Nel pomeriggio, mentre erano quasi tutti in giardino a vivere quella splendida giornata di sole, li avevano raggiunti Vivien e Sundance. Se la ragazza era dispiaciuta che la piega degli eventi avesse costretto le autorità a rinviare il concerto non lo aveva dato a vedere. Era serena e pareva felice di essere tornata a Joy.
Lei e la sua giovane zia sembravano molto più unite di quando il giorno prima Vivien era salita a prenderla. L’imbarazzo fra loro sembrava dissolto e pareva che quel difficile rapporto avesse intrapreso un viaggio verso un posto diverso. Ma soprattutto in un modo diverso.
Questa impressione gli era stata confermata quando Vivien, con parole che rasentavano l’euforia, gli aveva riferito quello che era successo con la nipote, di quella nuova ritrovata confidenza e unione, che tutti loro avevano inseguito con ansia e conseguito a fatica nel corso del tempo.
Adesso, alla luce del sole e di un giorno nuovo, si rendeva conto di quanto fosse stato poco gratificante verso quell’entusiasmo il suo comportamento del giorno prima. Non aveva potuto fare a meno di continuare a informarsi con la detective della tragedia della 10ma Strada, delle sue conseguenze e delle sue implicazioni, cercando in modo quasi ossessivo di capire se nelle mani della Polizia c’era una traccia, un collegamento, un’idea su chi potesse avere compiuto quella strage. Con la tentazione repressa a stento di appartarsi con lei e di riferirle quello che era accaduto e tutte le informazioni che erano in suo possesso.
Adesso si rendeva conto che aveva avuto le risposte che poteva avere, alla luce del fatto che tutto era ancora in divenire e che qualunque informazione fosse in possesso di Vivien, in quanto membro della Polizia, era oggetto di una riservatezza legata alle indagini in corso.
Ognuno aveva i suoi segreti confessionali. E ognuno doveva reggerne il peso, per la responsabilità che si era assunto nel momento in cui aveva pronunciato i suoi voti. Laici o religiosi che fossero.
Ego sum Alpha et Omega…
Padre McKean guardò dalla finestra quel paesaggio verde e azzurro di primavera che di solito lo riempiva di pace. E che adesso ritrovava quasi ostile, come se l’inverno fosse tornato non per quello che c’era fuori ma per gli occhi con cui lo guardava adesso. Dopo che si era alzato dal letto come un sonnambulo, aveva fatto una doccia, si era vestito e aveva detto le sue preghiere con un fervore nuovo. Poi si era aggirato per la stanza, stentando a riconoscere gli oggetti che aveva intorno. Cose povere, familiari, oggetti di tutti i giorni, che se pure rappresentavano le difficoltà quotidiane della sua vita, parevano d’un tratto appartenere a un tempo felice perduto per sempre.
Bussarono alla porta.
«Sì?»
«Michael, sono John.»
«Entra.»
Padre McKean se lo aspettava. Di solito al lunedì mattina avevano sempre una riunione per discutere delle attività e degli obiettivi della settimana. Era un momento difficile ma anche di gratificante impegno e di lotta contro le avversità, alla luce del fine comune che la piccola comunità di Joy si era prefissa. Tuttavia quel giorno il suo factotum entrò con l’aria di chi avrebbe voluto trovarsi in un altro posto e in un altro tempo.
«Scusa se ti disturbo ma c’è una cosa della quale devo assolutamente discutere con te.»
«Nessun disturbo. Che succede?»
L’uomo ritenne opportuno un breve preambolo, date la confidenza e la stima che c’erano fra loro.
«Mike, non so che cosa ti sia successo ma sono certo che a tempo debito mi metterai al corrente. E mi dispiace venire qui a seccarti adesso.»
Per l’ennesima volta il reverendo McKean si rese conto del grande tatto di John Kortighan e di quanto era fortunato ad avere una persona del suo calibro nello staff di Joy.
«Non fa niente, John. Nulla di importante. Passerà presto, credimi.
Dimmi tu, piuttosto.»
«Abbiamo dei problemi.»
