Il guerrigliero era un tipo secco, dall’età indefinibile, con occhi piccoli e infossati. Un poco più alto della media. Variava un buon inglese sporcato da un accento gutturale. Era passato del tempo
quanto?
da quando il suo plotone era stato annientato dall’attacco improvviso dei vietcong. Erano morti tutti, tranne loro due. E subito dopo era iniziato un calvario di continui spostamenti, di zanzare, di marce esauste fatte di passi guidati dalla volontà, ancora uno, ancora uno, ancora uno…
E di botte.
Ogni tanto avevano incontrato altri gruppi di combattenti. Uomini con i visi tutti uguali che trasportavano armi e rifornimenti in bicicletta per sentieri quasi invisibili tracciati fra la vegetazione.
Quelli erano gli unici momenti di sollievo
dove ci portano Matt?
Non lo so.
Hai idea di dove siamo?
No, ma ce la caveremo Wen, stai tranquillo
e di riposo.
L’acqua, l’acqua benedetta che altrove arrivava con il semplice gesto di aprire un rubinetto, era un attimo di paradiso in terra che i loro carcerieri sembravano dispensare con un piacere sadico.
Il suo carceriere non aveva atteso una risposta. Sapeva che non sarebbe arrivata.
«Mi dispiace molto che gli altri tuoi compagni siano morti.»
«Non credo», gli era sfuggito dalle labbra.
Aveva subito teso i muscoli del collo, aspettando come replica uno schiaffo. Invece sul viso del vietcong era apparso un sorriso che solo la luce beffarda degli occhi riusciva a trasformare in crudele. In silenzio si era acceso una sigaretta. Poi aveva risposto con una voce neutra che suonava stranamente sincera.
«Ti sbagli. Davvero mi sarebbe piaciuto avervi vivi. Tutti.»
Aveva usato lo stesso tono di voce quando aveva detto
«Non preoccuparti, caporale. Ora sarai curato…»
e subito dopo aveva sparato in testa a Sid Margolin, che era steso a terra e si lamentava per una ferita alla spalla.
Da un punto dietro di lui era arrivato il brusio miagolante di una radio.
Poi un altro guerrigliero, un ragazzo molto più giovane, aveva raggiunto il suo comandante. I due avevano scambiato un frettoloso dialogo, nella lingua incomprensibile di un Paese che mai sarebbe riuscito a capire.
Poi il capo era tornato a rivolgersi a lui.
«Quella di oggi è una giornata che si preannuncia piuttosto divertente.»
Aveva piegato le ginocchia e si era accucciato davanti a lui, in modo da poterlo vedere bene in viso.
«Ci sarà un attacco aereo. Ce ne sono tutti i giorni. Ma il prossimo sarà in questa zona.»
In quel momento aveva capito. C’erano uomini che andavano in guerra perché ci dovevano andare. Altri che sentivano di doverci andare. L’uomo con la fascia rossa c’era perché gli piaceva. Quando la guerra fosse finita, probabilmente se ne sarebbe inventata un’altra, forse solo sua, pur di continuare a combattere.
E a uccidere.
Quel pensiero gli aveva dipinto in faccia un’espressione che l’altro aveva frainteso.
«Che c’è? Ti stupisci, soldato? Credi che le scimmie gialle, i Charlie, come ci chiamate, non siano in grado di svolgere operazioni di intelligence?»
Gli aveva dato con il palmo della mano un buffetto sulla guancia, tanto più beffardo in quanto lieve come una carezza.
«E invece ne siamo capaci. E oggi avrai modo di scoprire per chi combatti.»
Si era rialzato di scatto e aveva fatto un gesto. Subito quattro uomini armati di AK-47 e fucili erano arrivati di corsa e li avevano circondati, tenendoli sotto tiro. Un quinto si era avvicinato e aveva sciolto loro i polsi. Con un gesto brusco li aveva invitati a sollevarsi.
Il comandante aveva indicato il sentiero davanti a loro.
«Da quella parte. In fretta e in silenzio, per favore.»
