Chutsky si limitò ad alzare le spalle. «Uh-uh. Può essere», disse. «Diamoci un’occhiata.» E questo fu, per una buona mezz’ora, l’intero contenuto della nostra brillante conversazione. Troppo poco perché la mia mente restasse con loro, e mi accorsi che il mio pensiero vagava verso il piccolo scaffale in casa mia, dove una scatoletta in palissandro custodiva numerosi vetrini, di quelli che si mettono sotto il microscopio. Ognuno conteneva un’unica goccia di sangue, ben secco, ovviamente. Altrimenti non avrei potuto conservare una schifezza simile. Quaranta finestrelle affacciate sulla mia metà oscura. Una goccia per ogni piccola impresa. C’era stata la Prima Infermiera, tanto tempo fa, che uccideva i pazienti tramite attente overdose, con il pretesto di alleviar loro il dolore. Mentre nella casella successiva, ecco il vetrino del professore di liceo che strangolava infermiere. Che sublime contrasto! Adoro l’ironia.
Quanti ricordi… passarli in rassegna mi fece venire voglia di riempire un altro vetrino, il quarantunesimo, anche se il numero quaranta, MacGregor, non era ancora del tutto secco. Dato che era legato al mio futuro progetto ed era dunque incompleto, ero ansioso di applicarmici. Non appena avessi potuto accertarmi di Reiker e trovare un modo…
Mi misi a sedere. Quel ricco dessert doveva avermi ostruito le arterie craniche, perché mi ero momentaneamente dimenticato del compenso che mi spettava. «Deborah?» dissi.
Lei mi guardò assorta. «Dimmi.»
«Ci siamo», feci.
«A quanto pare.»
«Infatti. Pare proprio… e tutto grazie all’ingente lavoro della mia materia grigia. Non avevi qualcosa da dirmi?»
Debs guardò Chutsky, che indossava sempre gli occhiali da sole, quindi non lo vidi battere ciglio. «Okay, va bene», disse. «Doakes era nelle Special Forces.»
«Questo lo sapevo. C’era scritto nel suo dossier personale.»
«Quello che non sai, amico», continuò Kyle senza scomporsi al posto di mia sorella, «è che esiste un lato oscuro delle Special Forces. Doakes stava da quella parte.» Un lieve sorriso gli attraversò il volto, così rapido che credetti di essermelo immaginato. «Se passi dal lato oscuro, è per sempre. Non puoi tornare indietro.»
Vidi Chutsky restare immobile, a lungo, poi guardai Debs. Lei aggiunse: «Doakes era un tiratore. L’esercito l’aveva prestato ai tipi in Salvador e lui uccideva la gente per loro».
«Le pistole fanno girare il mondo», osservò Chutsky.
«Questo spiega il suo carattere», dissi, e in realtà spiegava molto di più, per esempio le vibrazioni che il Passeggero Oscuro percepiva nel sergente.
«Cerca di capire», proseguì Chutsky. Era un po’ inquietante sentire la sua voce uscire da una faccia del tutto immobile e asettica, come se qualcuno gli avesse messo in corpo un registratore. «Credevamo di salvare il mondo. Sacrificando le nostre vite e i nostri principi per la causa. Poi venne fuori che avevamo semplicemente venduto l’anima. Io, Doakes…»
«E il dottor Danco», conclusi per lui.
«E il dottor Danco.» Chutsky sospirò, fissò Deborah per un istante, quindi riprese a guardare avanti. Dopo essere rimasto fermo, scosse la testa in modo così teatrale e conclamato che quasi mi strappò un applauso. «Il dottor Danco cominciò da idealista, proprio come noi. Quando studiava medicina scoprì di essere vuoto dentro: poteva fare certe cose alle persone senza partecipazione emotiva. Niente emozioni. È meno diffuso di quanto penseresti.»
«Oh, ci credo», feci e Debs mi fissò.
«Danco amava la sua patria», continuò Chutsky. «Così passò dalla parte deviata mettendovi al servizio il suo talento. Che in Salvador… rifiorì. Lui prendeva quelli che gli portavamo e li…» Si interruppe e prese fiato, lentamente. «Merda. Avete visto voi stessi che cosa faceva.»
«Davvero originale», commentai. «Creativo.»
