Dieci anni prima erano fuggiti insieme, cambiando generalità e modificando quanto bastava il loro aspetto. E si erano rifatti una vita trasformandosi in angeli vendicatori, angeli che avevano avuto qualche “problema” ma rimanevano comunque superiori rispetto alla plebaglia. Lei non faceva più del male a nessuno: o, quanto meno, quando lo faceva, poi se ne stava tranquilla per un po’.
Avevano tre case. Heshy, a quel che si diceva, abitava nel Bronx e lei a Queens. Avevano due indirizzi dei rispettivi posti di lavoro con relativo telefono. Ma era soltanto per scena. Non volevano che si sapesse chi erano in realtà, cioè una squadra, oltre che amanti. Lydia, sotto falso nome, quattro anni prima aveva comprato quella villetta color giallo brillante, con due stanze da letto e un bagno. La cucina, dove sedeva in quel momento Heshy, era luminosa e allegra. La casa si trovava nell’estremità nord della contea di Morris, nel New Jersey. C’era tanta pace, in quella zona, e a loro piacevano i tramonti. Lydia continuò a guardare le foto di “Trixie folletto birichino”, cercando di ricordare le sensazioni di allora. Ma i ricordi erano in pratica scomparsi. Heshy si trovava alle sue spalle, in piedi, e attendeva con la sua solita pazienza. C’era chi sosteneva che lei ed Heshy fossero due assassini spietati, ma secondo lei non era vero, si trattava di un’altra leggenda di Hollywood come quella della meravigliosa “Trixie folletto birichino”. Nessuno si dedica a quest’attività solo perché è lucrosa, ci sono modi meno complicati per guadagnarsi da vivere. Puoi comportarti da professionista. Puoi controllare le tue emozioni. Puoi anche illuderti che quello sia un giorno di lavoro come un altro. Ma se valuti con onestà la tua posizione devi ammettere che hai superato il limite, e sei passato dalla parte sbagliata perché ti piace. Lydia questo lo capiva. Far male a qualcuno, uccidere qualcuno, spegnere la luce negli occhi di qualcuno… no, non ne aveva bisogno. Non smaniava per farlo, come invece aveva smaniato per stare sotto i riflettori. Ma, indubbiamente, ti dava quella scossa piacevole, quell’inequivocabile emozione, e soffrivi di meno.
«Lydia?»
«Arrivo, orsacchiotto.» Prese il cellulare con il numero rubato e il programma anti-intercettazioni, poi si voltò a guardare Heshy. Era ripugnante, ma non per lei. Lui annuì e Lydia inserì il distorsore della voce, poi compose il numero.
«Vogliamo riprovarci?» chiese, appena udì la voce di Marc Seidman.
Stavo per rispondere quando Rachel posò una mano sulla mia. «Questa è una trattativa» mi disse. «Paura e intimidazione fanno parte di queste operazioni e quindi devi mostrarti forte. Se hanno intenzione di ridarti la bambina ti verranno incontro.» Deglutii e risposi al telefono. «Vogliamo riprovarci?»
La voce aveva sempre quell’intonazione metallica. Sentii il sangue pulsarmi nelle vene. «No» risposi, a occhi chiusi.
«Come sarebbe?»
«Voglio una prova che Tara sia viva.»
«Hai ricevuto il campione dei capelli, no?»
«Sì.»
«E allora?»
Guardai Rachel, che annuì. «Il risultato non è definitivo.»
«Bene» disse la voce. «Allora potrei anche riattaccare.»
«No, aspetta.»
«Sì?»
«L’altra volta siete scappati in macchina.»
«Esatto.»
«Chi mi dice che non lo rifarete?»
«Questa volta hai avvertito la polizia?»
«No.»
«Allora non preoccuparti. Ascolta quello che devi fare.»
«No, hai capito male.»
«Che cosa?»
Stavo cominciando a tremare. «Questa volta facciamo uno scambio. Non vedrete i soldi finché non riavrò mia figlia.»
«Non sei nella posizione di dettare le condizioni.»
«Mi date mia figlia» dissi, e le parole uscirono lentamente, come pesi morti «e vi prendete i soldi.»
«No, sei tu che hai capito male.»