A Joy c’erano sempre dei problemi, di varia natura. Con i ragazzi, con il denaro, con certi collaboratori, con le tentazioni del mondo esterno. Ma quelli che erano stampati sul viso di John sembravano nuovi e particolarmente importanti.
«Ho parlato con Rosaria, stamattina.»
Rosaria Carnevale era una parrocchiana di Saint Benedict, di chiara origine italiana, che abitava a Country Club ma che dirigeva una filiale della M&T Bank a Manhattan, quella che si occupava degli interessi economici della comunità e della gestione del patrimonio lasciato dall’avvocato Barry Lovito.
«Che dice?»
John riportò quello che non avrebbe mai voluto dire.
«Dice che ha fatto i salti mortali, durante la causa in corso, per continuare a farci avere il versamento mensile che lo statuto prevede. Ma adesso, su istanza dei presunti eredi dell’avvocato, ha ricevuto una nuova ingiunzione dal tribunale. I pagamenti sono sospesi sino alla sentenza e alla risoluzione della vertenza in corso.»
Questo significava che fino a quando il giudice non si fosse pronunciato, a parte il contributo dello Stato di New York, la principale forma di sostentamento della comunità sarebbe venuta a mancare. Per le sue notevoli necessità, Joy avrebbe dovuto, da quel momento in poi, fare affidamento sulle sue sole forze e sulle offerte spontanee della gente di buon cuore.
Padre McKean guardò di nuovo fuori dalla finestra, pensieroso, in silenzio. Quando parlò, per la prima volta John Kortighan sentì lo sconforto nella sua voce.
«Quanto abbiamo in cassa?»
«Poco o niente. Se fossimo una società direi che siamo alla bancarotta.»
Il sacerdote si girò e un piccolo sorriso senza colore fiorì sulle sue labbra.
«Stai tranquillo, John. Ce la caveremo. Come abbiamo sempre fatto.
Anche questa volta ce la caveremo.»
Tuttavia nel suo tono non c’era traccia della sicurezza e della fiducia ostentate, come se avesse detto quelle parole più per illudere se stesso che convincere la persona con cui stava parlando.
John sentì il freddo della realtà impadronirsi a poco a poco dell’aria della stanza.
«Va bene. Ti lascio. Delle altre cose possiamo parlare poi. Sono inezie in confronto a quello che ti ho appena detto.»
«Sì, John, vai pure. Ti raggiungo subito.»
«Okay, allora. Ti aspetto di sotto.»
Padre McKean vide il suo uomo di fiducia uscire e chiudersi delicatamente la porta alle spalle. Quello che gli dispiaceva era sapere che stava male per via della situazione, ma quello che lo feriva davvero era il sospetto di averlo deluso.
Io sono Dio…
Lui non lo era. Né desiderava esserlo. Lui era solo un uomo consapevole dei suoi limiti terreni. Fino a quel momento gli era bastato cercare di servirlo nel modo migliore possibile, accettando tutto quello che gli veniva offerto e tutto quello che gli veniva richiesto.
Ma adesso…
Prese il cellulare dalla scrivania e dopo una breve ricerca sulla rubrica compose il numero dell’arcidiocesi di New York. Qualche squillo di troppo per la sua impazienza e quando una voce dall’altra parte rispose, si qualificò con il centralinista.
«Sono il reverendo Michael McKean della parrocchia di Saint Benedict, nel Bronx. Sono anche il responsabile di Joy, una comunità di recupero di ragazzi che hanno avuto problemi con la droga. Vorrei parlare con l’ufficio dell’arcivescovo.»
Di solito le sue presentazioni erano molto più stringate ma aveva preferito mettere sulla bilancia il carico pesante perché la sua chiamata fosse inoltrata subito.
«Un attimo, padre McKean.»
Il centralinista lo mise in attesa. Pochi secondi dopo una voce lo raggiunse. Una voce giovane e garbata.
«Buongiorno, reverendo. Sono Samuel Bellamy, uno dei collaboratori del cardinale Logan. In cosa posso esserle utile?»
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