E, cosa ancor più singolare, a quel pensiero se ne accompagnava un altro che si agitava nel gorgogliante calderone del cervello sotterraneo di Dexter. Prima poteva essere stata una fantasia passeggera… ora cominciava a sembrarmi un’ottima idea. Perché non trovare da solo il dottor Danco e coinvolgerlo in qualche passo della Diabolica Danza? Era un predatore incattivito, proprio come gli altri della mia lista. Nessuno, neppure Doakes, avrebbe avuto da ridire sulla sua scomparsa. Se prima non mi ero impegnato più di tanto nella sua ricerca, ora iniziavo a provare un senso di urgenza che scacciava la mia frustrazione nei confronti di Reiker. Così lui mi assomigliava, vero? Era da vedere. Sentii una scossa gelida lungo la spina dorsale e capii che ero ansioso di incontrare il dottore e discutere approfonditamente del suo lavoro.
Si udì il primo rombo di tuono in lontananza: il temporale pomeridiano era in arrivo. «Merda», borbottò Chutsky. «Sta per mettersi a piovere?»
«Capita tutti i giorni a quest’ora», risposi.
«Male», disse. «Dobbiamo agire prima che cominci. Tocca a te, Dexter.»
«A me?» esclamai, strappato via dalle mie riflessioni su quelle pratiche mediche anticonformiste. Avevo accettato di fare un giro in macchina, ma il fatto di dover anche agire non rientrava nel contratto. Voglio dire, con due intrepidi guerrieri seduti con le mani in mano, perché doveva essere mandato ad affrontare il pericolo proprio il Delicato Dilettante Dexter? Che senso aveva tutto questo?
«Proprio a te», replicò Chutsky. «Io ho bisogno di stare a guardare da dietro le quinte. Se è lui, mi sarà più facile farlo fuori. Per quanto riguarda Debbie…» Le sorrise, anche se lei dava l’impressione di essere contrariata. «Debbie assomiglia troppo a un poliziotto. Si muove da poliziotto, ti guarda da poliziotto, sarebbe persino capace di fargli la multa. La riconoscerebbe a chilometri di distanza. Quindi tocca a te, Dexter.»
«Tocca a me fare cosa?» domandai, e ammetto che mi sentii legittimamente indignato.
«Vai una volta sola fino alla casa, avanti e indietro sulla strada senza uscita. Tieni occhi e orecchi aperti, senza farti notare troppo.»
«Non saprei come farmi notare», osservai.
«Perfetto. Allora per te sarà una passeggiata.»
Era chiaro che non avrei ottenuto nulla, né con la logica né arrabbiandomi, se pur a ragione. Dunque aprii la portiera e scesi. Non potei però risparmiarmi la sparata finale. Mi piegai verso il finestrino dal lato di Deborah e dichiarai: «Mi auguro che tu viva abbastanza per rimpiangerlo». Gentilmente, il tuono rimbombò sulle mie parole.
Mi incamminai sul marciapiede verso la casa. Calpestai mucchi di foglie e un paio di cartoni di succo di frutta buttati da qualche ragazzino. Al mio passaggio un gatto corse in un prato e si mise a leccarsi le zampe, fissandomi a distanza di sicurezza.
Nella casa con le auto parcheggiate davanti la musica era cambiata e un tipo gridava: «Yuuu!» Era bello sapere che qualcuno si stava divertendo mentre io andavo a rischiare la vita.
Svoltai a sinistra nella via senza uscita. Osservai la casa con il furgone davanti: ero davvero orgoglioso di come l’avevo scovata. L’erba del prato era alta e incolta, il vialetto pieno di giornali bagnati. Non mi sembrò di vedere mucchi di resti umani a pezzetti e nessuno corse fuori tentando di uccidermi. Ma, mentre passavo, sentii una tivù a tutto volume che trasmetteva un gioco a quiz in spagnolo. Una voce maschile urlò più forte di quella isterica della presentatrice e si sentì sbattere un piatto. Un soffio di vento portò le prime grosse gocce d’acqua assieme a un odore di ammoniaca che proveniva dalla casa.
Continuai a camminare tornando alla macchina. Le gocce aumentarono e si sentì un rombo di tuono, ma poi il temporale ci concesse una tregua. Salii sull’auto. «Niente di così macabro», riferii. «Il prato ha bisogno di una sistemata e c’è odore di ammoniaca. Ho sentito delle voci. O parla da solo o c’è qualcuno con lui.»
«Ammoniaca», ripeté Kyle.
