E Dio sapeva quanto ci fosse bisogno anche di verità. La carta stampata, dopo aver riferito e documentato le conseguenze degli attentati, dopo essersi lanciata sulla pista delle possibili rivendicazioni, molto presto si sarebbe scatenata in una violenta campagna contro l’operato della Polizia e degli altri organismi inquirenti, accusandoli di non essere in grado di garantire la sicurezza dei cittadini. Un atto criminale come quello che stava devastando la città avrebbe avuto ben presto delle ripercussioni politiche e offerto un valido pretesto a chiunque avesse voluto attaccare Willard o il sindaco o chi per loro. Ogni persona con un minimo di autorità e di coinvolgimento in quella storia, lei compresa, sarebbe stato investito da quella bufera che dall’alto si sarebbe sfogata senza possibilità di controllo verso il basso.
Il telefono nella tasca si mise a squillare. Dal display vide che era il cellulare personale di Bellew.
Rispose con la speranza assurda di sentirsi dire che era tutto finito.
«Dimmi, Alan.»
«Dove siete?»
«Siamo atterrati adesso. Ci stiamo dirigendo verso la casa del soggetto.»
A quel punto si erano persi i nomi e gli uomini. Era caduta ogni traccia di identità, sostituita da parole fredde e impersonali, quelle che permettevano di avere nel mirino non un essere umano ma solo «il soggetto» o «una persona sospetta».
«Perfetto. Per quanto riguarda noi, abbiamo scoperto una cosa curiosa, che non so interpretare.»
«Vale a dire?»
«Siamo arrivati a casa di Wendell Johnson. Non ci abbiamo trovato nessuno, naturalmente. Però questo tipo, pur sapendo di essere in uno stadio terminale, poco prima di essere ricoverato ha pagato l’affitto per un anno.»
«Strano.»
«L’ho trovato strano anche io.»
Il capitano Caldwell spense le luci sul tetto. Vivien capì che stavano per arrivare a destinazione.
«Alan, ci siamo. Ti chiamo appena ho notizie.»
«Okay. A dopo.»
La macchina svoltò sulla sinistra e dopo aver visto sfilare una serie di case tutte uguali, si fermò al fondo di quella breve via che era Fulton Street. Di fianco a loro c’era il numero 88, una villetta alla quale, da ciò che potevano vedere, avrebbe fatto piacere una riverniciata e una sistemata al tetto. Le finestre erano illuminate e Vivien ringraziò di non dover tirare nessuno giù dal letto. Sapeva che in quella eventualità ci sarebbe voluto parecchio tempo prima di poter parlare con persone davvero presenti a se stesse.
«È qui.» Scesero in silenzio dalla macchina e percorsero in fila indiana il vialetto d’ingresso. Vivien lasciò andare avanti il poliziotto locale, per lasciargli il senso della sua autorità.
Caldwell suonò il campanello accanto alla porta. Poco dopo, dalle strisce di vetro smerigliato che la scontornavano, filtrò la luce. Un passo leggero e rapido di piedi scalzi si avvicinò e poco dopo l’uscio venne aperto. Un bambino biondo e lentigginoso sui cinque anni fece capolino oltre il battente. Rimase perplesso ma senza timore nel vedere un uomo in divisa che torreggiava su di lui.
Caldwell si chinò leggermente e gli parlò con voce calma e amichevole.
«Ciao, campione. Come ti chiami?»
Il bambino prese con diffidenza quel tentativo di comunicazione.
«Io sono Billy. Che volete?»
«Dobbiamo parlare con Lester Johnson. È in casa?»
Il bambino corse via, permettendo alla porta di spalancarsi.
«Nonno, c’è la Polizia che ti vuole.»
Davanti ai loro occhi apparve un corridoio che finiva nella scala che portava al piano di sopra. A destra un piccolo vestibolo e a sinistra una porta oltre la quale il bambino si dileguò correndo. Poco dopo ne uscì un uomo sulla sessantina, dall’aria energica, vestito con una camicia azzurra e un paio di jeans sbiaditi. Aveva una chioma ancora folta e occhi vigili che si spostarono a valutare una per una le persone che aveva fuori dalla porta.
