Harlan Coben - Non hai scelta

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Marc Seidman ha tutto ciò che si può desiderare dalla vita: chirurgo plastico di successo, vive con la bella moglie e la figlioletta Tara di pochi mesi in una bella casa nei sobborgi di New York. Ma quando riprende conoscenza in una camera d’ospedale dove è stato ricoverato in fin di vita, Marc scopre con orrore d’aver subito un’aggressione durante la quale la moglie è stata uccisa e sua figlia è scomparsa senza lasciare traccia. Come se non bastasse Marc si ritrova ad essere il primo sospetto…

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Non capivo, ma non mi sembrò il caso di aprire un dibattito. «Vada avanti.»

«Che cosa può dirci del suo matrimonio?»

Nella mia corteccia cerebrale cominciò a lampeggiare una luce d’allarme. «Che cosa c’entra il mio matrimonio?»

Regan si strinse nelle spalle e Tickner rimase immobile. «Stiamo solo tentando di ricomporre il puzzle, tutto qui.»

«Il mio matrimonio non ha nulla a che vedere con questa storia.»

«Lei avrà sicuramente ragione, Marc, ma le nostre piste purtroppo non portano a niente e ogni giorno che passa è una delusione. Dobbiamo quindi percorrere tutte le strade.»

«L’unica strada che m’interessa è quella che porta a mia figlia.»

«Lo capiamo ed è proprio su questo che si stanno concentrando le nostre indagini, scoprire che cos’è accaduto a sua figlia. E anche a lei, Marc. Non dimentichiamo che qualcuno ha tentato di ucciderla, giusto?»

«Direi.»

«Ma, vede, non possiamo ignorare altri elementi.»

«Quali altri elementi?»

«Il suo matrimonio, per esempio.»

«Cioè?»

«Quando vi siete sposati, Monica era incinta, vero?»

«Ma questo che cosa?…» Stavo per caricare a testa bassa, ma mi fermai ricordando la raccomandazione di Lenny di non parlare con i poliziotti se non in sua presenza. Avrei dovuto chiamarlo, lo sapevo. Ma qualcosa nel loro tono di voce e nel loro atteggiamento… se avessi preteso la presenza del mio avvocato sarei sembrato colpevole, mentre invece non avevo nulla da nascondere. Perché dunque alimentare i loro sospetti? Perché confonderli? Certo, sapevo che è così che fa la polizia, ma io sono un medico. Peggio ancora, un chirurgo. E noi chirurghi commettiamo spesso l’errore di considerarci più furbi degli altri.

Decisi allora di rispondere onestamente. «Sì, era incinta. E con questo?»

«Lei è un chirurgo plastico, vero?»

Il cambio repentino di argomento mi sorprese. «Esatto.»

«Lei e la sua socia andate spesso all’estero per aggiustare palati leporini, gravi traumi facciali, ustioni, e roba del genere?»

«Roba del genere, sì.»

«Viaggiate spesso, quindi?»

«Abbastanza.»

«Potremmo quindi dire che nei due anni precedenti il suo matrimonio lei è stato forse più all’estero che in patria?»

«Potremmo dirlo.» Mi mossi a disagio contro il cuscino senza imbottitura. «Mi sa dire che rilevanza può avere un particolare del genere?»

Regan mi rivolse il suo sorriso più disarmante. «Stiamo cercando di farci un quadro completo.»

«Un quadro di che cosa?»

«La sua collega e socia…» controllò gli appunti «… la signorina Zia Leroux.»

«La dottoressa Leroux» lo corressi.

«La dottoressa Leroux, certo, grazie. Dove si trova attualmente?»

«In Cambogia.»

«Opera bambini con gravi deformità in Cambogia?»

«Sì.»

Regan piegò il capo di lato, fingendosi confuso. «Non doveva andare lei in Cambogia invece della dottoressa Leroux?»

«Tanto tempo fa.»

«Quanto tempo fa?»

«Non riesco a seguirla, Regan.»

«Quanto tempo fa ha deciso di non andarci più?»

«Non so, otto mesi fa, o forse nove.»

«E quindi, al posto suo, è andata la dottoressa Leroux, giusto?»

«Giusto. E questo serve a dimostrare che?…»

Lui non abboccò. «A lei piace il suo lavoro, vero, Marc?»

«Sì.»

«E le piace anche andare all’estero per svolgere questo lodevole lavoro?»

«Certo.»

Regan si grattò il capo in modo troppo ostentato, fingendo apertamente di essere disorientato. «Ma se le piace tanto viaggiare, perché ha rinunciato mandando al suo posto la dottoressa Leroux?»

