Jarad e Stan Frank, i due gemelli che impersonavano Tod e Rod, dopo la fine della serie avevano tentato la carriera musicale. In Family Laughs avevano un’orchestrina alla buona molto popolare tra i giovanissimi, con un repertorio di canzoni scritte da altri, con gli strumenti suonati da altri e con delle voci così modificate e modulate dal sintetizzatore che perfino Jarad e Stan, che non riuscivano ad azzeccare una nota nemmeno se se la fossero fatta tatuare sul palmo della mano, cominciarono a considerarsi autentici musicisti e cantanti. Ora i gemelli andavano per i quaranta, stavano diventando visibilmente calvi e si illudevano di riprendere da un momento all’altro lo status di star, anche se in pubblico sostenevano di “non sopportare più la fama”.
Ma il vero e misterioso enigma della saga di Family Laughs era rappresentato dal destino dell’adorabile “folletto birichino Trixie”, Larissa Dane. Di lei si sa quanto segue: durante l’ultimo anno della serie i genitori divorziarono e si dettero battaglia senza esclusione di colpi per assicurarsi i cachet della piccola. Il padre alla fine si fece saltare le cervella. La madre si risposò con un truffatore che sparì con i soldi. Come molti attori-bambini, Larissa Dane si trasformò immediatamente in una ex. Cominciarono a girare voci sulla sua promiscuità e la passione per le droghe, anche se sembrò che a nessuno interessasse particolarmente: e questo succedeva prima che la nostalgia diventasse di moda. A quindici anni si fece un’overdose e rischiò di lasciarci le penne. La mandarono in una specie di sanatorio e apparentemente scomparve dalla faccia della terra. Nessuno sa veramente che fine abbia fatto, molti ritengono che sia morta per droga.
Ma naturalmente le cose non erano andate così.
«Sei pronta per quella telefonata, Lydia?» le chiese Heshy.
Lei non rispose, ma si avvicinò a un’altra foto. Un’altra istantanea da Family Laughs , quinto anno, episodio centododici. La piccola Trixie aveva un braccio ingessato e Tod voleva disegnarle sul gesso una chitarra, ma il padre non era d’accordo. “Ma papà, ti prometto di disegnarla soltanto quella chitarra, non di suonarla” aveva protestato Tod. E il finto pubblico era scoppiato a ridere. La giovane Larissa non aveva capito la battuta, e nemmeno l’ormai cresciuta Lydia. Ricordava però come aveva fatto quel giorno a rompersi il braccio. Una faccenda tipica dei ragazzini. Giocando si era scatenata ed era caduta dalle scale. Aveva un gran male, ma la serie non poteva interrompersi. Il medico lo sapeva e le fece un’iniezione di sa-Dio-che-cosa, e due sedicenti sceneggiatori inserirono la frattura nel copione. Quando cominciarono le riprese, lei era a malapena cosciente. Ma ora non partite con i violini, per favore. Lydia aveva letto il libro di Danny Partridge, aveva ascoltato i piagnistei di Willis in Diff’rent Strokes. Sapeva tutto sull’impegno dell’attrice bambina, sulle violenze cui era sottoposta, sui soldi rubati, sulle lunghe ore passate sul set. Aveva assistito a tutti i talk show, ascoltato tutte le lagnanze, notato tutte le lacrime di coccodrillo dei suoi colleghi: e la loro disonestà l’aveva fatta star male.
Era quella la verità sul dilemma della star bambina. No, non gli abusi sessuali anche se, quando Lydia era sufficientemente giovane e scema per credere che uno strizzacervelli potesse aiutarla, questo analista aveva continuato a ripeterle che lei stava di sicuro “bloccando” il ricordo delle molestie subite con molta probabilità da uno dei produttori dello show. E non bisogna nemmeno prendersela con il disinteresse dei genitori o, al contrario, con la loro ricerca smaniosa del successo della loro creatura se poi le star bambine crescono in un certo modo. La causa non va nemmeno imputata alla mancanza di amici, alle lunghe ore di lavoro, alle scarse doti di socializzazione, alla fiumana di assistenti di studio. No, a nulla di tutto questo.
