Mi stupiva poi l’improvvisa pigrizia dei miei ricordi. Avevo pensato che rivedendola sarebbero immediatamente riemersi in superficie, ma erano pochi quelli nitidi. Si trattava più che altro di sensazioni, di emozioni, come quelle associate al freddo pungente del New England. Non capivo perché non riuscissi a ricordare e non sapevo neanche bene che cosa significasse questa assenza di ricordi.
Una ruga si formò sulla fronte di Rachel, che stava ancora giocherellando con la sua attrezzatura elettronica. «Da Tony’s era più buona» commentò.
«Quel posto era orribile.»
«La cucina era un po’ unta, in effetti» ammise lei.
«Un po’? Se ricordo bene, la pizza grande veniva servita con un buono per un’angioplastica gratuita.»
«Sì, ma era magnifica.»
Ci guardammo.
«Rachel?»
«Sì.»
«E se quelli non telefonano?»
«Significa che non hanno la bambina, Marc.»
Lasciai che quelle parole si sedimentassero nella mia mente. Pensai a Conner, il figlio di Lenny, pensai alle cose che sapeva dire e fare e cercai di trasferirle a quella bambina. L’ultima volta che avevo posato gli occhi su di lei dormiva nella sua culla. Non ci riuscii, ma questo non significava nulla. C’era sempre la speranza, e a quella mi aggrappavo. Se mia figlia era morta, se il telefono non avesse più squillato, la speranza mi avrebbe ucciso, lo so. Ma non m’importava. Sempre meglio morire così che arrendersi.
Avevo quindi la speranza. E, nonostante il mio cinismo congenito, mi costringevo a credere che tutto sarebbe finito bene.
Erano quasi le dieci quando finalmente suonò il telefono. Non persi tempo a guardare Rachel in attesa di un suo cenno d’assenso, avevo il dito sul tasto di risposta prima ancora che il primo squillo terminasse.
«Pronto?»
«D’accordo» disse la voce metallica «te la faremo vedere.»
Non riuscivo a respirare. Rachel mi si avvicinò e accostò l’orecchio al mio.
«Bene.»
«I soldi ce li hai?»
«Sì.»
«Tutti?»
«Sì.»
«Allora ascolta con attenzione. Se non farai esattamente quello che ti dirò noi spariremo per sempre. Capito?»
«Sì.»
«Abbiamo sentito le nostre fonti all’interno della polizia e finora ti sei comportato bene, non risulta che tu li abbia contattati. Ma dobbiamo esserne certi. Ti metterai in macchina da solo e guiderai in direzione del George Washington Bridge. Una volta lì noi saremo a portata di radio, usa la ricetrasmittente incorporata nel telefono che ti abbiamo dato, ti dirò dove andare e che cosa fare. Sarai perquisito e se troveremo armi o microfoni nascosti, scompariremo. Capito?»
Sentii il respiro di Rachel farsi affannoso.
«Quando vedrò mia figlia?»
«Quando ci incontreremo.»
«Come faccio a sapere che non scapperete appena avrete i soldi?»
«Come fai a sapere che non sto per sbatterti il telefono in faccia?»
«Vengo» rassicurai la voce. «Ma i soldi non ve li do se prima non vedo Tara» aggiunsi in fretta.
«Allora siamo d’accordo. Hai un’ora, tra un’ora mandami il segnale.»
Conrad Dorfman non sembrava particolarmente contento di essere riportato in ufficio a quell’ora, ma Tickner se ne fregava. Se Seidman fosse andato all’MVD da solo ci sarebbe stata una svolta nelle indagini, indubbiamente. Ma il fatto che fosse accompagnato da Rachel Mills, che la donna fosse in qualche modo coinvolta in quella storia, era più che sufficiente a stimolare, per così dire, la curiosità di Tickner.
«La signora Mills le ha mostrato un documento d’identità?» chiese a Dorfman.
«Sì, ma risultava in pensione.»
«E la signora era con il dottor Seidman?»
«Sì.»
«Sono arrivati insieme?»
«Credo di sì. Cioè, sì, quando sono venuti qui erano insieme.»
Tickner annuì. «Che cosa volevano?»
«La password di un CD-ROM.»
«Non credo di aver capito.»
«Hanno detto di avere un CD-ROM che avevamo fornito a una cliente. I nostri CD sono protetti da una password e loro volevano che gliela dessimo.»
