltarsi il sacerdote capì che una delle donne presenti era svenuta. Il rapper continuò a spargere intorno il suo livore.

«Io volevo solo fare del bene. Aiutare mio fratello e quel posto del cazzo dove state.»

Jonas Manson infilò una mano in tasca e quando la tirò fuori stringeva un coltello. Padre McKean lo sentì aprirsi con uno scatto secco e vide la lama scintillare nella luce. Il vociare intorno aumentò e divenne scalpiccio di piedi sul legno della terrazza. Salirono le urla isteriche di paura di un paio di donne.

Con il coltello in mano, Jonas si girò verso Jubilee, che lo guardava terrorizzato.

«Hai sentito, fratellino? Questa cornacchia fa il grand’uomo.»

Jubilee fece ancora un passo indietro, mentre Jonas si avvicinava ai quadri. Padre McKean si spostò per cercare di intercettarlo ma Dude si mosse con una agilità impressionante per uno della sua mole. Gli passò le braccia intorno al busto e lo immobilizzò. Quando lo strinse il sacerdote sentì il dolore percorrergli i muscoli e l’aria uscirgli dai polmoni senza possibilità di ritorno.

«Startene tranquillo, prete. Sono questioni di famiglia.»

Ancora il teppista si rivolse a Jubilee, che pareva sul punto di svenire.

«E così, tu non dici niente. Permetti a questo pezzo di merda di insultare tuo fratello.»

Fece un gesto veloce e in un fruscio di tela strappata un lungo taglio in diagonale si aprì sul quadro che aveva davanti. Stava per fare la stessa cosa con il dipinto successivo, quando da un punto alla loro destra arrivò una voce.

«Bene, ragazzi, vi siete divertiti abbastanza. Adesso giù il coltello e sdraiatevi a terra.»

Padre McKean girò la testa e vide un agente in divisa, che stava in piedi sul prato e teneva una pistola puntata su Jonas. Il rapper lo guardava indifferente, come se avere una pistola puntata addosso fosse per lui un fatto abituale.

Il poliziotto fece un gesto impaziente con la sua arma.

«Hai sentito quello che ho detto? Sdraiati a terra con le mani dietro la testa. E tu scimmione molla quell’uomo.»

Padre McKean sentì la pressione allentarsi e recuperò tutta l’aria che poteva. Dude si staccò e raggiunse il suo capo. Lentamente, come se fosse per loro gentile concessione e non per un’imposizione arrivata da fuori, si sdraiarono a terra e misero le mani sopra il capo.

Mentre l’agente li teneva sotto controllo e chiamava rinforzi via radio, il sacerdote, finalmente libero, si girò verso il laghetto. Percorse la sponda e la pista ciclabile con l’ansia del suo sguardo, alla ricerca di qualcuno che non riuscì a trovare.

Il suo incubo, l’uomo con la giacca verde, era sparito.

CAPITOLO 28

Vivien ascoltò preoccupata il variare del rumore del motore, mentre l’elicottero scendeva di quota.

Non le piaceva volare. Non le piaceva essere in balia di un mezzo sconosciuto del quale non aveva il controllo, che la faceva sobbalzare a ogni turbolenza e la metteva in apprensione a ogni variazione dei giri del rotore. Si sporse dal finestrino a osservare il suolo che si avvicinava.

Sospese in una massa nera di oscurità che pareva avere invaso tutta la terra, sotto di loro c’erano le luci del mondo. Quella trionfale di una grande città e quelle più staccate, satelliti, dei piccoli centri che la circondavano.

L’elicottero si inclinò e fece una virata agile verso destra. In basso, dritti alla prua dell’apparecchio, segnali luminosi delimitavano la pista di un piccolo aeroporto.

La voce intubata del pilota le arrivò nelle cuffie di sorpresa. Per tutto il tempo non avevano scambiato una parola.

«Fra poco atterreremo.»

Vivien accolse con piacere quella notizia. Sperava di partire per il viaggio di ritorno con un risultato che le consentisse di affrontare con un diverso stato d’animo quella parentesi nel vuoto e nel nero.

