Se quel forse sarebbe diventato una certezza lo avrebbe scoperto presto.
La ragazza si fece di lato e gli indicò il corridoio.
«Venga.»
Russell la seguì fino a una porta con il vetro smerigliato e la scritta Capitano Alan Bellew tracciata in corsivo con il pennello da una mano sicura. A Russell ricordò certe immagini di film polizieschi in bianco e nero degli anni Quaranta. La detective spinse la porta senza bussare e si trovarono in un ufficio dai mobili per nulla austeri.
Schedari ai muri sulla sinistra, un armadio sulla destra, un tavolino con due poltroncine e una macchina per il caffè appoggiata sul piano di legno.
Pareti dalla tinta indefinibile. Un paio di discutibili quadri e alcune piante infilate negli anelli di un portavasi in ferro battuto.
Dietro una scrivania piazzata proprio di fronte alla porta c’era un uomo.
Russell non riusciva a inquadrarlo bene a causa del controluce della finestra, appena mitigato dalle veneziane.
L’uomo gli indicò una sedia davanti alla scrivania.
«Sono il capitano Bellew. Si sieda, signor Wade.»
Russell prese posto sulla sedia e la ragazza si spostò a lato, un poco discosta, in piedi. Lo osservava con curiosità, quella che invece il capitano non lasciava trasparire.
Russell decise che era un uomo che sapeva il fatto suo. Non un politico ma un poliziotto, uno che si era guadagnato i gradi e gli incarichi con i risultati sul campo e non con le pubbliche relazioni.
Bellew si appoggiò allo schienale della sedia.
«Mi dice la detective Light che lei pretende di avere delle informazioni importanti per noi.»
«Non lo pretendo. Le ho.»
«Vedremo. Per ora partiamo dall’inizio. Mi parli del suo rapporto con questo Ziggy Stardust.»
«Prima vorrei parlare del mio rapporto con lei.»
«Prego?»
«So che in casi come questi avete un ampio potere discrezionale sulle concessioni da fare a chi fornisce elementi utili alle indagini. Avete a disposizione denaro e tutta una serie di altri privilegi. Addirittura l’immunità, se necessario.»
Il viso del capitano si fece buio.
«Vuole denaro?»
Russell Wade scosse la testa. Un mezzo sorriso gli apparve sulle labbra.
«Fino a due giorni fa un’offerta simile mi avrebbe allettato. Forse anche convinto…»
Chinò la testa e fece una pausa, lasciando la frase in sospeso come se di colpo fosse arrivato un ricordo o un pensiero da inseguire. Poi rialzò la testa.
«Oggi è diverso. C’è solo una cosa che voglio.»
«Ed è lecito sapere quale?»
«Io voglio l’esclusiva. Voglio poter seguire da vicino le indagini in cambio di quello che vi darò.»
Il capitano rimase un attimo a pensare. Quando parlò scandì bene le parole, come se quello che stava esprimendo fosse un concetto da sottolineare in modo molto preciso.
«Signor Wade, direi che lei non si presenta qui fornito delle migliori referenze.»
Russell fece un gesto vago con la mano. E si adeguò al tono del suo interlocutore.
«Capitano Bellew, la mia storia è di dominio pubblico. Tutti sanno che in passato ho ricevuto un Premio Pulitzer che non meritavo e che giustamente mi è stato tolto. Io non nego quelle circostanze, le conosco solo un poco meglio. Le mie responsabilità per quello che ho fatto in passato non hanno scusanti, al massimo delle spiegazioni. Ma non mi sembra questo il momento giusto per darne. La prego di credere che ho da dire cose molto importanti anche se, come dice lei, non mi presento con le migliori credenziali.»
«Perché vuole questo?»
Russell si rese conto che quella era una domanda la cui risposta era determinante. Per il resto della conversazione e per il resto della sua vita.
La stava dando all’uomo che aveva di fronte ma nel contempo la stava dando anche e definitivamente a se stesso.
«Le potrei elencare una lunga serie di motivi. Ma in realtà quello che desidero davvero è smettere di essere un vigliacco.»
Nella stanza cadde il silenzio.