La causa è, più semplicemente, l’assenza dei riflettori. Punto e basta.
Tutte le altre sono scuse, perché nessuno è disposto ad ammettere di essere tanto vuoto dentro. Lydia aveva cominciato a lavorare in quello show a sei anni e ha pochi ricordi precedenti a quell’età. Così ricorda solo di essere una star. Una star è speciale. Una star fa parte della famiglia reale. Una star è ciò che sulla terra si avvicina maggiormente a un dio. E per Lydia non era mai esistito null’altro. Noi diciamo ai nostri bambini quanto sono speciali, Lydia questa sua specialità l’aveva vissuta. Tutti la definivano adorabile, rappresentava la figlia perfetta, gentile, affettuosa e impertinente al punto giusto. La gente la fissava con sguardi di bizzarro desiderio, voleva esserle vicina, sentirla parlare della sua vita, passare un po’ di tempo con lei, toccarle l’orlo del cappottino.
Poi, un giorno, puff… tutto era scomparso.
La celebrità provoca più assuefazione del crack. Gli adulti non più famosi, quelli per esempio che la fama l’hanno raggiunta all’improvviso grazie a un unico exploit, di solito vivono nella depressione anche se ostentano superiorità. Non vogliono ammettere la verità. La loro vita è tutta una bugia, una scalata disperata alla ricerca di un’altra dose di quel potentissimo stupefacente che è il successo.
Questi adulti hanno avuto il tempo di mandare giù solo un sorso del nettare, prima che glielo strappassero di mano. Ma per una star bambina quel nettare è come il latte materno, è tutto ciò che ha conosciuto. Non riesce a rendersi conto che si tratta di qualcosa di passeggero, che non durerà. Non puoi spiegarla a un bambino una cosa del genere, non puoi prepararlo all’inevitabile. Lydia aveva conosciuto soltanto l’adulazione. Poi, in pratica da un momento all’altro, il riflettore si era spento e lei per la prima volta nella sua vita era rimasta sola e al buio.
È questo che ti fotte.
Lydia ora se ne rendeva conto. Heshy l’aveva aiutata, l’aveva fatta uscire per sempre dal tunnel della droga. Lei si era fatta del male, si era prostituita, aveva sniffato o si era sparata in vena più stupefacenti di quanto si possa immaginare. Ma non l’aveva mai fatto per evadere, bensì per menare colpi alla cieca, per fare del male a qualcuno o a qualcosa. Ma il suo errore era stato quello di fare del male a se stessa, come si era resa conto durante la fase di riabilitazione seguita a un incidente particolarmente violento e terrificante. La fama ti innalza verso il cielo e rimpicciolisce tutti gli altri. Perché mai allora stava facendo del male a quella che si trovava in cima? Perché non prendersela invece con le meschine masse, con coloro che l’avevano idolatrata, che le avevano dato un tale inebriante potere, che l’avevano eccitata? Perché fare del male alla specie superiore, a quella che si era meritata tutte quelle lodi?
«Lydia?»
«Sì?»
«Credo che ora dovremmo fare quella telefonata.»
Si voltò a guardare Heshy. Si erano conosciuti in clinica psichiatrica e fu subito come se le sofferenze dell’uno cercassero disperatamente di integrarsi in quelle dell’altra. Heshy era andato in suo soccorso quando due inservienti l’avevano inchiodata a terra per abusare di lei, e quella volta si era limitato a toglierglieli di dosso. I due li avevano minacciati e loro avevano promesso di tenere la bocca chiusa. Ma Heshy sapeva attendere il momento opportuno. Due settimane dopo investì con un’auto rubata uno dei due addetti e, mentre quello gemeva ferito, aveva fatto marcia indietro passandogli con una ruota sulla testa: si era accostato alla base del collo, premendo poi sull’acceleratore. Un mese dopo l’altro tipo, il capo, fu ritrovato in casa morto. Qualcuno gli aveva portato via quattro dita ma senza tagliargliele bensì, come avrebbe accertato il medico legale, girandogliele fino a quando tendini e ossa non avevano ceduto. Lydia aveva ancora una delle dita da qualche parte in cantina.
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