«L’avete fatto?»
Dorfman sembrò abbastanza scandalizzato. «Naturalmente no. Abbiamo fatto una telefonata ai vostri uffici e ci hanno spiegato… be’, a dire il vero non ci hanno spiegato proprio niente. Ci hanno solo detto e ripetuto che non dovevamo in alcun modo collaborare con l’agente Mills.»
«L’ex agente» corresse Tickner. E si chiese come diavolo avesse fatto Rachel Mills a mettersi con Seidman. Aveva provato a concederle il beneficio del dubbio. A differenza dei suoi colleghi, lui la conosceva, l’aveva vista in azione. Era stata una brava agente, forse addirittura bravissima. Ma ora Tickner si chiedeva il motivo di quella coincidenza, come mai la Mills si fosse presentata in quell’ufficio, e avesse esibito quel documento per far pressioni su Dorfman.
«Le hanno detto com’erano entrati in possesso di quel CDROM?»
«Sembra che appartenesse alla moglie del dottor Seidman.»
«Ah, davvero?»
«Credo di sì.»
«È al corrente, signor Dorfman, del fatto che la moglie di Seidman è morta oltre un anno e mezzo fa?»
«Lo so adesso.»
«Ma non lo sapeva quando sono venuti quei due?»
«No.»
«Perché il dottor Seidman ha aspettato diciotto mesi per chiedervi quella password?»
«Non me l’ha detto.»
«Lei gliel’ha chiesto?»
Dorfman cambiò posizione sulla poltrona. «No.»
Tickner gli fece un sorriso amichevole. «In effetti non aveva alcun motivo per chiederglielo» ammise, con falsa cortesia. «Non gli ha dato alcuna informazione?»
«Nessuna.»
«Non gli ha detto il motivo per cui la signora Seidman si era rivolta alla vostra agenzia?»
«No, certo che no.»
«Okay, molto bene.» Tickner si sporse verso Dorfman puntando i gomiti sul tavolo. Stava per fargli un’altra domanda quando gli squillò il cellulare. «Mi scusi» disse, infilandosi la mano in tasca.
«Ne ha ancora per molto?» gli chiese Dorfman. «Ho dei programmi per la serata.»
L’agente non si curò nemmeno di rispondergli, ma si alzò avvicinando il cellulare all’orecchio. «Tickner.»
«Sono l’agente O’Malley.» Era il suo giovanissimo collaboratore.
«Hai trovato qualcosa?»
«Certo.»
«Ti ascolto.»
«Abbiamo controllato i tabulati telefonici degli ultimi tre anni. Seidman fino a oggi non l’ha mai chiamata. Né da casa né dall’ufficio, almeno.»
«C’è un “ma”?»
«Proprio così. Ma è stata Rachel Mills a telefonargli. Una volta.»
«Quando?»
«Nel giugno di due anni fa.»
Tickner fece due calcoli. Doveva essere successo circa tre mesi prima del delitto e del sequestro della bambina. «C’è altro?»
«Qualcosa di grosso, credo. Ho fatto controllare da uno dei nostri agenti l’appartamento di Rachel a Falls Church. Sta ancora cercando, ma provi un po’ a indovinare che cos’ha trovato nel cassetto del comodino?»
«Che cos’è, O’Ryan, un quiz?»
«O’Malley.»
Tickner si strofinò il naso. «Che cos’ha trovato quell’agente?»
«La foto di un ballo del college.»
«Che cosa?»
«Cioè, non so se fosse proprio il college. La foto risale a quindici-vent’anni fa e i due erano in posa. Lei aveva i capelli raccolti, come si usava allora, e aveva un fiore al polso.»
«Ma questo che c’entra con?…»
«Il ragazzo della foto.»
«Il ragazzo della foto?»
«Il nostro agente ne è certo. Il ragazzo che è con lei, il suo cavaliere immagino, è il nostro dottor Seidman.»
Tickner provò una specie di scossa. «Continuate a cercare. E chiamami appena scoprirai qualche altra cosa.»
«Vado.»
Riagganciò. E così Rachel e Seidman erano andati insieme a un ballo del college? Ma che diavolo stava succedendo? Lei veniva dal Vermont, se ricordava bene, mentre Seidman era del New Jersey. Non erano andati al liceo insieme, e invece al college sì? Quel particolare andava controllato.
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