Giorgio Faletti - Io sono Dio

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Non c’è morbosità apparente dietro le azioni del serial killer che tiene in scacco la città di New York. Non sceglie le vittime seguendo complicati percorsi mentali. Non le guarda negli occhi a una a una mentre muoiono, anche perché non avrebbe abbastanza occhi per farlo. Una giovane detective che nasconde i propri drammi personali dietro a una solida immagine e un fotoreporter con un passato discutibile da farsi perdonare sono l’unica speranza di poter fermare uno psicopatico che nemmeno rivendica le proprie azioni. Un uomo che sta compiendo una vendetta terribile per un dolore che affonda le radici in una delle più grandi tragedie americane. Un uomo che dice di essere dio.

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Si disse che era successo quello che tante volte nella vita succedeva.

Troppe volte, forse. Era stata una notte piena dell’unico amore che il tempo non copriva di brina, quello che si accendeva la sera per spegnersi con il sole il mattino dopo. Lui l’aveva presa così e lei doveva prenderla nello stesso modo.

Ma se sono il prezzo da pagare per avere te, le accetto volentieri…

«Vaffanculo, Russell Wade.»

Pronunciò ad alta voce il suo esorcismo di strada e rimase in piedi, appoggiata al bancone a bere un caffè di cui non aveva nessuna voglia. Si costrinse a pensare ad altro.

All’Hornell Municipal Airport, poco prima che l’elicottero si staccasse da terra per riportarli a New York, aveva chiamato il capitano per metterlo al corrente delle brutte novità. Dopo che gli aveva esposto i fatti, un breve silenzio dall’altra parte le aveva detto che Bellew stava cercando di soffocare un’imprecazione.

«Tutto da rifare, allora.»

Vivien non si era data per vinta.

«Una strada c’è ancora da battere.»

«Dimmi.»

Una leggera nota di sfiducia nella voce del capitano.

«Bisogna risalire al periodo della guerra in Vietnam. Dobbiamo a ogni costo sapere che cosa è successo al vero Wendell Johnson e a quell’altro ragazzo soprannominato Little Boss. È l’unico appiglio che ci resta.»

«Chiamo il capo. A quest’ora non credo sia possibile fare nulla ma vedrai che domattina si metterà subito in moto.»

«Okay. Tienimi informata.»

La risposta era stata falciata dal rotore che iniziava a dividere l’aria in quella sopra e quella sotto. Lei e Russell erano saliti sull’elicottero e per tutto il viaggio nessun rumore era sembrato abbastanza forte da spezzare il loro silenzio.

Il telefono di fianco a lei squillò. Come evocato dal suo pensiero, sul display era visualizzato il numero di Bellew.

Vivien rispose.

«Eccomi.»

«Come stai?»

«Sto. Hai novità?»

«Sì. E non buone.»

Attese in silenzio che arrivasse la doccia fredda appena annunciata.

«Willard stamattina presto si è messo in contatto con l’esercito. Il nome di Wendell Johnson è legato al segreto militare. Non è possibile accedere alla sua cartella.»

Vivien sentì il calore della furia prenderle lo stomaco.

«Ma sono pazzi. In un caso come questo…»

La voce di Bellew la interruppe.

«Lo so. Dimentichi due cose, però. La prima è che non possiamo rivelare nei dettagli quello a cui stiamo lavorando. La seconda è che se anche lo facessimo sarebbe una traccia troppo labile per far crollare di colpo il muro. Il capo ha richiesto sulla fiducia l’intervento del sindaco, il quale ha la possibilità di consultare il presidente. Ma in ogni caso ci sono delle prassi che richiedono un minimo di tempo anche all’uomo più importante d’America. E se Russell ha visto giusto, il tempo è proprio quello che ci manca.»

«È pazzesco. Tutta quella gente morta…»

La frase sospesa era un riferimento più che esauriente a quella che poteva ancora morire.

«Già. Però non possiamo fare nulla, adesso.»

«Altre novità?»

«Una piccola cosa, per tua personale soddisfazione. L’esame del DNA ha dimostrato che l’uomo nel muro è davvero Mitch Sparrow. Avevi visto giusto.»

In un altro momento, quello sarebbe stato un segnale di successo. Una vittima identificata e il suo assassino già punito da una giustizia che andava oltre la loro comprensione. Ora era solo un misero orgoglio senza consolazione.

Vivien cercò di reagire allo sconforto. C’era una cosa che poteva fare, nell’attesa.