Erano stati colti dall’oscurità a metà del tragitto e Vivien aveva capito il bisogno di una macchina dotata del volo strumentale, anche se non riusciva a capacitarsi di come il pilota potesse districarsi e decifrare qualcosa in quell’orgasmo di schermi colorati che aveva di fronte.

Di fianco a lei, appoggiato al vetro dalla sua parte, la testa leggermente inclinata all’indietro, Russell si era tolto le cuffie e dormiva, russando un poco. Vivien rimase qualche istante a osservarlo al riverbero delle luci del quadro comandi. Ne ebbe in cambio l’immagine del suo capo appoggiato sul cuscino, il suo respiro regolare nella penombra, la sera in cui si era alzata dal letto per raggiungere la finestra.

La sera in cui il mondo era esploso, in tutti i sensi.

Come se quell’immagine fosse stata proiettata di prepotenza nel suo sonno, Russell aprì gli occhi.

«Devo essermi addormentato.»

«A meno che tu non russi anche da sveglio, direi di sì.»

Si girò a guardare fuori dal finestrino, sbadigliando.

«Dove siamo?»

«Stiamo scendendo. Siamo arrivati.»

«Bene.»

Vivien tornò a studiare il terreno sotto di loro che, dopo quella breve assenza, si preparava a riceverli di nuovo, anche se a molte miglia di distanza dal posto da cui erano partiti. Sentiva l’urgenza risucchiarla verso il basso come un vortice e la responsabilità gravarle sulle spalle molto di più dell’aria che aveva sopra di lei.

Dopo il suo colloquio con Jeremy Cortese, ci era voluto quasi tutto il resto della giornata per arrivare a un risultato. Bellew si era messo in contatto con Willard, il capo della Polizia, che subito aveva disposto il supporto che serviva per quel tipo di ricerca. Un numero imprecisato di agenti si era sparpagliato per gli ospedali grandi e piccoli di Manhattan, del Bronx, del Queens e di Brooklyn.

Codice RFL.

L’indagine era stata estesa anche a quelli del New Jersey, chiedendo l’appoggio della Polizia locale. Loro tre erano rimasti in attesa nell’ufficio al secondo piano, ognuno alle prese con i suoi spettri personali e i suoi dubbi mezzi per esorcizzarli.

Vivien aveva diviso il suo tempo fra il desiderio che il telefono del capitano squillasse e il timore che squillasse il suo cellulare, portando cattive notizie dalla clinica dove era ricoverata Greta. Russell si era seduto su una poltrona e aveva appoggiato le gambe sul tavolino davanti a lui. Guardava nel vuoto, dimostrando un potere di astrazione di cui lei non lo faceva capace. Il capitano aveva continuato per tutto il tempo a leggere dei rapporti, ma Vivien era pronta a scommettere che di quello che c’era sulle pagine non aveva assimilato una sola parola. Il silenzio era diventato la tela di un ragno dalla quale nessuno aveva voglia di districarsi. I discorsi avrebbero portato solo altre congetture e altre speranze e in quel momento tutto quello che serviva era un messaggio concreto dalla realtà.

Quando il telefono sulla scrivania era squillato, la luce oltre i vetri segnava sui muri l’approssimarsi del tramonto. Il capitano aveva portato all’orecchio la cornetta con una rapidità che, nonostante le circostanze, Vivien era riuscita a definire dentro di sé da cartone animato.

«Bellew.»

L’espressione impassibile del capitano non aveva dato soddisfazione ai visi ansiosi di Russell e di Vivien.

«Aspetta.»

Aveva preso una penna e un foglio e Vivien lo aveva visto scrivere sotto dettatura parole frettolose.

«Magnifico lavoro, ragazzi. I miei complimenti.»

Il ricevitore non era ancora tornato al suo posto che il capitano aveva sollevato la testa e teso verso di lei l’appunto che si era segnato. Vivien l’aveva preso come un oggetto che era stato nel fuoco fino a poco tempo prima.

«Abbiamo un nome. Dal Samaritan Faith Hospital a Brooklyn. Un paio di infermiere di turno ricordano benissimo un tipo del genere. Dicono che era un autentico mostro, sfigurato da capo a piedi. È morto poco più di sei mesi fa.»

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