Capii dove voleva arrivare. «Stavo cercando di ridurli» risposi.

«I viaggi, vuol dire?»

«Sì.»

«Perché?»

«Perché avevo altri obblighi.»

«Per altri obblighi intende una moglie e una figlia, immagino. Giusto?»

Mi alzai in piedi fissandolo. «Che c’entra?» gli chiesi. «Vuole dirmi che cosa c’entra tutto questo?»

Regan si sistemò sulla sedia, imitato da Tickner il silenzioso. «Cerchiamo solo di formarci un quadro completo, tutto qui.»

«Questo l’ha già detto.»

«Sì, aspetti un secondo.» Regan fece scorrere le pagine del taccuino. «Jeans e camicetta rossa.»

«Che cosa?»

«Sua moglie.» M’indicò gli appunti. «Lei ha dichiarato che quella mattina sua moglie indossava dei jeans e una camicetta rossa.»

Venni travolto da altre immagini di Monica e cercai di arginare quell’inondazione. «Allora?»

«Abbiamo trovato il cadavere nudo.»

Il tremito partì dal cuore e si trasmise alle braccia, fino alla punta delle dita.

«Non lo sapeva?»

Inghiottii a vuoto. «È stata?…» La voce mi morì in gola.

«No» rispose subito Regan. «Nemmeno un graffio, a parte i fori dei proiettili.» Piegò nuovamente la testa di lato. “Mi aiuti a capire” voleva dire secondo lui quel gesto. «L’abbiamo trovata proprio in questo punto. Girava spesso per casa senza nulla addosso?»

«Ve l’ho detto.» Il mio cervello era andato in tilt. Cercai di analizzare questi nuovi dati, di tenermi al passo con lui. «Indossava jeans e una camicetta rossa.»

«Quindi era già vestita?»

Ricordai il rumore della doccia, lei che usciva, che scuoteva il capo per tirarsi indietro i capelli, che si sdraiava sul letto per infilarsi i jeans. «Sì.»

«Sicuro?»

«Sicuro.»

«Abbiamo cercato dappertutto, ma non abbiamo trovato traccia di una camicetta rossa. Di jeans ne aveva diverse paia, certo, ma nessuna camicetta rossa. Non le sembra strano?»

«Aspetti un momento. Gli abiti non erano accanto al corpo?»

«No.»

Non capivo. «Proverò a guardare nel suo armadio» dissi.

«L’abbiamo già fatto noi, ma può farlo anche lei, naturalmente. Mi piacerebbe comunque sapere come hanno fatto gli abiti che indossava a tornare nell’armadio. A lei no?»

Non seppi che cosa rispondere.

«Possiede una pistola, dottor Seidman?»

Aveva cambiato di nuovo argomento. Cercai di stargli dietro, ma cominciava a girarmi la testa. «Sì.»

«Che tipo di pistola?»

«Una Smith and Wesson calibro 38, apparteneva a mio padre.»

«Dove la tiene?»

«Sulla mensola in alto dell’armadio, dentro una cassetta di sicurezza.»

Regan prese qualcosa alle sue spalle e tirò fuori la cassetta. «Questa?»

«Sì.»

«La apra.»

Me la tirò e io la presi al volo. Il metallo grigio-azzurro era freddo. Ma soprattutto, la cassetta sembrava sorprendentemente leggera. Feci la combinazione e la cassetta si aprì. Frugai tra le carte legali, i documenti di acquisto dell’auto e della casa, la perizia di proprietà, ma solo per non arrendermi subito. Perché avevo già capito che la pistola era scomparsa.

«Hanno sparato sia a lei sia a sua moglie con una calibro 38» disse Regan. «E la sua sembra scomparsa.»

Tenni gli occhi sulla cassetta, come se mi aspettassi che la pistola si materializzasse da un momento all’altro. Cercai di trovare una spiegazione, ma non mi venne in mente nulla.

«Ha idea di dove possa trovarsi la pistola?»

Scossi il capo.

«E ce n’è un’altra di stranezza» proseguì Regan.

Sollevai gli occhi su di lui.

«Vi hanno sparato con due diverse calibro 38.»

«Come dice?»

Annuì. «Proprio così, anch’io ho avuto difficoltà a crederlo e ho fatto ripetere gli esami balistici. Hanno sparato a lei e a sua moglie con due pistole diverse, e ora sembra che la sua sia scomparsa.» Regan si strinse nelle spalle. «Mi aiuti a capire, Marc.»

Guardai i loro volti e ciò che vidi non mi piacque. Mi tornò in mente la raccomandazione di Lenny, e questa volta non ebbi esitazioni. «Voglio telefonare al mio avvocato» dissi.

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