Vivien pensò che in certe prigioni quella era la tenuta dei carcerati.
Lasciò al poliziotto in divisa l’incarico di condurre le operazioni. Era il suo territorio e Vivien glielo doveva. Sperava che al momento giusto avrebbe avuto l’accortezza di farsi da parte.
«Il signor Lester Johnson?»
«Sì, sono io. Che volete?»
Quella frase sembrava fare parte del patrimonio dialettico della famiglia, perché era la stessa che aveva pronunciato il bambino.
«Sono il capitano Caldwell. Io…
«Sì, lo so chi è lei. Chi sono loro, piuttosto.»
Vivien decise che quello era il momento di farsi avanti.
«Sono la detective Vivien Light, della Polizia di New York. Avrei bisogno di parlare con lei.»
Lester Johnson la valutò un istante, un rapido esame compiaciuto che comprendeva anche e soprattutto il suo aspetto fisico.
«Okay. Venite di qua.»
Li guidò oltre la porta dalla quale era sbucato lui e sparito il bambino. Si trovarono in un ampio soggiorno, con divani e poltrone. Su una di queste Billy era seduto a guardare i cartoni animati su un televisore a schermo piatto. Nonostante l’aspetto migliorabile dell’esterno, l’interno era molto curato nella scelta dei tessuti e della tappezzeria in colori naturali. Vivien pensò che ci doveva essere la mano di una donna in quegli abbinamenti.
Lester Johnson si rivolse con voce autorevole a suo nipote.
«Billy, è ora di andare a letto.»
Il bambino si girò e tentò una debole protesta.
«Ma nonno…»
«Ho detto che è ora di andare a letto. Vai in camera tua senza fare storie.»
La voce del nonno non ammetteva deroghe. Il bambino spense il televisore e passò davanti a loro, imbronciato. Senza salutare nessuno, sparì dietro l’angolo. Poco dopo sentirono il rumore dei suoi piedi nudi sulle scale affievolirsi fino a sparire.
«Mio figlio e mia nuora sono in libera uscita, stasera. E io con il piccolo sono di manica un poco più larga dei genitori.»
Dopo quel laconico spaccato della sua vita privata, il loro ospite indicò il divano e le poltrone.
«Accomodatevi.»
Vivien e Caldwell si sedettero sul sofà e Lester Johnson sulla poltrona di fronte. Russell scelse quella più lontana.
Vivien decise di arrivare subito al dunque.
«Signor Lester, lei è parente di un certo Wendell Johnson?»
«Era mio fratello.»
«Perché dice era?»
Lester Johnson fece un gesto vago con le spalle.
«Perché all’inizio del 1971 è partito per il Vietnam e da allora non ne ho saputo più nulla. Non è stato dichiarato né morto né disperso in azione. Il che vuol dire che è uscito vivo dalla guerra. Se ha preferito non farsi più vedere o sentire, affari suoi. In ogni caso ha smesso di essere mio fratello da molto tempo.»
Vivien sentendo liquidare in quel modo un rapporto fraterno, d’istinto si girò a osservare Russell. Il suo sguardo si era per un attimo indurito ma subito dopo tornò nel posto che aveva deciso di occupare, vale a dire al silenzio e all’ascolto.
«Wendell, prima di partire, lavorava nell’edilizia?»
«No.»
Quel monosillabo suonò alle orecchie di Vivien come una cattiva profezia. Cercò rifugio nell’illusione.
«Ne è sicuro?»
«Signorina, sono abbastanza anziano da poter essere un poco rincoglionito. Ma non al punto di non ricordare che cosa faceva mio fratello finché è rimasto qui. Lui aveva aspirazioni da musicista. Suonava la chitarra. Non avrebbe mai fatto un lavoro nel quale poteva correre il rischio di rovinarsi le mani.»
Il disagio di Vivien si stava a poco a poco trasformando in gelo. Tirò fuori dalla tasca interna del giubbotto le foto che li avevano guidati fino a Hornell. Le porse all’uomo seduto davanti a lei.
«È questo Wendell?»
Lester si chinò a guardarle senza prenderle in mano. La sua risposta arrivò dopo un attimo e sembrò durare per sempre.
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