Giorgio Faletti - Io sono Dio

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Non c’è morbosità apparente dietro le azioni del serial killer che tiene in scacco la città di New York. Non sceglie le vittime seguendo complicati percorsi mentali. Non le guarda negli occhi a una a una mentre muoiono, anche perché non avrebbe abbastanza occhi per farlo. Una giovane detective che nasconde i propri drammi personali dietro a una solida immagine e un fotoreporter con un passato discutibile da farsi perdonare sono l’unica speranza di poter fermare uno psicopatico che nemmeno rivendica le proprie azioni. Un uomo che sta compiendo una vendetta terribile per un dolore che affonda le radici in una delle più grandi tragedie americane. Un uomo che dice di essere dio.

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Cercò di lasciarsi alle spalle ogni altro pensiero e ordinò alla sua mente di concentrarsi sull’indagine che si preparava ad affrontare. Richiamò le immagini di quel braccio che sporgeva dalla breccia di un muro, la desolazione di quella testa incartapecorita appoggiata a una spalla che era solo un residuo di pelle e ossa.

Anche se la pratica le aveva insegnato che tutto era possibile, quella stessa esperienza le faceva temere che sarebbe stato molto difficile risalire all’identità dell’uomo nel cemento. Di solito i cantieri erano un posto molto appetito dalla malavita per nascondere le vittime dei loro regolamenti di conti. Trattandosi di professionisti, spesso i cadaveri venivano sepolti nudi o stracciando dai vestiti tutte le etichette, nel caso remoto di un ritrovamento. Qualcuno addirittura cancellava le impronte digitali con l’acido. Esaminando il corpo, aveva notato che questo non era stato fatto e che le etichette erano al loro posto, per quanto fossero parecchio deteriorate. Significava che forse non si trattava di un professionista, ma di un omicida occasionale che non aveva avuto la freddezza e l’esperienza di eliminare ogni possibile traccia.

Ma chi poteva avere la possibilità di nascondere il corpo in un blocco di cemento? Era abbastanza difficile per chiunque, a meno di non avere la complicità di un addetto ai lavori. O forse il colpevole era proprio uno di loro. Uno che lavorava per un’impresa edile. Il delitto, quale ne fosse il movente, poteva essere l’azione isolata di un uomo comune verso un altro uomo comune, senza nessun coinvolgimento da parte della malavita organizzata.

L’unica pista era rappresentata da quelle foto, soprattutto da quel bizzarro gatto nero a tre…

«Cazzo!»

Si era fatta prendere dai suoi pensieri e non si era accorta che lo svincolo per la Hutchinson River Parkway era bloccato da una coda di macchine.

Frenò bruscamente, deviando verso sinistra per non tamponare l’auto che la precedeva. Il guidatore di un grosso pick-up alle sue spalle suonò con forza il clacson. Vivien vide dallo specchietto retrovisore che sporgendosi verso il parabrezza le stava mostrando il dito medio.

Di solito detestava ricorrere a certi mezzi quando non era in servizio, ma quella sera decise che aveva fretta. La propria distrazione, più che il gesto dell’uomo, l’aveva innervosita. Prese il lampeggiante magnetico dietro al sedile, aprì il finestrino, lo accese e lo appoggiò sul tetto.

Con un sorriso, vide l’uomo abbassare di colpo la mano e ritrarsi. Le macchine davanti a lei, nei limiti del possibile, accostarono per agevolare il suo passaggio. Si fece strada in direzione di Zerega Avenue e un paio di isolati dopo aver svoltato sulla Logan si trovò di fianco alla chiesa di Saint Benedict.

Parcheggiò la XC60 in un posto libero dal lato opposto della strada.

Rimase un attimo a osservare la facciata in mattoni chiari, la breve scalinata che portava ai tre portoni d’ingresso sormontati da archi a tutto sesto, le colonne e i fregi che li decoravano.

Era una costruzione recente. La sua storia non andava cercata nel passato, ma in quello che stava costruendo nel presente per il futuro. Mai Vivien avrebbe pensato che un posto come quello potesse un giorno diventarle così familiare.

Scese dalla macchina e attraversò la strada.

C’era già nell’aria quella penombra che confonde il colore dei gatti ma restava ancora luce a sufficienza per riconoscere una persona. Stava per avviarsi verso il priorato quando vide padre Angelo Cremonesi, uno dei vicari della parrocchia, uscire dal portone centrale insieme ad altre due persone, un uomo e una donna. Di solito le confessioni erano il sabato dalle quattro alle cinque ma nessuno era troppo fiscale e gli orari si rivelavano sempre abbastanza elastici.