Il capitano rimase a guardarlo a lungo negli occhi. Russell sostenne il suo sguardo senza nessuna fatica.
«Potrei trattenerla come sospetto per l’omicidio di Ziggy Stardust.»
«Di certo sarebbe in suo potere, ma non credo che lo farà.»
Ritenne opportuna una precisazione, in modo da non far sembrare la sua affermazione frutto di pura presunzione.
«Capitano, io non sono uno sciacallo. Se avessi voluto uno scoop sarei andato al “New York Times”, pur con le difficoltà che lei immagina. Ma, mi creda, questo avrebbe gettato nel panico l’intera città. Nel panico più totale. E non ho la minima intenzione di giocare con la vita di migliaia di persone. Perché questo c’è in ballo…»
Fece una breve pausa, guardando prima una e poi l’altra le due persone presenti nella stanza.
«La vita di migliaia di persone.»
Aveva ripetuto l’ultima frase in modo che il concetto fosse chiaro per loro come lo era per lui. Poi lo rinforzò con un messaggio che non sapeva se fosse più difficile da trasmettere o da accettare.
«L’esplosione di sabato, se è come penso io, sarà solo la prima di una lunga serie.»
Si alzò in piedi e fece qualche passo nella stanza.
«Per una serie di motivi, uno dei quali è rappresentato dal caso, ho scelto di parlare di questa cosa con la detective Light e con lei. Ma non è mia intenzione trattenere per me informazioni che potrebbero salvare la vita di così tante persone. Potrei andare all’FBI ma credo che l’idea migliore sia che tutto parta da qui, da questa stanza.»
Tornò davanti alla scrivania. Si appoggiò con le mani sul piano del tavolo e inclinò leggermente il corpo verso l’uomo che stava dall’altra parte.
Ora era lui a cercare lo sguardo del capitano.
«Mi basta la sua parola d’onore che mi permetterà di seguire le indagini da vicino.»
Russell sapeva che fra i corpi investigativi c’era da sempre una certa rivalità. E sapeva che arrivava all’acme fra la Polizia di New York e l’FBI.
Il capitano Bellew aveva l’aria di essere un buon poliziotto e una brava persona. Ma era pur sempre un essere umano. L’idea che il suo Distretto potesse venire a capo di quella faccenda e goderne i meriti di certo poteva essere un elemento di peso.
Il capitano indicò la sedia.
«Si sieda.»
Russell tornò ad accomodarsi. Il capitano Bellew attese che si fosse seduto prima di parlare.
«Va bene. Ha la mia parola d’onore che, se quello che ha da dire è interessante, le darò modo di seguire le indagini. Ma se ci ha fatto perdere del tempo, sarò io personalmente a gettarla a calci nel sedere giù per le scale.»
Una pausa e uno sguardo per ratificare il patto e le sue possibili conseguenze.
«E adesso parli.»
Il capitano fece un gesto a Vivien, che fino a quel momento era stata in silenzio, mantenendo la sua posizione di fianco alla scrivania, ferma ad ascoltare quella conversazione. Russell capì che da quel momento in poi sarebbe stata lei a condurre le operazioni.
E infatti lo fece.
«Che cosa c’entra con lei Ziggy Stardust?»
«Per motivi miei sono stato a casa sua, sabato pomeriggio.»
«Che motivi?»
Russell Wade alzò le spalle.
«Conoscete me. E credo conosceste Ziggy e quello che faceva. Posso dire che il motivo non ha importanza, per il momento?»
«Vada avanti.»
«Ziggy abitava in un seminterrato. Quando sono arrivato a casa sua e ho svoltato l’angolo al fondo delle scale, ho visto una persona con una giacca militare che imboccava con una certa fretta la scala dall’altra parte del corridoio. Ho pensato che fosse uno dei tanti clienti di Ziggy che non vedeva l’ora di trovarsi lontano di lì.»
«Lo saprebbe riconoscere?»
Russell aveva percepito la trasformazione della ragazza e ne rimase impressionato in modo molto favorevole. Da semplice spettatrice adesso era diventata quella che faceva le domande con l’atteggiamento di chi sapeva il fatto suo.
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