Li avevano spinti senza troppi riguardi verso la direzione indicata.
Dopo pochi minuti di marcia a passo veloce erano sbucati in una vasta radura sabbiosa, costeggiata sul lato alla loro destra da quella che sembrava una piantagione di alberi della gomma, posti a una distanza così regolare da sembrare un puntiglio della natura nel caos della vegetazione tutto intorno.
Erano stati separati e legati a due tronchi quasi alle estremità opposte della radura, in modo che fra loro ci fosse una lunga linea di alberi.
Subito dopo aver sentito i lacci assicurargli i polsi, un bavaglio gli era stato stretto sulla bocca.
La stessa sorte era toccata al suo compagno, che per un accenno di ribellione si era preso un colpo con il calcio del fucile in mezzo alla schiena.
L’uomo con la fascia rossa si era avvicinato con la sua aria sorniona.
«Voi che lo usate con tanta facilità dovreste sapere che effetto fa il napalm. La mia gente lo sa da tempo…»
Aveva indicato un punto imprecisato nel cielo di fronte a lui.
«Gli aerei arriveranno di là, soldato americano.»
Gli aveva rimesso al collo la piastrina di riconoscimento. Quindi gli aveva girato le spalle e se n’era andato, seguito dai suoi uomini, silenziosi come solo loro sapevano essere. Erano rimasti soli, a guardarsi da lontano e a chiedersi perché e che cosa e quando. Poi da quel punto oltre gli alberi, nel cielo davanti a loro, era arrivato il rumore di un motore. Il Cessna L-19 Bird Dog era uscito come il frutto di un sortilegio dal bordo della vegetazione. Era in missione di ricognizione e stava volando a bassa quota. Li aveva quasi superati quando di colpo il pilota aveva compiuto una virata, facendo scendere ancora di più l’apparecchio. Tanto da permettergli di vedere con chiarezza la sagoma dei due uomini all’interno della carlinga. Poco dopo, finito il gioco di prestigio, il velivolo era tornato a inseguire il cielo da cui era venuto. Il tempo era trascorso nel silenzio e nel sudore in quantità indefinibili. Poi un sibilo e una coppia di Phantom era arrivata a una velocità che la loro paura aveva scomposto in fotogrammi e aveva portato con sé il tuono. Solo dopo, per una bizzarria, il lampo. Aveva visto il bagliore crescere e diventare una striscia di fuoco che avanzava come danzando dopo aver divorato tutto sulla sua strada e la striscia era arrivata su di loro e aveva investito…
«…in pieno il mio compagno, Ben. Lui è stato letteralmente incenerito.
Io ero più lontano e sono stato solo colpito da un’ondata di calore tale da ridurmi in questo stato. Non so come ho fatto a salvarmi. E non so quanto tempo sono rimasto lì prima che arrivassero i soccorsi. Ho dei ricordi molto confusi. So che mi sono svegliato in un ospedale, coperto di bende e con degli aghi infilati nelle vene. E credo che ci vogliano le vite di molti uomini per provare il dolore che ho provato io in quei pochi mesi.»
Il ragazzo fece una pausa. Ben capì che era per lasciargli assimilare quello che gli aveva appena detto. O per prepararlo alla conferma successiva.
«I vietcong ci hanno usati come scudi umani. E quelli del ricognitore ci hanno visti. Sapevano che eravamo lì. E hanno attaccato lo stesso.»
Ben si guardò la punta delle scarpe. In quel momento qualunque cosa avesse detto a proposito di quell’esperienza sarebbe stata inutile.
Decise di tornare al presente e a tutte le sue incertezze.
«Che hai intenzione di fare ora?»
Little Boss sollevò le spalle, con noncuranza.
«Ho solo bisogno di un appoggio per qualche ora. Devo vedere un paio di persone. Poi passerò a prendere Walzer e me ne andrò via.»
Il gatto, indifferente come tutti i suoi simili, si alzò dalle ginocchia del suo padrone e sistemò le sue tre zampe in una posizione più comoda sul letto.
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