Chutsky se ne uscì in una risatina per nulla divertita. «Creativo. Già. Puoi dirlo forte.» Chutsky scuoteva adagio la testa a destra e a sinistra. «Come dicevo, non gli dispiaceva fare certe cose… e in Salvador cominciò a prenderci gusto. Partecipava agli interrogatori e faceva domande personali… Poi quando iniziò a… Chiamava la gente per nome, neanche fosse un dentista o cose così, e diceva: ’Proviamo con il numero cinque’ o con il sette eccetera. Quasi avesse una serie di schemi numerati.»
«Che tipo di schemi?» chiesi. Mi sembrò una domanda perfettamente naturale, adatta a mostrare un cortese interessamento e a tenere viva la conversazione. Ma Chutsky si rigirò sul sedile e mi guardò come fossi un escremento in mezzo alla stanza.
«A te sembra divertente», disse.
«Non ancora», risposi.
Rimase a fissarmi per un po’, poi scosse il capo e riprese a guardare davanti a sé. «Non so quale schema seguisse. Non gliel’ho mai chiesto. Spiacente. Forse dipendeva da quale cosa decideva di tagliare per prima. Giusto per divertirsi. E lui ci parlava, li chiamava per nome, spiegava loro quello che faceva.» Chutsky alzò le spalle. «Così era anche peggio. Avresti dovuto vedere che effetto aveva sul nemico.»
«E su di te che effetto aveva?» domandò Deborah.
Lui abbassò il capo, poi riprese a guardare avanti. «Era troppo anche per me», ammise. «Comunque alla fine le cose cambiarono in patria, in politica, al Pentagono. Il nuovo governo non volle avere niente a che fare con quello che avevamo combinato là. Così, poco per volta, girò la voce che consegnando il dottor Danco avremmo potuto rappacificarci con il nemico.»
«Avete mandato a morire il vostro uomo?» domandai. Non mi sembrò una bella cosa… cioè, anche se sono privo di etica, se non altro sono una persona leale.
Kyle rimase a lungo in silenzio. «Ti avevo detto che avevamo venduto le nostre anime», sospirò alla fine. Sorrise di nuovo, stavolta un po’ di più. «Be’, noi l’abbiamo messo dentro e gli altri l’hanno fatto fuori.»
«Però non è morto», osservò Deborah, pragmatica come sempre.
«Ci hanno imbrogliato», spiegò Chutsky. «L’hanno preso i cubani.»
«Quali cubani?» chiese mia sorella. «Parlavi del Salvador.»
«Tempo fa, ogni volta che nelle Americhe veniva fuori un problema, c’erano in mezzo sempre i cubani. Loro sostenevano uno dei due schieramenti, quello opposto al nostro. E volevano il nostro dottore. Ve l’ho detto, era un tipo speciale. Così lo catturarono e tentarono di farlo passare dalla loro parte. Lo portarono all’isola di Pines.»
«Cos’è, un posto di villeggiatura?» chiesi.
Chutsky fece una risatina. «Il più estremo. L’isola di Pines è una delle prigioni più dure del mondo. Lì il dottor Danco si fece davvero una bella vacanza. Gli dissero che i suoi l’avevano tradito e gliene fecero passare di tutti i colori. Qualche anno dopo uno dei nostri uomini venne catturato e ridotto in quel modo. Senza braccia né gambe e tutto il resto. Danco lavorava per loro. E ora…» Fece una pausa. «O l’hanno lasciato libero o è scappato. Poco importa. Lui sa chi l’ha incastrato… si è procurato una lista.»
«Sopra ci sei anche tu?» chiese Deborah.
«Può darsi», rispose Chutsky.
«C’è anche Doakes?» domandai. Dopotutto, anch’io potevo fare il pragmatico.
«Può darsi», ripeté Chutsky, senza essermi di grande aiuto. Tutta la storia di Danco era interessante, d’accordo, io però ero lì per un motivo. «Comunque», aggiunse, «questo è il nostro avversario.»
Nessuno sembrava avere molto da dire, me compreso. Ripensai in lungo e in largo a ciò che avevo sentito e a come quelle informazioni potessero tornarmi utili per liberarmi di Doakes. Devo ammettere che in quel momento non mi venne in mente nulla, ed era umiliante. Però mi sembrava di conoscere un po’ meglio il caro dottor Danco. Dunque anche lui era vuoto dentro, vero? Un lupo travestito da agnello. E anche lui aveva trovato il modo di utilizzare la sua abilità per un fine più grande, proprio come il caro vecchio Dexter. Ma adesso era uscito dai binari e aveva cominciato ad assomigliare un po’ troppo ai soliti predatori, a prescindere dalla direzione inquietante che stavano assumendo le sue tecniche.
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