«Voglio andare a dare un’occhiata all’appartamento di quell’uomo.»

Stava per dire Wendell Johnson ma si rese conto che quel nome non aveva più senso. Ormai era tornato a essere anche per loro il Fantasma del Cantiere.

«Ho detto agli uomini di non toccare nulla. Sapevo che lo avresti fatto.

Mando un agente ad aspettarti con le chiavi.»

«Molto bene. Ci vado subito.»

«Una curiosità. In tutto l’appartamento non ci sono quasi impronte digitali. E di quelle poche non ce n’è una che corrisponda a quelle di Wendell Johnson che mi sono fatto mandare dal capitano Caldwell.

«Questo significa che le ha ripulite?»

«Forse. Oppure che il nostro uomo non aveva impronte digitali.

Probabilmente cancellate quando ha subito le ustioni.»

Un fantasma.

Senza nome, senza volto, senza impronte.

Un uomo che nemmeno dopo la morte accettava di avere un’identità.

Vivien si chiese quali esperienze avesse vissuto quello sventurato e quali sofferenze avesse attraversato per diventare quello che era diventato, nel corpo e nello spirito. Si chiese per quanto tempo avesse maledetto la società che lo circondava, che si era presa la sua vita senza dargli nulla in cambio. Sul come l’avesse maledetta non c’erano dubbi. Decine di morti ne erano la prova più che esauriente.

«Va bene. Mi muovo.»

«Tieniti in contatto.»

Vivien chiuse la comunicazione e infilò il telefono nella tasca dell’accappatoio. Sciacquò la tazza nel lavandino e la pose ad asciugare nello scolapiatti. Andò in bagno e aprì l’acqua della doccia. Poco dopo, godendo dello scroscio tiepido sul corpo nudo, non riusciva a fare a meno di pensare che tutta quella storia rasentava il grottesco, nella sua drammaticità. Non per il risultato sfuggente, ma per come la sorte le offriva sempre nuove derisorie vie di fuga, per i sorprendenti nascondigli che la verità era in grado di trovare.

Uscì dalla doccia, si asciugò e si vestì, indossando abiti puliti. Quando infilò nel cesto della biancheria sporca quelli che portava il giorno prima, le parve di sentire l’odore della delusione, che nella sua immaginazione corrispondeva a quello dei fiori morti.

Quando fu pronta, prese il telefono e chiamò Russell.

Una voce impersonale le disse che il telefono era spento o non raggiungibile.

Strano.

Le sembrava impossibile che la sua ansia di partecipazione, l’opportunità che aveva di fronte e l’acume dimostrato durante le indagini gli permettessero quella noncuranza. Forse era rimasto addormentato. Tutte le persone abituate a una vita disinvolta sviluppavano la capacità di dormire a comando e a oltranza, proprio come riuscivano a superare i normali limiti della veglia.

Peggio per lui…

Sarebbe andata da sola a fare il sopralluogo nell’appartamento. Era il modo in cui era abituata a lavorare e le sembrava ancora e sempre il migliore. Scese le scale e uscì all’aperto. Fuori trovò il sole e il cielo azzurro che in quel periodo continuavano a blandire la terra.

Quando arrivò al suo posto macchina, di fianco all’auto c’era Russell.

Era in piedi, di spalle. Vide che anche lui si era cambiato, per quanto i suoi vestiti risentissero della permanenza troppo lunga in una borsa. Stava osservando il fiume, dove una chiatta risaliva con calma la corrente trainata da un rimorchiatore. C’era in quell’immagine un messaggio di vittoria contro la sorte avversa che in quel momento era difficile da condividere.

Sentendo un passo dietro di sé, Russell si girò.

«Ciao.»

«Ciao. È molto che sei qui?»

«Un po’.»

Vivien indicò il suo portone poco lontano.

«Potevi salire.»

«Non ti volevo disturbare.»

Vivien si disse che in realtà non voleva trovarsi da solo con lei. Questa era forse l’interpretazione giusta da dare alle sue parole. In ogni caso accertarlo non avrebbe cambiato il senso delle cose.

«Ti ho chiamato e avevi il telefono spento. Pensavo che avessi gettato la spugna.»

«Non me lo posso permettere. Per tutta una serie di motivi.»

Vivien non ritenne opportuno chiedere quali. Fece scattare le serrature della Volvo e aprì la portiera. Russell passò dall’altra parte e si sedette sul sedile del passeggero. Mentre avviava il motore si informò sulla loro destinazione.

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