«Così mi è sembrato», feci. «Forse era una scorta di prodotti per la pulizia.»
Kyle scosse la testa. «Le imprese di pulizia non usano l’ammoniaca perché ha un odore troppo forte. So io chi la usa.»
«Chi?» domandò mia sorella.
Lui ridacchiò. «Torno subito», fu la sua risposta e scese dalla macchina.
«Kyle!» esclamò Deborah; lui si limitò a farle un cenno con la mano e andò dritto verso l’ingresso principale dell’abitazione. «Merda», borbottò lei, quando lo vide bussare e restare in attesa, fissando il cielo in tempesta.
La porta si aprì. Apparve un individuo basso e robusto, di carnagione scura, con un ciuffo di capelli neri che gli copriva la fronte. Chutsky gli disse qualcosa e per un po’ nessuno dei due si mosse. L’ometto guardò la strada e poi di nuovo Kyle. Questi si mise lentamente una mano in tasca e gli mostrò qualcosa: denaro? Lui osservò quella roba, poi di nuovo Chutsky e tenne aperta la porta. Chutsky entrò. La porta si chiuse sbattendo.
«Merda», ripeté lei. Si mangiò un’unghia, cosa che le avevo visto fare solo quando era ragazzina. Doveva essere buona, perché dopo quella ne attaccò un’altra. Era impegnata con la terza quando la porta della casetta si aprì e ne uscì Chutsky, sorridendo e salutando. Quando si richiuse, le nuvole avevano finalmente deciso di sfogarsi e il nostro uomo scomparve in mezzo alla pioggia. Corse rumorosamente verso la macchina e saltò gocciolante sul sedile anteriore.
«Dannazione!» esclamò. «Mi sono bagnato!»
«Che cosa cazzo significa tutto questo?» domandò Deborah.
Chutsky mi guardò alzando un sopracciglio e si tirò indietro i capelli. «Non la trovi raffinata?» disse.
«Maledizione, Kyle», fece lei.
«L’ammoniaca», spiegò lui, «non viene usata per scopi chirurgici né la adotterebbe un’impresa di pulizie.»
«Ne abbiamo già parlato», saltò su Deborah.
Lui sorrise. «Invece viene usata per sintetizzare metanfetamine», aggiunse. «Ed è quello che stavano facendo quelli là.»
«Sei entrato in uno di quei laboratori?» si stupì Deb. «E che cosa diavolo ci sei andato a fare?»
Lui sorrise ed estrasse una bustina dalla tasca. «A comprare trenta grammi di meth », rispose.
Deborah non parlò per quasi dieci minuti, si limitò a guidare e a fissare la strada con la mascella serrata. Riuscivo a vedere i suoi nervi tesi, dalla faccia fino alle spalle. Conoscendola, avrei quasi giurato che fosse pronta a esplodere. Non avrei però saputo dire quando, dato che non immaginavo come avrebbe reagito da innamorata. Il bersaglio dell’imminente sfuriata era seduto davanti, al suo fianco. Anche lui taceva, e sembrava piuttosto contento di starsene tranquillo a osservare il paesaggio.
Eravamo quasi arrivati alla seconda abitazione, praticamente all’ombra del Monte Pattumiera, quando Debs alla fine scoppiò. «Dannazione, quella roba è illegale!» esclamò, sbattendo il palmo della mano sul volante a sottolineare il concetto.
Chutsky la guardò tiepido. «Sì, lo so», rispose.
«E io sono un tutore della legge, cazzo!» continuò Deborah. «Io ho promesso sotto giuramento di fermare questa merda… e tu…!» Si interruppe, balbettando.
«Dovevo avere una conferma», disse lui tranquillo. «E questo mi è sembrato il modo migliore.»
«E a te che dovrei mettere le manette!» continuò Debs.
«Sarebbe divertente», fece lui.
«Razza di figlio di puttana !»
«E dici poco.»
«Io non ci vengo nel tuo fottutissimo lato oscuro!»
«No, non lo farai», ribatté lui. «Non te lo permetterò, Deborah.»
Lei rimase senza fiato e si voltò a guardarlo. Chutsky ricambiò lo sguardo. Non avevo mai assistito a una conversazione silenziosa, e questa era davvero unica. Gli occhi di Debs saltavano ansiosamente da una parte all’altra del viso di lui. Lui si limitava a fissarla, con calma. Era tutto così raffinato e intrigante, quasi curioso, almeno quanto il fatto che Deborah sembrava essersi dimenticata di trovarsi al volante.
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