«Invece sì.» Cercai di dare alla mia voce un tono imperioso. «La cosa finisce qui e adesso, non voglio che ve ne andiate via come l’altra volta per poi tornare a chiedere ancora soldi. Quindi facciamo lo scambio e chiudiamo la faccenda.»
«Dottor Seidman?»
«Sono qui.»
«Ascoltami attentamente.»
Il lungo silenzio mi stava torturando i nervi.
«Se ora riattacco richiamerò solo fra diciotto mesi.»
Chiusi gli occhi e attesi.
«Rifletti un attimo sulle conseguenze. Non vuoi sapere dov’è stata la tua bambina? E che cosa sarà di lei? Se ora riattacco non lo saprai per altri diciotto mesi.»
Mi sentivo come se mi avessero stretto attorno al petto una cintura d’acciaio. Non riuscivo a respirare. Guardai Rachel, che con gli occhi mi impose di non cedere.
«Quanti anni avrebbe a quel punto la bambina, dottor Seidman? Se non l’ammazziamo, voglio dire.»
«Per favore.»
«Sei pronto ad ascoltare?»
Chiusi gli occhi serrando le palpebre. «Sto solo chiedendo delle garanzie.»
«Ti abbiamo mandato il campione di capelli.»
«Io porto i soldi, voi portate mia figlia. I soldi li avrete quando la vedrò.»
«Stai cercando di dettare le condizioni, dottor Seidman?»
La voce metallica aveva ora una cadenza buffa.
«Non mi interessa chi siete, non m’interessa perché avete fatto una cosa del genere. Voglio solo che mi ridiate mia figlia.»
«Allora consegnerai i soldi esattamente come ti dirò.»
«No. Non senza garanzie.»
«Dottor Seidman?»
«Sì?»
«Addio.»
E il telefono tacque.
L’equilibrio mentale è una cordicella sottile. E la mia si spezzò.
No, non urlai, ma, al contrario, rimasi incredibilmente calmo. Mi allontanai il telefono dall’orecchio e lo guardai come se mi si fosse materializzato in mano all’improvviso e non sapessi che cosa fosse.
«Marc?»
Guardai Rachel. «Hanno riagganciato.»
«Richiameranno.»
Scossi il capo. «Hanno detto che non richiameranno per altri diciotto mesi.»
Rachel mi fissò senza distogliere lo sguardo. «Marc?»
«Sì.»
«Devi ascoltarmi attentamente.»
Attesi.
«Hai fatto ciò che andava fatto.»
«Grazie, ora mi sento meglio.»
«Ho esperienza di queste faccende. Se Tara è ancora viva e quelli hanno intenzione di ridartela, cederanno su questo punto. Se non faranno questo scambio è perché non vogliono… oppure non possono.»
Non possono. La minuscola parte del mio cervello che era rimasta razionale capì che cosa Rachel volesse dire. Ricordai ciò che mi ero imposto, dividere in compartimenti. «E ora che facciamo?»
«Ci prepariamo come avevamo programmato. Ho con me i ferri del mestiere. Ti metto un microfono addosso e, se quelli richiameranno, saremo pronti.»
Annuii. «Okay.»
«C’è altro che possiamo fare, nel frattempo? L’hai riconosciuta, quella voce? Ricordi qualcos’altro di quell’uomo con la camicia a scacchi, di quel furgone? Niente?»
«No.»
«Al telefono mi hai detto di avere trovato in cantina un CD.»
«Sì.» Le riassunsi la storia del dischetto e dell’etichetta con la scritta MVD. Lei tirò fuori un taccuino e prese qualche appunto.
«Ce l’hai con te, il disco?»
«No.»
«Non ha importanza. Ora siamo a Newark e possiamo cercare di saperne di più su questa MVD.»
Lydia sollevò la Sig-Sauer P226.
«Non mi piace com’è andata.»
«Hai fatto la mossa giusta» le disse Heshy.
Lei guardò l’arma. Aveva una gran voglia di premere il grilletto.
«Lydia?»
«Ti ho sentito.»
«Abbiamo fatto quello che abbiamo fatto perché era semplice.»
«Semplice?»
«Sì. Li consideravamo soldi facili.»
«Un sacco di soldi.»
«È vero» ammise lui.
«E ora non possiamo rinunciarci.»
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