Vivien salì i pochi gradini e lo raggiunse. Il prete rimase ad attenderla e la coppia che era con lui si allontanò.

«Buonasera, signorina Light.»

«Buonasera, reverendo.»

Vivien gli strinse la mano. Era un uomo che aveva superato la sessantina, con i capelli bianchi, un aspetto vigoroso e uno sguardo mite.

La prima volta che lo aveva incontrato le aveva ricordato Spencer Tracy in un vecchio film.

«È venuta a prendere sua nipote?»

«Sì. Ho parlato con padre McKean e tutti e due crediamo sia arrivato il momento di provare a farle passare un paio di giorni a casa. Lunedì mattina la riporto qui.»

Pronunciarne il nome le richiamò alla mente il viso e lo sguardo di Michael McKean. Aveva un volto espressivo e occhi che davano la sensazione di poter arrivare dentro le persone e oltre le pareti. Senza tuttavia forzare nessuna serratura o abbattere nessun muro. Forse era questa sua capacità di vedere oltre che lo faceva essere presente ogni volta che c’era bisogno di lui.

Il vicario, un uomo docile ma un poco pignolo, tenne a precisare i fatti.

«Padre McKean oggi non c’è e si scusa per questo. I ragazzi sono ancora al molo. Una persona gentile di cui non ricordo il nome ha offerto loro un giro in barca a vela. Mi ha appena chiamato John. Sa del vostro accordo con Michael e ha detto di avvertirla che stavano finendo di sistemare le loro cose e che fra poco saranno qui.»

«Molto bene.»

«Vuole attendere nel priorato?»

«No grazie, padre. Li aspetto in chiesa.»

«Allora a presto, signorina Light.»

Il sacerdote si allontanò. Forse aveva scambiato la sua intenzione di attendere in chiesa per devozione. Vivien non si pose il problema. In realtà tutto quello che desiderava in quel momento era restare da sola.

Spinse il battente del portone e superò l’atrio rivestito in legno chiaro, lasciandosi alle spalle le due statue di santa Teresa e san Gerardo poste in una nicchia nella parete. Un’altra porta, più leggera, la condusse all’interno vero e proprio della chiesa.

Faceva fresco e c’erano penombra e silenzio. E quella promessa di benvenuto e di riparo offerta dall’altare all’estremità opposta dell’unica navata.

Ogni volta che entrava in una chiesa, Vivien faceva fatica a trovarci la presenza di Dio. Aveva passato parte del suo poco tempo per le strade ma già troppi demoni aveva incontrato, sentendosi sempre e solo un essere umano debole e impaurito nell’affrontarli. Lì, in quel posto, con quelle immagini, con quell’ansia di sacro costruito dal bisogno dell’uomo, nella luce delle candele accese per fede e speranza, non riusciva a condividere nemmeno un frammento di quella fede e di quella speranza.

La vita è un posto in affitto. A volte Dio è un personaggio scomodo da avere in giro per casa.

Si sedette in uno degli ultimi banchi. Si rese conto di una cosa. In quello che per tutti i credenti era un luogo di pace e di salvezza, lei aveva una pistola appesa alla cintura. E nonostante tutto si sentiva inerme.

Chiuse gli occhi e sostituì la luce incerta con l’oscurità. Mentre aspettava che arrivasse Sundance, sua nipote, arrivarono anche i ricordi. Il giorno in cui…

era seduta alla sua scrivania, piazzata proprio davanti al Plaza, nel caos di carte, telefonate, fatti di brutta gente e brutte vite, battute e discorsi oziosi fra colleghi sui turni di servizio. In una sequenza che non avrebbe dimenticato mai più, dalla porta che dava sulla scala era uscito a sorpresa il detective Peter Curtin. Era stato in forza al 13° Distretto fino a qualche tempo prima. Poi in un conflitto a fuoco durante un’operazione era stato ferito in modo piuttosto serio. Ne era uscito bene fisicamente ma dal punto di vista emozionale si era accorto di non essere più la stessa persona. Anche su pressione della moglie, aveva chiesto e ottenuto il trasferimento a un incarico più tranquillo. E adesso stava alla Buoncostume.

Era venuto direttamente alla sua scrivania.

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